L’immagine ufficiale del 25esimo anniversario del lancio del Telescopio Spaziale Hubble è stata annunciata ieri dall’Amministratore della Nasa Charlie Bolden, con una diretta streaming su NasaTV collegata con il Newseum di Washington; in questo museo della notizia di Pennsylvania Avenue, per tutto il giorno si sono svolte le iniziative pubbliche per ricordare il 24 aprile del 1990, quando lo Space Shuttle Discovery è partito dal John F. Kennedy Space Center per portare in orbita il grande telescopio battezzato col nome dell’astrofisico Edwin Hubble.
L’immagine selezionata è quella dell’ammasso stellare noto come Westerlund 2, dal nome dell’astronomo svedese che l’ha scoperto cinquant’anni fa; e ad elaborarla è stato un team guidato dall’italiana Antonella Nota. È un insieme di circa 3000 stelle, poste a 20mila anni luce dalla Terra nella costellazione Carina e contiene alcune tra le più calde, le più brillanti e le più massicce stella della galassia. Per catturare l’immagine, Hubble ha bucato la nebulosa che come un velo copre la nursery stellare, dove nuove stelle nascono in un tripudio di luce e colori. Un vero e proprio spettacolo pirotecnico, adatto per una festa così significativa.
È giusto che il simbolo di questo 25esimo sia un’immagine astronomica, una delle innumerevoli che Hubble ci ha offerto nella sua incessante attività osservativa, attraverso la quale il volto dell’universo ci è stato letteralmente svelato in una spettacolare varietà di forme, colori, movimenti. Più ancora che il volto, si può dire che ci sono apparsi contemporaneamente i “tanti volti” celesti, corrispondenti ai tanti tipi di segnali che ci arrivano dalle profondità cosmiche e che siamo diventati capaci di captare.
È un vero peccato che il grande pubblico, che pur si entusiasma nell’ammirare le splendide fotografie che ormai appaiono su tutti i media, non abbia forse piena consapevolezza delle nuove grandi e molteplici possibilità dell’uomo contemporaneo di “guardare” i cieli. Quanti, davanti agli straordinari fotogrammi che Hubble ha scattato su Saturno e i suoi anelli, si rendono conto che, in molti casi, si tratta di immagini passate attraverso uno spettrografo ed elaborate da una camera all’ultravioletto per poi ritornare visibili ai nostri occhi attraverso i cosiddetti “falsi colori” applicati da un computer?
Una delle conquiste più significative della scienza del XX secolo, alleata con la tecnologia, è stata la possibilità di “leggere” il libro dell’universo non solo nella lingua della luce visibile – che colpisce i nostri occhi direttamente o attraverso i telescopi – ma anche nelle altre “lingue” del campo elettromagnetico: i corpi celesti infatti emettono (le stelle) o riflettono (i pianeti) luce visibile; ma emettono anche radiazioni alle altre frequenze: dalle radioonde, alle microonde, all’infrarosso, all’ultravioletto, ai raggi gamma. Nel secolo scorso, grazie anche ai progressi tecnologici, si sono potuti costruire strumenti per catturare tutte queste altre frequenze; e così in breve tempo si sono spalancate molte altre finestre sull’universo che ne hanno rivelato gli altri volti, ampliando a dismisure le possibilità di indagine sui fenomeni cosmici presenti e passati.
Non tutte le frequenze però sono osservabili da terra, a causa degli effetti filtranti dell’atmosfera. I telescopi spaziali quindi rappresentano una nuova possibilità che si è sviluppata negli ultimi decenni del secolo scorso. Hubble, in particolare, ha a bordo una strumentazione scientifica che gli consente di compiere osservazioni, oltre che nella banda ottica, anche nel vicino infrarosso e nell’ultravioletto.
Con questi strumenti ha prodotto un numero impressionante di immagini tra le quali, in vista dell’anniversario, la Nasa e l’Esa (Agenzia Spaziale Europea) hanno organizzato il concorso online “Hubble Mania” per scegliere le sue foto più belle. I voti del pubblico hanno permesso di selezionare 32 finalisti tra i quali poi si è svolto un torneo a eliminatoria per arrivare ai due finalisti che si sono contesi il primato. La vittoria, annunciata il 6 aprile scorso, è andata alla celebre immagine dei cosiddetti “Pilastri della creazione”, colonne di gas e polveri nella nebulosa dell’Aquila, che con oltre 17.000 voti ha prevalso sulla enigmatica V838 Monocerotis, una stella variabile della costellazione dell’Unicorno circondata dalla cosiddetta eco luminosa dovuta a un’improvvisa esplosione registrata nel 2002.
Anche per le immagini di questa selezione cosmica vale una considerazione analoga a quella fatta inizialmente: nonostante la disponibilità di informazioni come queste, l’uomo del XXI secolo ha una visione limitata e spesso confusa di come è fatto l’universo a grande scala e di come in esso sono collocate le varie strutture cosmiche e i vari oggetti. Così, può restare ammirato davanti ai “Pilastri della creazione” ma è spaesato se gli si chiede cosa sono, dove sono, da dove arrivano. La rassegna dei 32 finalisti di “Hubble Mania” può essere un’utile occasione per ottenere una panoramica sintetica, in quanto vi sono rappresentate tutte le principali forme presenti nella gerarchia cosmica.
Scorriamole in allontanamento dalla Terra. Troviamo corpi del nostro Sistema Solare: Giove (19), Saturno (22), Marte (29) e la cometa Ison (32). Ci sono poi un po’ di nebulose particolarmente fotogeniche: la NGC 2174, nota come Monkey Head Nebula (4), la Occhio di Gatto (6), le famosissime Testa di Cavallo (9), Orione (11), Carina (12), la nebulosa del Granchio (13) e la Tarantola (18). Ci sono quattro nebulose planetarie, resti di in forma anulare di esplosioni stellari: la NGC 6302 (10), la NGC 5189 (15), la Supernova Remnant 0509 (17), la Ring Nebula (23). Le stelle compaiono o isolate, come la stella variabile RS Puppis (28), o raggruppate in ammassi, come NGC 3603 e NGC 602 o l’ammasso globulare Omega Centauri (25).
Uscendo dalla Via Lattea, entriamo nel regno delle galassie. Anche qui le troviamo isolate, come la pittoresca Sombrero (5), la spirale barrata NGC 1300 (7), le spirali M 83 (20) e NGC 2841 (26). Ma ci sono anche immagini che mostrano un cosmo dinamico, con galassie che interagiscono fino a scontrarsi, come le Arp 273 (3), a 300 milioni di anni luce da noi nella Costellazione Andromeda; o le due sovrapposte alla nostra vista come le 2MASX J00482185 (30). Infine le galassie in gruppo: a partire dal celebre quintetto di Stephan (8), per passare agli ammassi galattici Abell 2744 (21) e Abell 370 (31).
Per concludere con l’immagine più impressionante e suggestiva di tutte, suscitatrice di domande e sull’origine e l’infinitezza del cosmo: l’Hubble Ultra Deep Field, la più profonda immagine dell’Universo mai raccolta nello spettro della luce visibile e recentemente completata con l’aggiunta dell’ultravioletto; una piccola regione nella costellazione della Fornace che contiene circa 10 000 galassie, alcune delle quali risalgono a un periodo tra i 400 e gli 800 milioni di anni dal Big Bang .
Se anche con immagini come queste il venticinquesimo di Hubble potrà contribuire ad aumentare la conoscenza diffusa dell’universo che ci circonda, sarà un Buon Anniversario.