Da molto tempo si sa che riducendo le dimensioni di un materiale magnetico a livello nanometrico le sue proprietà magnetiche cambiano; però negli ultimi anni la disponibilità di tecniche e strumenti in grado di operare a quei livelli ha incentivato la ricerca sperimentale e sono stati scoperti una varietà di fenomeni nuovi rivelatisi poi molto utili per le più diverse applicazioni. «Per poter applicare efficacemente tutte queste tecniche bisogna però conoscere a fondo le proprietà di questi “oggetti magnetici”; è l’ambito più vasto che va sotto la denominazione di nanomagnetismo. Si tratta quindi di capire bene come variano le proprietà magnetiche di certi oggetti quando le loro dimensioni scendono a una scala dell’ordine del miliardesimo di metro».



A dirlo è Lucia Del Bianco, docente di fisica all’Università di Bologna, che incontriamo durante MAGNET 2015, la quarta Conferenza Italiana sul Magnetismo svoltasi la scorsa settimana presso l’Area della Ricerca di Bologna, promossa dall’Associazione Italiana di Magnetismo (AIMagn) e organizzata dall’Istituto dei Materiali Nanostrutturati – Cnr Ismn e dal Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna.



«Il nanomagnetismo unisce strettamente una fisica fondamentale molto bella a delle sorprendenti possibilità applicative in tempi relativamente brevi. Un esempio eclatante, di cui tutti siamo fruitori, è quello della registrazione magnetica: i nostri Pc immagazzinano i dati in materiali magnetici e la possibilità di leggere poi l’informazione “scritta” negli hard disk si basa anch’essa sull’utilizzo di dispositivi magnetici». È un campo ormai ben consolidato ma che presenta ancora ampi margini di miglioramento e sviluppo; considerando anche il fatto che la società attuale ha un’esigenza pressante di gestire una mole smisurata e crescente di dati in pochissimo spazio: la ricerca perciò procede nell’intento di trovare materiali sempre più adatti e performanti.



Va sottolineato che sul magnetismo sono tante le unità di ricerca all’opera in Italia, collegate per lo più attraverso l’AIMagn che si è costituita da pochi anni e conta circa 150 iscritti: sono oltre 30 i centri sia universitari che del Cnr, dove si fa ricerca sui vari aspetti del magnetismo a livelli di eccellenza.

Sono argomenti vicini alla nostra esperienza quotidiana più di quanto immaginiamo. Si pensi, ad esempio, a uno dei temi del convegno che va sotto lo strano nome di spintronica: è l’utilizzo dello spin dell’elettrone per realizzare un nuovo tipo di elettronica basata non sulla carica ma su questa singolare proprietà quantistica dell’elettrone che è lo spin. «Qui siamo molto avanti e i risultati sono presenti in parecchi dispositivi che già usiamo normalmente; come ad esempio le testine di lettura dei dati registrati nei Pc, basate sul fenomeno della magnetoresistenza gigante (GMR, Giant MagnetoResistance); è questo che ha aperto la strada alla spintronica e ha portato il francese Albert Fert e il tedesco Peter Grünberg al premio Nobel per la fisica nel 2007. Da qui è partito un filone di studio molto vivace e promettente, dove la ricerca di base va di pari passo con le applicazioni».

Quella della GMR è una storia paradigmatica di queste nuove scienze: la sua scoperta è del 1988 e dopo neanche dieci anni l’IBM aveva già commercializzato la prima testina di lettura dell’hard disk basata proprio su questo effetto, divenuto subito standard mondiale; dopo un’altra decina d’anni i due scopritori hanno ricevuto il Nobel; «penso che non ci sia nessuna altro caso in cui scoperta, applicazione e premio siano arrivati a distanza così ravvicinata».

Altro tema suggestivo è il biomagnetismo: un settore cresciuto enormemente negli ultimi dieci anni e che vede anche in Italia diversi gruppi di ricerca molto attivi. Si tratta sostanzialmente della possibilità di sfruttare sistemi magnetici strutturati su scala nanometrica, che vengono opportunamente funzionalizzati per molte applicazioni in ambito biomedico: come il drug delivery, cioè la possibilità di trasportare farmaci all’interno del corpo umano in modo mirato; oppure la produzione di grandi quantità di calore localmente, tramite campi alternati, per distruggere cellule tumorali; oltre alle applicazioni nelle tecniche diagnostiche, come la ben nota risonanza magnetica.

Tra le aree di grande interessante attuale c’è la sensoristica; qui i materiali magnetici si prestano benissimo per rilevare segnali molto piccoli e realizzare sensori molto precisi e affidabili.

Ultimamente c’è anche una grande spinta allo studio di materiali che uniscono caratteristiche differenti: sono i ai cosiddetti materiali magnetici multifunzionali, quelli in cui le proprietà magnetiche possono essere controllate, ad esempio, anche attraverso un campo elettrico e viceversa; si realizza quindi un forte accoppiamento tra proprietà magnetiche ed elettriche. Si è parlato, al convegno MAGNET 2015, degli avanzamenti nello studio di materiali multiferroici, ossidi, isolanti topologici, leghe Heusler; e delle conseguenti possibilità di costruire dispositivi magneto-elettronici più efficienti anche dal punto di vista del risparmio energetico.

Del Bianco passa in rassegna i tanti altri argomenti approfonditi durante queste giornate: micromagnetismo, dinamica di spin, magnetismo bidimensionale, multistrati sottili, superfici e interfacce, sistemi di spin quantistici e magnetismo molecolare, superconduttività, spintronica. «Va detto anche che si tratta di temi interconnessi e spesso i confini tra nanomagnetismo, spintronica organica, multiferroici sono sottili e a volte si tratta di sfumature».

Tra questi temi ce n’è uno che suscita una certa curiosità in chi lo sente per la prima volta: si parla di magneti soft e hard. «Sono materiali sempre più studiati e perfezionati. I materiali magneticamente soffici sono quelli che si magnetizzano e smagnetizzano con campi molto piccoli: li troviamo, ad esempio, nei trasformatori che utilizziamo per caricare il cellulare, che hanno un nucleo di magneti soft. Quelli hard sono i magneti permanenti, le vere e proprie calamite, che una volta magnetizzati rimangono tali e servono per produrre campi magnetici che permangono nel tempo. Entrambi sono già utilizzati in molte situazioni: pensiamo ad esempio a un’automobile, dove magneti soft e hard sono presenti in gran numero in diversi dispositivi nel motore, nei freni, nella trasmissione».

Sono magneti con i quali abbiamo a che fare, senza saperlo, tutti i giorni. Ma anche su questi le conoscenze avanzano: quelli hard, in particolare in questo momento, sono un filone di ricerca importante. Tra questi i più performanti sono i magneti al neodimio, costituiti da una lega di neodimio ferro e boro:«il neodimio appartiene al gruppo delle cosiddette terre rare e per più del 90% si ricava da miniere ubicate in Cina che però da qualche tempo ha deciso di non esportarlo più, mettendo in crisi molte aziende che utilizzano magneti permanenti. È un problema per l’Occidente, che ha avviato una ricerca frenetica per trovare soluzioni alternative».