La zona del Vulture, in Basilicata, è ben nota soprattutto per l’Aglianico. Ma c’è una storia altrettanto interessante legata alle risorse locali e centrata non sul vino ma sull’acqua: è la storia delle ‘Fonti e sorgenti minerali del Vulture dal 1900 ad oggi’ che è stata raccontata lo scorso 22 marzo, Giornata Mondiale dell’Acqua, nel corso di un’iniziativa di ‘escursioni, esperimenti e lezioni aperte’ promossa dal Cnr e svoltasi presso l’Area della Ricerca di Tito Scalo (Potenza). Il programma, coordinato dall’Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale (IMAA) ha visto il contributo consistente dell’IBAM (Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali): coerentemente con le rispettive finalità istituzionali, i due enti hanno presentato i principali risultati delle loro indagini multidisciplinari da un lato nell’ambito del monitoraggio, pianificazione e modellistica ambientale e territoriale, dall’altro in quello della documentazione, diagnosi, conservazione, valorizzazione, fruizione del patrimonio archeologico e monumentale.
Ed è stato proprio il responsabile della sede di Potenza dell’IBAM, Nicola Masini, a spiegare a ilsussidiario.net l’opera del CNR che ha ricostruito la storia di quegli uomini che hanno scoperto e fatto fruttare le fonti del Vulture. «Se lo sviluppo di un’economia basata sulla valorizzazione dell’Aglianico è un fatto più recente, la storia dell’acqua e della sua valorizzazione è più antica. L’esistenza delle fonti era già nota agli scienziati nell’800, ma è stata l’iniziativa dal basso a renderla operativa, l’azione di gente che si è messa insieme e ha rischiato del suo trasformando una risorsa naturale in possibilità concreta di utilizzo e di sviluppo. È un esempio molto interessante di iniziativa locale in una regione che, pur non avendo una particolare tradizione di collaborazione e cooperazione, ha visto prodursi uno sforzo corale di piccoli imprenditori che tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 ha portato alla riscoperta e all’impiego efficace di queste risorse.
È anche una bella storia di imprenditorialità, realizzata dopo l’unità d’Italia e abbastanza unica in un momento in cui la Basilicata era in una situazione di grave difficoltà, con diffusa emigrazione e con gravi problemi come quello del brigantaggio. C’erano però delle realtà, come quella del Vulture, che sono sempre state un po’ più dinamiche di altre e dove un certo numero di imprenditori hanno cercato di creare un nuovo modello di sviluppo di quei territori proprio attraverso l’estrazione e la valorizzazione dell’acqua».
L’IBAM non è nuovo a queste ‘riscoperte’. In passato l’Istituto aveva sviluppato studi e ricerche sull’età medievale, che restano tuttora linee di indagini trainanti della nuova sede nell’area di ricerca di Tito Scalo. Col tempo, l’inserimento di nuove competenze ha portato all’affiancamento degli interessi specificamente storici con filoni di ricerca prettamente tecnologici e di diagnostica applicate non solo alle realtà monumentali ma anche a piccoli e grandi contesti territoriali. Così, all’iniziale impostazione umanistica si è affiancato negli anni un approccio interdisciplinare tecnico-scientifico, oggi in buona parte prevalente, che ha permesso di allargare l’orizzonte metodologico alla diagnostica in situ per i beni culturali, alla sismicità storica, allo studio dei rischi naturali a cui sono esposti beni archeologici e monumentali, alla fisica tecnica applicata alla conservazione del patrimonio architettonico, alla ricerca archeologica e le discipline ausiliarie quali su tutte il telerilevamento da aereo e da satellite e la geoarcheologia.
Un altro esempio di questo allargamento di prospettiva, presentato sempre nella giornata dell’acqua, è il censimento, lo studio e la prospettiva di riutilizzo di un consistente patrimonio di mulini ad acqua: «erano strutture che consentivano a un territorio come la Basilicata, ricchissimo di fiumi torrenti e corsi d’acqua, di assicurare un’energia a basso costo per diverse attività: dalla macina del grano, alle tintorie, alle gualchiere, alla follatura della lana… Attorno ai mulini si sono creati dei micro distretti industriali lungo le direttrici fluviali. La cosa interessante è che si trattava di piccoli sistemi produttivi, che richiedevano un’apposita manutenzione non solo del macchinario connesso al mulino ma anche dei corsi d’acqua e dell’intero bacino idrografico. Quindi il sistema dei mulini nel suo insieme garantiva un adeguato governo del territorio e una sua tutela, mitigando una naturale vulnerabilità della nostra regione. Dobbiamo riflettere sul fatto che, a causa dell’abbandono dei mulini e della loro attività, tale tutela è venuta meno».
Qui ci si collega a un tema più ampio: quello dell’abbandono dell’agricoltura, che ha conseguenze non solo in termini strettamente economici ma più in generale sul piano ambientale; «le cause del dissesto idrogeologico vanno ricercate anche a questo livello». Tornando ai mulini, Masini ci segnala che alcuni sono ancora in condizioni da poter essere visitati e ammirati nella loro struttura e nei loro componenti principali; alcuni sono stati recuperati e messi in grado di mostrare la loro funzionalità: «si tratta per lo più di mulini ad asse verticale, con le pale che ruotano in orizzontale e che sfruttano dislivelli più alti; questi erano ottenuti realizzando una sorta di torrino a monte che aumentava la cadute e assicurava l’energia meccanica necessaria per un buon funzionamento».
Si potrebbe addirittura pensare – aggiunge Masini – a un nuovo utilizzo di alcune di queste strutture per realizzare impianti del cosiddetto mini-idroelettrico; «qualcuno all’Ibam ci sta già studiando, come Maurizio Lazzari che sta valutando queste opportunità per future realizzazioni».
A completare l’aspetto di attualità di queste ricerche sulle acque e sui mulini, va segnalata la possibilità partecipare al concorso “#Mulilu – Porta all’Expo il tuo mulino” bandito dall’IBAM in collaborazione con la Regione Basilicata, rivolto a fotografi e videomaker di tutta Italia. Si tratta di un contest multimediale, pensato dai ricercatori dell’istituto, dedicato al tema dei mulini ad acqua e del paesaggio storico rurale lucano; lo scopo è di favorire la diffusione del tema culturale legato all’utilizzo dell’acqua come fonte economica e produttiva, ma anche come possibile risorsa energetica per lo sviluppo sostenibile del territorio.
L’iniziativa avrà ampia divulgazione sui canali web e social collegati al progetto Aqua2015, che ha l’obiettivo di diffondere la consapevolezza sul valore dell’acqua come fonte di vita, nutrimento, alimentazione. E, in un anno come questo, la naturale conclusione non poteva non passare da Expo Milano 2015: dopo la premiazione dei vincitori, che avverrà il 5 maggio prossimo a Potenza, fotografie, slide e video partiranno per Rho-Pero per approdare al Padiglione Italia di Expo e da lì rilanciare a tutti il messaggio dell’importanza della diffusione della cultura dell’acqua come bene imprescindibile da tutelare e valorizzare.