È una ricerca iniziata circa due anni fa, con un progetto finanziato da Fondazione Cariplo e sviluppato presso il Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, in collaborazione con l’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del Cnr e con le Università di Brescia e Würzburg (Germania): l’obiettivo era di mettere a punto dispositivi di nuova generazione per diagnosi farmacologiche e mediche precoci e non invasive. Ora si sono raggiunti i primi risultati, appena pubblicati sulla rivista Nature Nanotechnology, dove vengono descritte le nuove “nanoantenne” da impiegare come sensori ottici per il rilevamento dei processi chimici e biologici su scala molecolare: intere piattaforme di queste nanoantenne potranno essere facilmente integrate all’interno di dispositivi compatti che permetteranno di analizzare minimi quantitativi di materiale biologico (ad esempio piccoli campioni di sangue).
Con Michele Celebrano, del Politecnico milanese e primo firmatario dell’articolo, cerchiamo di capire meglio di che novità si tratta. «I nostri studi si collocano in quell’ambito che vuole provare a ottenere risultati simili a quelli del microscopio a fluorescenza – che si è meritato il premio Nobel per la Chimica 2014 – senza dover utilizzare la fluorescenza ma semplicemente ottimizzando l’interazione tra la luce e la materia. Nei procedimenti classici, si utilizzano le molecole fluorescenti legandole alle sostanze che si devono analizzare; noi invece cerchiamo di aumentare l’interazione tra la materia organica, come le proteine, con la luce incidente senza dover ricorrere a stratagemmi come quello di un rivelatore luminoso. Cerchiamo in sostanza di vedere il segnale che proviene dallo stesso oggetto in studio».
L’elemento chiave del nuovo sistema sono delle particelle nanostrutturate che fungono da antenne per captare la luce. «Succede qualcosa di simile – spiega Celebrano – a quanto avviene con le nostre parabole per telecomunicazioni: queste raccolgono segnali lanciati da molto lontano, segnali invisibili agli occhi umani i quali sono antenne adatte solo a captare segnali luminosi e non ad altre frequenze. Le nostre nanoantenne sono sintonizzate nella maniera giusta per catturare segnali nella banda ottica, quei segnali che sono sensibili ai processi biochimici. Le nanoantenne quindi raccolgono e amplificano la radiazione luminosa e perciò illuminano qualsiasi cosa si trovi nelle loro vicinanze, come le luci di una pista di atterraggio nella notte, agendo in pratica da amplificatore ottico e permettendo di osservare tessuti altrimenti invisibili a qualsiasi microscopio. È un’illuminazione a livelli esponenziali rispetto a quanto accade normalmente: se illuminiamo una molecola, solitamente lei assorbe un milionesimo dei fotoni che le inviamo e così i nostri dispositivi di analisi normali non se ne accorgono. Allora le strategie possono essere due: o si lavora sulla sensibilità degli strumenti optoelettronici, per riuscire a vedere anche a livelli di illuminazione così bassi; oppure si aumenta l’assorbimento dei fotoni, come facciamo noi, riuscendo a far assorbire anche mille volte più fotoni del solito».
Le nanostrutture ideate da Celebrano e colleghi sono a base di oro e sono completamente biocompatibili; sono state realizzate con una tecnica particolare per conferire loro una forma che favorisca una emissione di luce molto efficiente. Questo ha consentito al gruppo di fare un ulteriore passo in avanti: «infatti, oltre a raccogliere la luce e farla interagire con la materia, le nostre nanostrutture sono particolarmente ingegnerizzate anche per fungere da nanosorgenti. Agiscono come ricevitori ma anche come trasmettitori, restituendoci un segnale ottico che è a un regime di lunghezze d’onda diverso da quello illuminante e quindi fa un po’ come la fluorescenza. Le nostre antenne quindi non si limitano a ricevere a ad amplificare ma, essendo un emettitore intrinseco di luce, non solo accoppiano più luce a qualsiasi materiale circostante ma fanno anche da rivelatore automatico. Di conseguenza non c’è più bisogno di avere un’apposita illuminazione, che tra l’altro introduce ulteriori fonti di rumore disturbando la misura».
Possiamo forse più precisamente definirle delle nanosonde, che vanno a sondare il materiale in esame e emettono dei segnali dai quali si può capire subito cosa succede nei dintorni. Finora sono servite per studiare quello che accade a semplici molecole di riferimento; «poi si dovrà passare a una fase successiva che coinvolga laboratori del settore farmacologico-medico per mettere a punto procedure di analisi specifiche per determinate patologie. Penso che ci si possano aspettare grandi miglioramenti nelle analisi e importanti contributi nella diagnosi di gravi malattie come il cancro o il diabete di tipo I».