Una maxi piattaforma tecnologica per la comprensione dei processi fisici che generano terremoti, eruzioni vulcaniche e maremoti, capace di mettere in contatto i ricercatori di tutta Europa unendo assieme le informazioni provenienti da circa 5mila stazioni sismiche e 118 laboratori di ricerca: stiamo parlando di EPOS (European Plate Observing System), l’infrastruttura di ricerca integrata che ha appena iniziato la sua fase di implementazione sotto il coordinamento italiano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). Con Massimo Cocco, direttore di ricerca presso l’Ingv e coordinatore di EPOS, cerchiamo di capire bene cosa significhi infrastruttura integrata. «Si tratta di comprendere questi due termini e il loro nesso. Il primo è infrastruttura di ricerca, che è molto più di un semplice laboratorio o di un semplice strumento di misura e anche di una rete di osservazioni: infrastruttura comprende tutta la gestione di una situazione complessa, c’è dietro un’architettura che le consente di operare a servizio dei propri utenti e degli stakeholders, in questo caso i ricercatori e gli scienziati, dando loro la possibilità di aver accesso remoto ai dati o di avere l’accesso fisico, come nel caso di un laboratorio, per svolgere appieno le proprie ricerche. Quindi, in sintesi, è un sistema che permette lo svolgimento della ricerca».
Il fatto che sia integrata esprime l’intenzione degli ideatori di Epos di creare un unico sistema, un’unica piattaforma per tutte le scienze della Terra solida, che quindi integri le infrastrutture già esistenti e le nuove in corso di sviluppo per diverse discipline relative alle scienze della Terra come la geologia, sismologia, la vulcanologia, la geodeti, fino ai laboratori di chimica e fisica delle rocce. «Sono discipline molto diverse tra loro, legate a comunità scientifiche diverse; ecco quindi spiegato il concetto di integrazione, che comporta il collegamento e la messa in comune di strutture e sistemi di produzione dati in modo da renderli tutti accessibili a tutti da un unico portale».
Ma, verrebbe da chiedere, non è già possibile condividere i dati scientifici? Non sono dati già pubblici e disponibili? Cocco chiarisce con un esempio. «Un utente, sia esso un ricercatore o un dottorato o un tecnico che sta studiando un’area particolare, se volesse oggi accedere a tutti i dati disponibili per quanto concerne la sismologia dovrebbe andare sul sito dell’Ingv per avere i dati italiani, su un sito internazionale per avere quelli raccolti dalle reti globali; poi per i dati geodetici dovrebbe rivolgersi a un altro sito e ancora su un altro per reperire informazioni di tipo geologico. Tutto ciò sempre che si sappia come accedere a questi siti, quali sono le regole che li governano e si sia in grado di interpretare i dati e le informazioni trovate».
Quello che invece si intende fare con Epos è creare un’unica infrastruttura integrata dove l’utente, relativamente all’area che in quel momento gli interessa, possa trovare tutti i tipi di dati esistenti. «Non solo: possa avere accesso al catalogo dei terremoti storici; e in futuro avere non solo i dati di base (come un sismogramma, o una misura di deformazione ecc) ma anche i prodotti delle ricerche, cioè i risultati delle elaborazioni che altri ricercatori hanno eseguito con quegli stessi dati e che, dopo la pubblicazione sulle riviste specializzate, hanno deciso di rendere pubblici. Ad esempio, si potranno vedere tutti i modelli di sorgente che sono stati pubblicati sul terremoto de L’Aquila o tutti gli studi della forma della subduzione nell’arco calabro».
In tal modo la ricerca viene potenziata: da un lato si velocizza l’accesso ai dati, dall’altro si aumenta la quantità di ricercatori che saranno in grado di utilizzare tali dati. Altre esempio: «Noi misuriamo le deformazioni col GPS, il quale dà la posizione di un punto rispetto al sistema di riferimento terrestre; usiamo le differenze tra stime ripetute nel tempo per misurare le deformazioni, cioè gli spostamenti tettonici. Ora, se un sismologo va su un sistema attualmente attivo, ottiene dei dati che il 90% degli studenti o dei ricercatori non è in grado di elaborare per arrivare a capire le reali deformazioni: sono dati comprensibili adeguatamente solo da geodeti esperti, che conoscono bene come utilizzarli. Se invece vengono messi a disposizione anche i software per processare i dati, o vengono offerti corsi per tale scopo, si aumenta enormemente la possibilità del loro utilizzo a vantaggio di tutti».
Si capisce così che stiamo entrano in pieno del regno dei Big Data di cui si parla tanto. «Esattamente. Consideri che per le Scienze della Terra, solo in Europa abbiamo una quantità di dati che è paragonabile a quella della fisica delle particelle: parliamo di diversi petabyte (xxxx). Quindi l’iinformatica ha un ruolo fondamentale nella costruzione e nella gestione di un’infrastruttura come Epos».
Per questo tra le realtà italiane che partecipano ad Epos c’è il Cineca, il Consorzio Interuniversitario per il Calcolo Automatico, e il nostro Paese sta anche partecipando alla gara internazionale per l’assegnazione della sede dell’Hub centrale di tutta l’infrastruttura informatica e quella proposta è proprio la sede del Cineca a Bologna. «La prossima settimana la proposta verrà sottomessa al board di Epos, emanazione dei 25 governi aderenti, ed entro i prossimi quattro mesi sapremo se potremo vincere anche questa competizione. La sede legale del consorzio Europeo EPOS-ERIC (European Research Infrastructure Consortium) che gestirà Epos è già in Italia, a Roma ospitata presso l’Ingv».
EPOS è nato come infrastruttura europea ed è stata inserita nella roadmap del Forum Strategico Europeo per le Infrastrutture di Ricerca (ESFRI), il documento che fornisce una panoramica delle necessità di infrastrutture di ricerca di interesse europeo. «Poi è partita la fase preparatoria, cioè di progettazione, con un progetto durato 4 anni durante il quale è stato prodotto tutto il design, tutto lo schema funzionale di Epos, il libretto di istruzioni per come costruire l’infrastruttura, che è stata progettata sia dal punto di vista tecnico, sia legale, sia più strettamente informatico, lavorando insieme agli informatici secondo un approccio di co-design».
Durante questa fase il Consiglio della Competitività della UE ha aperto una competizione ed Epos è stato inserito fra le tre infrastrutture europee prioritarie per passare all’implementazione, «il che significa che adesso noi dobbiamo costruire il sistema per essere pronti nel 2019 ad essere operativi. La fase di implementazione ha ottenuto un finanziamento di oltre 18 milioni di euro dalla Commissione europea nell’ambito di Horizon 2020 e ha preso ufficialmente il via il 1 ottobre 2015; oltre a Ingv, vi prenderanno parte altri enti di ricerca e università italiani, tra cui il Cnr, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica (OGS) e le Università degli Studi di Trieste, Genova e Roma Tre.
«Nei prossimi due anni dovremo implementare i servizi, poi nel terzo anno dovremo validarli e nel quarto anno inizieremo l’attività, in stretta collaborazione con gli informatici della struttura che ci ospiterà. Nel marzo prossimo sapremo dove sarà tale sede: speriamo a Bologna».