In una Lectio Magistralis tenuta a Genova nell’ottobre scorso per l’inaugurazione della mostra “Enrico Fermi, una duplice genialità tra teorie ed esperimenti”, il professor Antonino Zichichi aveva definito Fermi come il più grande galileiano del XX secolo e lo aveva motivato così: «Galilei aveva realizzato ricerche di fisica teorica, ricerche di fisica sperimentale e invenzioni tecnologiche. Anche Fermi, 400 anni dopo Galilei, è arrivato a rimettere insieme questi tre fattori riuscendo a eccellere in tutti questi tre capitoli fondamentali della scienza».
La mostra, realizzata a cura del Museo storico della fisica e Centro studi e ricerche ‘Enrico Fermi’, in collaborazione con la Società italiana di fisica (SIF), ha registrato una notevole affluenza di pubblico, scolastico e non, che ha potuto constatare direttamente, anche attraverso soluzioni comunicative multimediali avanzate, la tesi di Zichichi.
Vale la pena ripercorrerla, pur sommariamente, a coronamento di questo anno 2015, seguendo il percorso espositivo che resterà allestito al Museo Doriafino al 16 gennaio prossimo. Tra l’altro, quello che si conclude domani è stato un anno di ricorrenze nella vita scientifica di Fermi: sono trascorsi 90 anni dalla formulazione di quella che è conosciuta come “statistica di Fermi-Dirac” e 80 anni dalla pubblicazione sulla radioattività generata dal bombardamento di neutroni; inoltre il 2015 è stato l’Anno Internazionale della Luce e in questo la SIF ha visto un’occasione ulteriore per celebrare la scienza e il genio universale del grande fisico romano.
Un primo contributo teorico del giovanissimo Fermi – laureatosi nel 1922 alla Scuola Normale Superiore di Pisa ma già nel 1926 titolare della prima cattedra di fisica teorica italiana presso l’Istituto Fisico di via Panisperna a Roma – si colloca nel campo, effervescente in quegli anni, della fisica quantistica. È stato proprio Fermi ad aver elevato a principio universale il “principio di esclusione” che Pauli aveva introdotto nel 1925 per spiegare la struttura elettronica degli atomi. E rimarranno per sempre legate al suo nome le particelle che sono i costituenti elementari della materia: sia i quark (che a loro volta costituiscono i protoni e i neutroni) sia elettroni e neutrini sono classificati come fermioni in quanto si comportano secondo la di Fermi-Dirac; come si spiega, semplificando, nella mostra «struttura e l’impenetrabilità dei corpi è dovuta agli elettroni degli atomi che rifiutano di dare spazio ai loro vicini».
Nel dicembre del 1933, Fermi formula la sua rivoluzionaria teoria del decadimento beta: il nucleo, costituito da soli protoni e neutroni, subisce un decadimento beta quando un neutrone si trasforma in protone, emettendo contemporaneamente un elettrone, detto “raggio beta”, e un neutrino, entrambi creati durante il processo di decadimento e prima non esistenti nel nucleo. Fermi introduce così un nuovo tipo di interazione fondamentale: l’interazione debole che solo cinquant’anni più tardi una nuova teoria e successivamente le scoperte di Carlo Rubbia al Cern riusciranno a spiegare nel quadro unificato della forza elettro-debole.
L’attività sperimentale di Fermi è particolarmente legata alle ricerche in fisica nucleare, appoggiate inizialmente da Orso Mario Corbino e Guglielmo Marconi e talmente all’avanguardia da meritare il Premio Nobel per la Fisica nel 1938. Nel marzo del 1934 Fermi era riuscito a realizzare un’impresa ritenuta impossibile: grazie a una attrezzatura semplice ma ingegnosa, aveva scoperto che alcune sostanze, irradiate con neutroni, acquistano proprietà radioattive di tipo beta. Successivamente, nell’ottobre dello stesso anno, scopriva che il rallentamento dei neutroni, attraverso strati di paraffina o di acqua, le cui molecole sono ricche di Idrogeno, poteva incrementare enormemente la loro capacità di indurre radioattività. Questa scoperta avrà un eccezionale impatto scientifico e tecnologico.
Come simbolo di queste ricerche, al centro della mostra campeggia un quaderno di laboratorio, ritrovato ad Avellino, dove lo scienziato annotava tutte le operazioni svolte ai fini della scoperta della radioattività indotta da neutroni e delle successive ricerche. Vi si può leggere, ad esempio, che il primo elemento a mostrare radioattività indotta è l’Alluminio; le corrispondenti misure, effettuate il 20 marzo 1934 verso l’ora di pranzo, sono registrate a pagina 19. Il quaderno si trovava tra le carte di Oscar D’Agostino, uno dei “ragazzi di via Panisperna”, ed è conservato presso l’omonima Fondazione in Avellino.
Il Fermi sperimentatore dopo la Guerra, a Chicago, si concentrerà sulla fisica subnucleare grazie a macchine acceleratrici di particelle di energia via via crescente. Contribuirà allo sviluppo del ciclotrone, allora il più potente al mondo, e in particolare alla realizzazione del grande magnete della macchina. Studiando gli urti contro un bersaglio di Idrogeno dei pioni prodotti dal ciclotrone, scoprirà nel 1952 il primo esempio di una nuova categoria di particelle, di vita brevissima, chiamate “risonanze”: si tratta della particella Delta++, che acquisterà un ruolo cruciale per la comprensione della struttura a quark delle particelle e dell’interazione forte tra quark, detta “interazione di colore”.
Sul versante tecnologico e ingegneristico, troviamo il più celebre Fermi che il 2 dicembre del 1942, a Chicago, realizza la prima pila nucleare. Con questo dispositivo riesce a produrre una reazione nucleare di fissione a catena controllata, utilizzando Uranio naturale come combustibile e grafite purissima come moderatore per rallentare i neutroni. Si tratta di un passo decisivo per lo sfruttamento pacifico dell’energia nucleare.
La mostra non tralascia di segnalare come, dopo la guerra Fermi si sia interessato anche al rilancio della scienza e della tecnologia in Italia. Nel 1948 scrive al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi a sostegno di un aumento dei fondi per la ricerca. Nel 1949 lo vediamo partecipare a una conferenza a Como e visitare gli stabilimenti di Ivrea della Olivetti, richiamando l’attenzione sull’emergente tecnologia elettronica. Nel 1950 sarà impegnato in una serie di seminari a Roma e Milano; mentre resteranno memorabili le sue lezioni alla Scuola di Varenna della SIF nel 1954, solo pochi mesi prima della morte.
L’intero percorso della mostra resterà comunque accessibile a tutti: andrà infatti a occupare come esposizione permanente i locali destinati al futuro Museo Fermiano della sede istituzionale del Centro Fermi, nella storica palazzina di via Panisperna a Roma, attualmente in fase di restauro.