Nel 1994, quando ero ancora un giovane ricercatore astronomo in Italia, ho iniziato a visitare regolarmente lo Space Telescope Science Institute (STScI) a Baltimora per una collaborazione sulla coronografia stellare con Mark Clampin e Francesco Paresce. Erano i mesi immediatamente seguenti la prima missione dello Shuttle che aveva riparato il telescopio spaziale Hubble e si avvertiva nell’aria una grande eccitazione. Ogni giorno venivano diffuse immagini che confrontavano l’incredibile miglioramento delle prestazioni del telescopio, a testimonianza dello spettacolare successo ottenuto dalla Nasa e del luminoso futuro che si prospettava. Tuttavia, erano ancora evidenti le tracce dello shock prodotto dal guasto iniziale (l’aberrazione sferica) del telescopio; in particolare, nella sala controllo del primo piano un’intera parete era stata coperta con centinaia di vignette da tutto il mondo che deridevano la Nasa per il disastro dello specchio primario di Hubble. Lo staff dell’Istituto le aveva diligentemente raccolte e messe in mostra, indipendentemente dalla loro qualità e persino dalla lingua. Quando c’è una crisi, un po’ di ironia aiuta e mantenere le cose nella giusta prospettiva e a restare concentrati sul lavoro di ricerca della soluzione.



Una di quelle vignette aveva attirato la mia attenzione: era di Ralph Dunagin e mostrava un gruppo di esperti, i membri del ‘Hubble Design Group’, perplessi a chiedersi se ‘forse lo spazio esterno è proprio annebbiato e sfuocato’. Mi è subito piaciuta e ne ho fatto una copia. Era diversa dalle altre perché, pensavo, era una vignetta su di noi, su come funziona la nostra intelligenza. Noi cerchiamo sempre una spiegazione, una ragione, e quando tutto le possibilità favorevoli vengono meno, iniziamo a considerare quelle bizzarre e improbabili. Ci sembra che dire ‘non capisco’ e smettere di indagare sia ancor peggio che aprire le porte a ciò che può sembrare assurdo; e la nostra segreta speranza, come scienziati, è scoprire che qualcosa di apparentemente assurdo è effettivamente reale.



Facciamo ora un balzo in avanti di vent’anni: oggi il Telescopio Spaziale Hubble è ancora pienamente operativo e funziona al meglio delle sue possibilità, raccogliendo dati che stanno trasformando la nostra comprensione dell’Universo. In particolare, stiamo svolgendo un programma che sta studiando uno dei più spettacolari fenomeni gloriosamente rivelati dalle immagini di Hubble: le lenti gravitazionali (v. foto). Sappiamo, come indicato da Einstein, che la massa incurva lo spazio-tempo; quando è presente una grande massa, come nel caso degli aloni di materia oscura che circondano gli ammassi di galassie, la luce degli oggetti più lontani che si trovano sulla nostra linea di vista viene distorta. Il segnale è così forte (‘strong gravitational lensing’) che possiamo usarlo per mappare la distribuzione della materia oscura in questi aloni. Questo è, attualmente, l’unico metodo diretto che abbiamo per testare gli effetti di quelle che sembrano essere le più enigmatiche particelle della fisica. Se le condizioni di allineamento sono favorevoli, la luminosità di alcune galassie lontane può essere aumentata: l’effetto ‘lente gravitazionale’ può quindi rendere visibili oggetti che sarebbero rimasti irraggiungibili anche da Hubble. Si potrebbe dire che questo programma, denominato Frontier Fields, sta usando due telescopi in serie, uno costruito da noi (Hubble) e uno fornito dalla Natura (le lenti gravitazionali), per cercare le galassie e le supernovae più lontane.



Con questo stratagemma, Hubble ci può fornire un assaggio del tipo di scienza che sarà di routine con l’entrata in funzione del prossimo James Webb Space Telescope. Se ci allontaniamo dal centro dell’ammasso galattico, l’effetto ‘lente gravitazionale’ diventa meno pronunciato, ma permane indipendentemente da dove puntiamo lo sguardo nel cielo, le forme delle migliaia di galassie più lontane appaiono tutte debolmente distorte (‘weak gravitational lensing’).Si tratta di un segnale evanescente, ma è correlato per tutte le galassie che si trovano a distanze simili, perciò è possibile individuarlo applicando metodi statistici alle migliori immagini a grande campo. Alcune future missioni spaziali, come Euclid e WFIRST, sono progettate in modo da poter condurre questo tipo di indagine, che è decisivo per comprendere l’evolversi nel tempo delle più grandi strutture cosmiche e il processo di formazione delle galassie. Un altro aspetto affascinante è che l’effetto di amplificazione può essere prodotta dal casuale e temporaneo allineamento di due stelle rispetto alla nostra linea di vista, un evento raro ma probabile soprattutto in campi affollati. In questo caso, la piccola amplificazione (micro-lensing) può essere utilizzata per rivelare la presenza di pianeti come la Terra. WFIRST ha la capacità di monitorare miliardi di stelle nel nostro nucleo galattico, dove i pianeti amplificati possono brillare come le luci su un albero di Natale.

Realizzare un programma di osservazioni per sfruttare adeguatamente questa possibilità è uno delle principali sfide che WFIRST dovrà affrontare. Un futuro telescopio spaziale gigante, come quello da 10 metri allo studio denominato ATLAST, potrà produrre immagini di incredibile sensibilità e risoluzione spaziale. A quel punto, l’onnipresente ‘lensing’ gravitazionale diventerà più evidente e forse diventerà soltanto un altro aspetto della nostra percezione dell’universo. Venticinque anni dopo il lancio, il telescopio spaziale Hubble ci sta mostrando che, a causa delle lenti gravitazionali, l’universo è realmente qualcosa di nebuloso e sfuocato. L’intuizione di un vignettista ha anticipato una delle più spettacolari scoperte di tutti i tempi. Dobbiamo tenere una mente aperta a ulteriori sorprese. Ciò che oggi sembra un concetto assurdo, immaginato solo nella mente di un artista creativo, può diventare domani parte della nostra comprensione di questo magnifico e molto stravagante Universo.