Portare le nanotecnologie nei settori della plastica e della gomma potrebbe portare a molti vantaggi, migliorando le proprietà di quei materiali. C’è però un problema tecnologico: le nanoparticelle, che sostanzialmente sono ossidi, non possono andare all’interno della plastica e della gomma, avendo proprietà chimiche molto diverse. «Sarebbe come mescolare olio e acqua – dice a ilsussidiario.net Alberto Bianchi, già assegnista di ricerca nel Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca e ora trentatreenne amministratore unico della start-up Graftonica – Noi però siamo riusciti a realizzare una sorta di rivestimento per le nanoparticelle, che è uguale alla matrice polimerica del materiale al quale vanno applicate, rendendo così possibile l’inserimento». 



Così è partita Graftonica, una nuova spin-off dell’Università di Milano-Bicocca, fondata da Bianchi insieme a Roberto Simonutti e Michele Mauri, rispettivamente professore associato di Chimica Industriale e assegnista di ricerca di Scienza dei Materiali nello stesso dipartimento; l’università partecipa direttamente con il 5% delle quote e come incubatore, dando l’accesso a strutture, locali e attrezzature.



Una delle principali criticità nell’uso di nanoparticelle come additivi – dicono i giovani scienziati imprenditori – è la loro tendenza ad aggregarsi formando “grumi” simili a quelli che si formano durante la preparazione dei cibi. Questi agglomerati possono comportare, ad esempio, dei punti opachi o colorati nei materiali che dovrebbero essere trasparenti, dei punti deboli che lasciano uscire sostanze o entrare contaminanti nei materiali per la conservazione dei cibi, delle interferenze o dei punti di accumulazione della carica che possono portare a surriscaldamento locale nei materiali utilizzati nei dispositivi elettronici, dei punti di frattura nei materiali con proprietà meccaniche per il settore automobilistico e aerospaziale.



Graftonica sviluppa processi chimici che consistono nel far crescere uno strato del polimero desiderato sulle particelle, in modo che ogni singola particella abbia una “capsula” dello stesso materiale in cui verrà inserita che le impedisca di aggregarsi con altre. Con questi additivi, i polimeri acquistano proprietà (meccaniche, elettriche, magnetiche) tipiche di altre classi di materiali, diventando, così, competitivi anche in applicazioni attualmente riservate a ceramiche o metalli, con un’alta sostenibilità ambientale.

«Molte aziende del settore gomma e plastica – osserva Bianchi – stanno cercando non solo di mantenere le posizioni nei settori tradizionali affrontando una concorrenza globale, ma anche di aprirsi a nuovi mercati, in un contesto economico dove è l’innovazione a permettere il salto di qualità. Il nostro modello industriale punta su standard qualitativi elevati e soprattutto leadership a livello di innovazione: coniugando le proprietà funzionali delle nanoparticelle a quelle strutturali della plastica, creiamo un nuovo materiale fatto su misura e sviluppiamo un prodotto adatto alle esigenze soprattutto di piccole o medie imprese».

Attualmente Graftonica sta lavorando su un materiale, non ancora disponibile sul mercato, per il restauro conservativo: «Un materiale che protegge il dipinto dalle radiazioni ultraviolette; possiamo chiamarlo un “vestito anti-UV” per dipinti, in cui le nanoparticelle non modificano colore e luminosità dell’opera sottostante, sono invisibili al nostro occhio, ma fermano i raggi dannosi, una delle principali cause di deterioramento del manto pittorico. È un materiale creato nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla Fondazione Cariplo e che ora è protetto da brevetto di proprietà dell’università Bicocca». 

Oltre al restauro, i nanomateriali di Graftonica troverano applicazioni nel campo dell’illuminotecnica e del design: «la luce di un normale Led è puntuale, cioè agisce solo in un punto; il problema invece è poter diffondere la luce nei normali diffusori: con le nano particelle appropriate che abbiamo messo a punto, si può ottenere anche l’effetto diffusivo e quindi migliorare ulteriormente l’impiego dei Led che ormai sono la sorgente luminosa più utilizzata». La start-up milanese ha realizzato soluzioni innovative con la dispersione di nanoparticelle nei polimeri come lastre o blocchi trasparenti con all’interno un materiale che assorbe raggi di luce fredda come quelli di un Led e li trasforma in un’illuminazione calda e diffusa.

Infine, sta sviluppando particelle per la sicurezza alimentare, lavorando nel mondo del packaging, in collaborazione con una grande multinazionale, per cambiare alcune proprietà delle pellicole per uso alimentare: «introduciamo nanoparticelle per risolvere un problema tuttora molto sentito e cioè quello di assicurare l’impermeabilità al passaggio di molecole e particelle che possono danneggiare gli alimenti. Mettiamo le aziende alimentari in grado di migliorare la tenuta degli imballaggi, riducendo di conseguenza gli sprechi». Ci sono anche applicazioni che intervengono nel ciclo del freddo: «stiamo studiando dei sistemi, sempre basati su nanoparticelle, che possono assorbire o rilasciare il calore nel momento giusto, realizzando quindi un sistema intelligente per mantenere la temperatura al livello voluto senza consumo energetico e costi aggiuntivi».

Le idee non mancano e le prospettive sono interessanti: «La parte di ricerca, data la nostra estrazione universitaria, è il punto di partenza ma intendiamo indirizzarla agli sviluppi applicativi. Ci occuperemo quindi di realizzare il primo scale up dei processi, di costruire prototipi derivanti dalle ricerche sui materiali, dell’assistenza tecnico-scientifica su metodologie e strumentazione avanzate e della loro applicazione anche in contesti di produzione e controllo qualità. In realtà, in qualche caso ci stiamo già occupando dello scale up, producendo un masterbatch tramite uno speciale strumento, in pratica un estrusore, nel nostro caso di dimensioni contenute, che produce la matrice dove poi andranno le nanoparticelle».

Stanno anche pensando al possibile impiego delle ormai molto gettonate stampanti 3D:«In un certo senso sono anche loro degli estrusori, che attualmente utilizzano materiali polimerici in commercio ma che noi potremmo integrare con le nanoparticelle creando materiali particolari per determinate funzioni. Seguiamo con interesse gli studi sulle stampanti 3D a getto d’inchiostro, che potrebbero portare alle stampanti intelligenti che utilizzano materiali diversi, superando un attuale limite delle stampanti 3D che è di utilizzare un solo materiale».