La gara a individuare le “anticipazioni” della modernità nell’opera di Leonardo ha sempre avuto tanti concorrenti: il genio vinciano è stato visto come precursore di tante conquiste culturali, scientifiche e tecnologiche raggiunte nei secoli successivi ed è una gara che ancora continua.

Forse però l’elemento più interessante della modernità dell’autore della Gioconda non è tanto da cercare in questa o quell’altra idea o invenzione quanto piuttosto in un approccio alla conoscenza che si è sviluppato in una singolare e inaspettata parabola culturale. Il che nulla toglie alla sua grandezza di artista, scienziato, ingegnere; ma che ci restituisce un Leonardo lontano dal mito che in genere lo avvolge e che vizia anche tante rassegne a lui dedicate; un uomo pienamente calato nel suo tempo, stretto tra la nostalgia di un sapere unitario e la consapevolezza dei limiti del nuovo approccio che apriva la strada al boom rinascimentale.



Così ce lo racconta Pietro Marani, curatore insieme a Maria Teresa Fiorio della mostra “Leonardo da Vinci 1452-1519. Il disegno del mondo”, e così potranno incontrarlo i molti previsti visitatori internazionali arrivati a Milano per l’Expo, se avranno l’attenzione di leggere in profondità gli oltre 200 tra disegni (molti), quadri e modelli (pochi) dell’interessante percorso della mostra così come è stata allestita a Palazzo Reale.



Professor Marani, perché questo titolo “Il disegno del mondo”?

Senza dubbio c’è una valenza più ampia del semplice riferimento al “disegnare”. Per noi questa espressione significa “progetto” del mondo: è il disegno che Leonardo ha in mente, una sua progettualità del mondo che costruisce via via attraverso tutte le sue espressioni, anche attraverso il disegno. Leonardo non disegna semplicemente quello che vede ma costruisce un’immagine del mondo in accordo con i risultati della sua ricerca conoscitiva.

È anche vero che il disegno ha un ruolo importante nella sua visione, e i tanti disegni che avete esposto lo evidenziano bene…



Certamente. Fin dalla prima sezione della mostra indichiamo il disegno come il fondamento della sua ricerca. Quello che lui “vede”, attraverso la sua grande capacità di analisi visiva dei fenomeni, lo trasmette alla mano, come lui stesso dice: “le mani dell’artista sono di tanta eccellenza che in pari tempo generano una proporzionata armonia qual fanno le cose”. Quindi c’e’ un rapporto tra visione, trasposizione nella mente e trasmissione dalla mente alla mano; il disegno per Leonardo è uno strumento, anzi lo strumento, di ricerca; e questo in tutti i campi, dalla pittura alla scienza. È proprio sulla base del disegno che lui fa questi continui confronti e parallelismi tra le varie discipline. Il disegno come strumento di conoscenza gli serve per registrare la realtà ma anche per capirla e per dare una sua interpretazione dei fenomeni; rendendo la schematizzazione del moto dell’acqua, del fuoco, del vento attraverso linee, strutture diagrammatiche che costituiscono il comun denominatore dei suoi risultati artistici e scientifici.

Avete cercato, in questa mostra, di ristabilire un’immagine di Leonardo più realistica, diversa da quella spesso mitizzata del grande genio solitario, diversa anche da quella presentata nell’altra grande mostra milanese del 1939?

Sì. Volevamo dare un’immagine di Leonardo più dall’interno; di un artista – scienziato che cerca di costruire questo suo progetto del mondo. Senza fare della retorica e tentando, credo per la prima volta, attraverso le dieci tematiche che scandiscono il percorso, di offrire un’angolazione e una chiave di lettura originale.

 

Quali sono quindi le tematiche principali?

Anzitutto abbiamo individuato il disegno come costante e come fattore di evoluzione. Poi il rapporto con l’antico, che è sempre stato molto trascurato nel caso di Leonardo. Anche il rapporto tra pittura e scultura è stato visto da molti critici come elemento originale della nostra presentazione. Poi il tema dell’unità della conoscenza, dell’arte e della scienza, che ha attraversato tutto il suo itinerario umano e conoscitivo.

 

Leonardo era davvero un “omo sanza lettere”, come lui stesso si dichiarava?

Gli studi degli ultimi decenni hanno molto corretto questa visione. In verità, Leonardo era anche un abile propagandista di se stesso e quindi aveva buon gioco nel sottolineare che, pur non avendo fatto grandi studi, mediante le sue ricerche era arrivato a dimostrare di saperne di più di tanti autori antichi e medievali.

 

Quindi non mancano nella sua opera i riferimenti ai predecessori, le fonti e i modelli artistici e tecnologici?

Sicuramente non mancano; c’era in lui un bagaglio di conoscenze che è stato spesso sottovalutato e nel percorso che proponiamo emergono alcuni suoi debiti nei confronti di altri autori. Attraverso l’esposizione di alcune opere campione, alcuni disegni tecnologici o trattati di alcuni suoi predecessori, abbiamo cercato di mettere in evidenza quelle che sono state le sue letture, leggendo i testi che erano già disponibili in volgare o facendosi tradurre il latino. È significativa la presenza dei tre principali trattati rinascimentali di architettura: l’Alberti, il Filarete e Francesco di Giorgio. Il volume di quest’ultimo che è esposto nella mostra è un testo dal quale Leonardo ha copiato e trascritto almeno 25 pagine nel Codice di Madrid. Anche i riferimenti alle sculture antiche, che proponiamo senza pretendere di dimostrare che lui abbia visto direttamente quei bronzi antichi, danno comunque l’idea di immagini e modelli molto noti all’epoca e che Leonardo aveva ben in mente quando ha realizzato i suoi monumenti equestri.

In tutte le sezioni abbiamo cercato di mostrare dei precedenti che Leonardo ha certamente assimilato e sulle quali poi ha elaborato le sue proposte originale e innovative.

 

Perché avete posto sotto il titolo “sogni” la parte relativa alle invenzioni meccaniche, alle celebri macchine di Leonardo?

Molti suoi progetti di questo tipo, anche a causa del livello tecnologico dell’epoca, sono rimasti lettera morta. Prendiamo il caso di uno dei suoi sogni più presenti, caro anche agli antichi: quello di volare. La sua progettualità portava alla costruzione di grandi ali battenti meccaniche mosse solo dalla forza muscolare umana, che però si rivelano non funzionanti: richiedevano un’intensità di movimento non tollerabile da un essere umano. Come pure i suoi strumenti per camminare sull’acqua o per respirare sott’acqua, con i materiali allora disponibili non possono essere altro che sogni. Anche il carro semovente, spesso indicata come la sua “automobile”, è un sistema basato sull’uso di molle che, compresse e poi rilasciate, lo mettono in moto ma – è stato dimostrato – per compiere al massimo tre, quattro metri e poi arrestarsi.

 

Sono però sogni comuni a tanti…

Sì, ed erano già stati esplorati anche da alcuni trattatisti che lui sicuramente ha visto e che esponiamo anche nella mostra. La novità è che nel disegno di Leonardo, molto tecnico e ricco di informazioni, questi strumenti sembrano essere realizzabili; altro però è affermare che funzionassero. Qualche tentativo deve averlo fatto; lo si può intuire anche dalla sua attenzione maniacale nell’indicare e descrivere i materiali da utilizzare: si pensi alla tela sottilissima per l’ala battente o all’indicazione di eseguire certi meccanismi in ferro piuttosto che in bronzo… in ogni caso però, voglio sottolineare che ciò che importa valutando le opere tecniche di Leonardo non sono tanto i singoli risultati pratici conseguiti quanto il metodo messo in atto; e questo rivela una apertura è una carica innovativa straordinaria.

 

Tornando alla visione generale e all’approccio unitario: possiamo dire che si è trattato di un tentativo non riuscito?

Direi un tentativo riuscito a metà. Se da un lato lui desidera e tende all’unità della conoscenza, alla fine di tutta una carriera intuisce anche di non aver avuto gli strumenti necessari per dominare tutti i campi così diversi che ha frequentato. Leonardo ha portato l’unità medievale delle scienze a un punto tale oltre il quale sarebbero occorse delle specializzazioni professionali molto approfondite in ogni settore, che lui non aveva e che nessuno poteva avere. È un momento di fine del Medio Evo e di inizio dell’età moderna. Anche le sue originali ricerche in campo architettonico o idraulico richiederanno dopo di lui approfondimenti specifici: non ci sarà più nessun artista cinquecentesco che assommi in se tutta questa smisurata sete di conoscenza su un così vasto spettro di interessi …

Leonardo intuisce l’unità ma non riesce a darsi le necessarie spiegazioni di molti aspetti e a portar a termine tutto ciò che aveva in mente. Simbolicamente, la mostra si apre con un disegno di paesaggio impostato su una concezione dello spazio misurato e misurabile e si chiude con un disegno della serie dei “diluvi” dove l’uomo non ha più il controllo degli elementi naturali. E citiamo un brano del Codice Arundel dove Leonardo sembra rammaricarsi di aver disperso il suo ingegno in troppi campi, uscendone confuso e indebolito: “Siccome ogni regno in se’ diviso e’ disfatto, così ogni ingegno diviso in diversi studi si confonde e si indebolisce”.

 

Una chiusura in chiave pessimistica?

Sono convinto che lo sia; e in ciò mostra un atteggiamento moderno: quello dello scienziato che intuisce i suoi limiti. La modernità di Leonardo non sta nell’aver inventato l’automobile, il paracadute o l’elicottero ma nella consapevolezza dei propri limiti, dei limiti della stessa scienza e tecnologia.

 

(Mario Gargantini)