Fa parte delle conoscenze fisiche di base il fatto che si possono avere materiali che mantengono il loro stato di magnetizzazione e che per questo vengono chiamati magneti permanenti. Meno nota è la possibilità di avere una analoga permanenza nel caso dei fenomeni elettrici. Tuttavia, da quasi un secolo si sa che è possibile conservare una carica elettrica in modo durevole su del materiale isolante ottenendo i cosiddetti elettreti, che possono quindi essere considerati gli equivalenti elettrici dei magneti.



Per ottenerli, i procedimenti può diffusi prevedono di riscaldare un materiale plastico a una temperatura molto elevata (fino a 100 °C), tecnicamente detta “temperatura di transizione vetrosa”, alla quale le molecole del materiale diventano libere di muoversi; applicando poi una differenza di potenziale, anch’essa molto alta (fino a 10.000 volt), le molecole nella plastica vengono orientate secondo la direzione del campo elettrico dopo di che a un brusco  raffreddamento porta le molecole stesse a bloccarsi mantenendo una configurazione che le vede tutte allineate tra loro. Il risultato è una plastica elettrizzata, che ha la superficie carica tutta positivamente o tutta negativamente. Utilizzi degli elettreti si possono trovare in alcune apparecchiature elettriche, come microfoni, o in strumenti come i dosimetri per la misura di radiazioni. Ma sono sempre più interessanti le loro applicazioni in campo biomedico, dove si possono sfruttare le interazioni delle cariche elettriche ordinate con le cellule per comprendere meglio aspetti ancora inesplorati del funzionamento dei mattoni fondamentali della vita.



E proprio in questa prospettiva risulta particolarmente interessante la ricerca condotta da un team di giovani ricercatori, svolta a Pozzuoli presso l’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti (Isasi-Cnr): lo studio, a carattere fortemente interdisciplinare che ha coinvolto fisici, ingegneri elettronici e chimici farmaceutici, ha portato a sviluppare una nuova e originale metodologia, basata sull’effetto piroelettrico, per realizzare elettreti, cioè pellicole bipolari. La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Advanced Materials, in un articolo dal titolo “Bipolar patterning of polymer membranes by pyroelectrification”.



Come ha spiegato Simonetta Grilli, di Isasi-Cnr e team-leader del progetto, «In questo studio si mostra come la pellicola sia stata elettrizzata tramite una tecnica innovativa, molto rapida ed efficace, che usa esclusivamente il calore, quindi senza ricorrere a generatori e circuiti elettrici, e che produce pellicole bipolari, cioè con un’alternanza di cariche di segno positivo e negativo sulla stessa superficie. In questo modo è possibile realizzare dei veri e propri disegni di cariche elettriche su pellicole di plastica. La chiave del metodo sta nell’usare per la prima volta un materiale di supporto, detto piroelettrico, che genera una differenza di potenziale spontaneamente quando è riscaldato».

I risultati presentati nell’articolo dimostrano come sia possibile elettrizzare pellicole di plastica anche molto sottili dove le cariche elettriche sono impresse in modo praticamente permanente e disposte con geometrie e dimensioni che sono su scala micrometrica, cioè fino a un milionesimo di metro; ma sono impresso in modo talmente forte da catturare oggetti molto piccoli di materia sia inerte sia vivente, come le cellule. «Lo studio biologico presentato nell’articolo dimostra che queste pellicole elettrizzate sono in grado di influenzare adesione e proliferazione di particolari cellule cancerose del sistema nervoso (neuroblastomi). Lo studio del comportamento cellulare su queste membrane innovative potrà aiutare a capire meglio, in campo biomedico, i meccanismi fondamentali che regolano la crescita dei tumori al cervello».

E non solo. Come ha affermato il direttore di Isasi-Cnr, Pietro Ferraro, “grazie alle proprietà delle plastiche – tra cui economicità, flessibilità, modellabilità strutturale, biodegradabilità e trasparenza – queste pellicole elettrizzate potranno avere in futuro impieghi anche in altri settori. Per esempio, se opportunamente funzionalizzate, per fabbricare tessuti con generatori di energia praticamente invisibili, utili per ricaricare il proprio dispositivo elettronico portatile quale uno smart phone o un i-Pod. Se realizzate con plastiche biocompatibili e biodegradabili, per realizzare cerotti cicatrizzanti ma anche filtri in grado di catturare agenti patogeni quali i batteri».