In un dibattito tenutosi in Messico nel 2010 l’eminente biologo evoluzionista e ateo dichiarato Richard Dawkins, che fino ad allora per parlare contro l’esistenza di Dio aveva usato sempre come argomenti la biologia e l’evoluzione, aveva asserito che le nostre conoscenze della fisica costituiscono la nuova e principale fonte di prova che qualsiasi congettura a proposito di un “creatore” non sia affatto necessaria. Amir Aczel, colpito da questa affermazione e convinto del fatto che le conoscenze di fisica di Dawkins, se pur presenti, non potevano essere eccessivamente approfondite, ha deciso di cercare di smentire il biologo scrivendo questo libro: “Perché la scienza non nega Dio” (Raffaello Cortina). 



Aczel, israeliano naturalizzato americano, oltre a essere un divulgatore scientifico, di lui è molto noto il libro “Fermat’s Last Theorem”, è professore di matematica, di storia della matematica e della scienza e ha insegnato in varie università negli Stati Uniti e anche in Grecia e in Italia. Per intraprendere questa sua opera l’autore si è documentato studiando molti tra i principali lavori, sottolineando alcune “affermazioni chiave”, dei maggiori fisici del nostro tempo, tra cui , per citarne solo alcuni, Richard Feynman, Robert Dicke, Werner Heisenberg, Albert Einstein e in particolare Roger Penrose, il maggior cosmologo vivente. 



Un pregio di questo libro è infatti, oltre al tentativo, a mio parere riuscito, di dimostrare la tesi evidenziata nel titolo, è quello di presentare in maniera chiara e rigorosa le più avanzate teorie fisiche, cioè la meccanica quantistica e la relatività. Non solo: l’autore si cimenta su problemi “ostici” quali la teoria delle catastrofi, il caos, i concetti di nulla e di infinito. 

Ma all’alba della civiltà, prima che la scienza cominciasse a cercare soluzioni sull’enigma dell’universo, presso i più antichi popoli era già emerso quello che potremmo definire “senso religioso”. All’inizio del libro Aczel traccia una panoramica dei primi segni di queste “astrazioni” che si manifestarono a partire da circa 30.000 anni fa: testimonianza è il ritrovamento in Africa e in Europa di un gran numero di statuette rappresentanti forme femminili, le cosiddette “Veneri”, interpretate come segni della fertilità, cioè della forza creatrice dell’universo. E similmente si possono interpretare le sorprendenti immagini rinvenute soprattutto in caverne in Francia e in Spagna. Anche queste interpretate come manifestazione di una prima forma religiosa del passato dell’uomo. 



Con l’avanzare della civiltà il culto della divinità diventa sempre più presente e comincia a intrecciarsi, come osserva l’autore, con una forma primigenia di scienza, un tentativo di comprendere la natura e le sue forze. “La rivolta della Scienza”: così Aczel indica il fatto che la religione per secoli aveva imposto la sua visione del mondo. Galileo, Newton, poi la grande rivoluzione della meccanica quantistica e della relatività di Einstein. Tutto sembra complottare a non rendere più necessario un Creatore dell’universo. Il processo a Galileo è emblematico: da una parte la difesa da parte della Chiesa di una visione dell’universo con al centro la Terra e quindi l’uomo, dall’altra la nuova scienza, basata su osservazioni, teorie e conferme. 

Ma, ed è questo il punto centrale del libro: se nessuna teoria, nessun esperimento è in grado di scrivere l’equazione di Dio e poi risolverla, neppure è in grado di negare l’esistenza di un Architetto la cui opera ha portato da un “brodo iniziale” di particelle ed energia a miliardi di galassie, miliardi di stelle, alla incantevole natura sbocciata sul nostro pianeta e infine a noi, esseri autocoscienti che possiamo guardare il cielo e chiederci quale sia lo scopo del tutto. 

Aczel si sofferma specialmente sul concetto di creazione dal nulla e su quello di infinito, utilizzati a suo parere in maniera arbitraria dai neoatei per escludere la necessità di un Creatore. La fisica, non può accettare l’idea di creazione dal nulla, e ipotizza una “schiuma quantica” dalla quale, per una instabilità, sarebbe “esploso” il big bang. Questo però, dice l’autore, sposta solo il problema: e prima schiuma quantica? 

La parte a mio parere più interessante del libro è quella che riguarda il concetto di multiverso e il Principio Antropico. Da alcuni decenni gli scienziati hanno realizzato il fatto che il nostro mondo e noi stessi esistiamo grazie al fatto che molte grandezze fondamentali, quali, per citarne una, la carica dell’elettrone e quella del protone, perfettamente uguali e opposte, sono ‘finemente calibrate’ perché il mondo, e quindi la vita, abbia potuto formarsi. E così, partendo dagli stadi iniziali dell’universo, dalla forza di gravità e da tanti altri “numeri” di rapporti tra grandezze fisiche, tutto sembra essere stato calibrato per permettere la nostra esistenza. Si tratta del cosiddetto ‘Principio Antropico’. I neoatei ricorrono a questo Principio per affermare che Dio non esiste, ma esiste una pluralità di universi tra i quali il nostro è quello in cui le condizioni sono adatte alla vita. Ma, afferma l’autore, non potremo mai avere un’evidenza sperimentale del multi verso: si tratta solo di una elegante astrazione, il cui senso non differisce dall’ammettere l’esistenza di un Creatore. Le alternative a un controllo divino che abbia definito le condizioni incredibilmente improbabili che hanno permesso la vita non sono più probabili dell’esistenza di Dio. 

Altri argomenti avanzati dai neoatei e respinti da Aczel riguardano l’evoluzione e la probabilità matematica dell’esistenza di Dio. Per quanto riguarda la prima – pur ammettendo che nessuno può confutare la teoria di Darwin, nonostante abbia comunque molti “buchi, non sia perfetta e non produca predizioni – non vanno confusi i concetti di creazione e di evoluzione. Non si può ovviamente calcolare la probabilità che il mondo abbia avuto un creatore, e per quanto riguarda la probabilità che si sia formato da solo Aczel fa ricorso, in un capitolo di grande interesse, al concetto di caos e alla teoria delle catastrofi.

Forse, anzi quasi certamente, Aczel non riuscirà a convincere tutti i lettori della sua tesi, ma una cosa è certa: si tratta di un bellissimo libro di divulgazione scientifica, che tratta argomenti che difficilmente si possono trovare su testi del genere, un libro che non necessita per essere letto se non di una cultura scientifica di base. Lo consiglio caldamente a chi è appassionato di scienza e curioso di conoscere gli sforzi fatti, anche se ancora privi di certezze,  per cercare di dissipare il profondo mistero che ci circonda.