Un miliardo e ottocentomilioni di anni fa nei profondi fondali marini dell’oceano primordiale vivevano dei microorganismi che non avevano bisogno di ossigeno per vivere. Erano dei solfobatteri, dei riciclatori di zolfo che riducevano il solfato presente nell’acqua di mare. Tracce fossili di questi microorganismi, esili filamenti di diametro inferiore a 10 millesimi di millimetro, ma lunghi anche più di 100 millesimi di millimetro, costituiti da singole cellule unite tra loro in catenelle, sono state trovate nelle selci della formazione di Duck Creek nella Australia occidentale, come riportato in un recente articolo (“Sulfur-cycling fossil bacteria from the 1.8-Ga Duck Creek Formation provide promising evidence of evolution’s null hypothesis”) pubblicato su PNAS



Il fatto interessante è che fossili dello stesso tipo sono stati trovati anche in rocce del Turee Creek Group, sempre in Australia, rocce però di 500 milioni di anni più vecchie di quelle del Duck Creek, e soprattutto, si trovano anche oggi nei fanghi sui fondali marini al largo delle coste del Cile.  Quindi siamo in presenza di microorganismi che sono rimasti morfologicamente, fisiologicamente (riciclavano zolfo allora e lo riciclano ora)  ed ecologicamente (occupavano e occupano la stessa nicchia ecologica, fanghi dei fondali marini estremamente poveri di ossigeno) identici per più di due miliardi di anni. Una stasi evoluzionistica che dura da due miliardi di anni: come mai? 



Si deve tener presente che contemporanei dei solfobatteri sono stati i cianobatteri, i responsabili del più grande cambiamento ecologico avvenuto sulla Terra: il Great Oxidation Event. I cianobatteri infatti operavano e operano tuttora la fotosintesi ossigenica, cioè utilizzano l’energia luminosa per estrarre elettroni dall’acqua liberando ossigeno che pian piano si è accumulato nell’atmosfera e negli strati superficiali degli oceani. L’ossigeno era tossico per tutti i microorganismi che popolavano la Terra primordiale dando così l’opportunità ai cianobatteri di diffondersi in tutte le nicchie ecologiche del pianeta. Bisognava aspettare la comparsa di nuovi organismi capaci di utilizzare l’ossigeno, mediante la respirazione,  perché la superficie terrestre potesse ospitare nuovi organismi. 



E i solfobatteri? Hanno potuto sopravvivere perché si sono rifugiati in una nicchia molto particolare: i fanghi dei profondi fondali marini, praticamente privi di ossigeno ma continuamente irrorati dai solfati, prodotti in superficie dall’ossidazione dello zolfo, che sedimentano. Una nicchia che si è mantenuta stabile, immodificata per miliardi di anni, al riparo dagli eventi ecologici che avvenivano in superficie; così, anche i solfobatteri sono rimasti quelli che erano due miliardi di anni fa.

Cosa ci dice questa storia sui meccanismi all’opera nell’evoluzione biologica? Questa estrema stasi evoluzionistica implica che questi microorganismi hanno perso la capacità di modificarsi, di evolvere? No, perché in realtà ci sono stati e ci sono oggi anche solfobatteri morfologicamente molto simili ai solfobatteri di allora ma aerobi, capaci quindi di vivere in presenza di ossigeno; è un po’ la “sindrome della Volkswagen”: la carrozzeria resta identica ma la macchina, la fisiologia interna, cambia. 

Questa storia ci dice allora che evolutivamente si cambia solo se c’è un cambiamento ambientale? Sì e no. Sì, perché è ovvio che se c’è un cambiamento nell’ambiente l’organismo deve adattarsi, ma non è detto che l’adattamento implichi cambiamenti morfologici (vedi la sindrome della Volkswagen). No, perché non è solo l’ambiente che agisce sugli organismi, ma gli organismi stessi agiscono sull’ambiente, modificandolo in modo da creare nicchie ecologiche adatte a loro stessi. 

Il problema di fondo dell’evoluzione quindi è come e perché si sono generate le “novelties”. È chiaro che gli organismi di gran lunga più diffusi sulla Terra sono stati e sono tuttora i microorganismi, adattati a vivere nelle condizioni ambientali più disparate ed estreme; basti pensare che ci sono batteri che vivono nelle sorgenti idrotermali a temperature di 113 °C, che troverebbero l’acqua bollente un po’ freddina. 

Ma è altrettanto evidente che nell’evoluzione biologica ci sono stati anche dei trend: aumento di dimensioni degli organismi viventi, aumento della complessità (pluricellularità, presenza di diversi tipi cellulari), organismi con tessuti, organi, funzioni, comportamenti diversificati. Sono questi trend conseguenza di adattamenti più sofisticati o espressione della potenzialità della materia organica di generare strutture più complesse?

Leggi anche

EVOLUZIONE/ Pro o contro Darwin? Prima leggiamolo...EVOLUZIONE/ Solfobatteri: identici da due miliardi di anni. Ma non è stasi evolutivaEVOLUZIONE/ Cambiamo Darwin, anzi no: lo scontro tra "progressisti" e conservatori