Salire su un aereo che esegue una serie di voli parabolici per poter avere, durante le fasi di caduta libera, condizioni di gravità vicina a zero: è la situazione vissuta da Elisa Masi, ricercatrice presso il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università degli Studi di Firenze, che le ha permesso di condurre esperimenti per verificare l’influenza della gravità sulla fisiologia delle piante.
«I voli parabolici sono un’opportunità fantastica – ha detto a ilsussidiario.net Elisa Masi – perché i ricercatori, pur nel rispetto di una serie di regole e procedure di sicurezza, possono agire, intervenire e monitorare accuratamente i loro esperimenti. Noi abbiamo fatto esperimenti in microgravità, perché non si tratta proprio di assenza di gravità: è la condizione di mancanza di peso che sperimentano gli astronauti in orbita attorno alla Terra. Li abbiamo fatti durante delle campagne di voli parabolici organizzate dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea): si tratta di speciali aerei capaci di effettuare traiettorie in forma di parabola in cui, nel punto di massima altezza, per una durata di 20-25 secondi, si creano condizioni che simulano l’assenza di gravità. All’interno di questi aerei abbiamo eseguito esperimenti per monitorare l’attività elettrica generata da apici di radici di mais, sottoposti a uno stato di microgravità».
La ricerca del gruppo fiorentino però non si è limitata a questi voli e si inserisce in un programma di esperimenti condotti dall’International Laboratory of Plant Neurobiology guidato da Stefano Mancuso, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Ottica del Cnr e l’Università di Bonn, i cui primi risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Nature Scientific Reports.
Oltre agli esperimenti descritti, ci sono stati altre prove in un’altra condizione particolare, quella di ipergravità: «Per questi esperimenti abbiamo sfruttato un’altra struttura, sempre dell’ESA, che è una maxi centrifuga dove si possono monitorare esperimenti che raggiungono livelli di gravità molto alti».
Ma da dove è nata l’idea di andare a verificare come la gravità potesse incidere sulla vita delle piante? «Da diversi anni – dice Masi -stiamo cercando di capire come l’assenza o l’eccesso di gravità possa influire sul comportamento fisiologico delle piante. In particolare vogliamo capire quanto quelle situazioni costituiscano una forma di stress. Bisogna pensare che le piante, come tutti i viventi, si sono evolute in condizioni di gravità terrestre, quella che viene indicata come 1g, e quindi ogni alterazione di questo valore può essere vista come uno stress. Abbiamo fatto vari esperimenti e in particolare, nel lavoro descritto su Nature, ci siamo concentrati sui segnali elettrici delle piante, cercando di capire se la risposta all’alterazione della gravità n qualche modo fosse mediata da un’alterazione dell’attività elettrica cellulare». Le piante, si sa, a differenza degli animali non possiedono un sistema nervoso; tuttavia anche loro scambiano informazioni e comunicano con l’esterno attraverso i potenziali d’azione, cioè dei segnali legati a variazioni di potenziale elettrico della membrana cellulare.
Masi ci spiega come i due gruppi di risultati siano stati riuniti e si sia operato un confronto del comportamento delle piante a zero g, a 2g e a 5g con quello a 1g. Ne è risultato che a basse gravità ci sono dei processi che rallentano e che sono stati evidenziati registrando una maggiore durata dei potenziali d’azione e una loro minore velocità di propagazione da una cellula all’altra. All’opposto, in ipergravità i potenziali d’azione si sono mostrati di durata inferiore e più veloci.
Quali possono essere le conseguenze di queste scoperte? «Capire come agisce la gravità sulla fisiologia e sulla salute della pianta avrà certo conseguenze importanti per le future esplorazioni planetarie e per le lunghe permanenze nelle stazioni orbitanti, dove si possono coltivare e si coltiveranno organismi vegetali e sarà importante sapere come questi reagiscono alla vita in ambienti così alterati».
Non mancano però anche conseguenze “non spaziali”, «perché con queste ricerche riusciamo a comprendere sempre meglio i meccanismi alla base della generazione dei segnali elettrici, che è un ambito ancora poco esplorato per quanto riguarda i sistemi vegetali e con poche certezze. Da notare che osservazioni molto simili erano state fatte su cellule animali e ciò avvalora la nostra ipotesi che le cellule, indipendentemente dall’organismo, siano accomunate da meccanismi di base che funzionano allo stesso modo».
Questo è comunque l’inizio di una ricerca ed è difficile trarre affermazioni conclusive. «C’è ancora molto da capire e noi proseguiremo le ricerche sperando di poter sfruttare ancora le facilities dei voli parabolici; anche se non è così semplice, non è come condurre esperimenti nel proprio laboratorio…».
Ma non si potrebbe approfittare della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) in orbita attorno alla Terra? «Poter sperimentare sulla ISS sarebbe il top; ma lì c’è una lunga lista d’attesa e soprattutto c’è il fatto che i nostri esperimenti richiedo una particolare strumentazione e del personale specializzato che li segua in tutte le loro fasi. Non possiamo chiedere a Samantha e ai suoi colleghi di prepararsi anche su questo e noi non siamo ancora pronti per trasformarci in astronauti».