Per osservare globalmente un ambiente o un contesto particolarmente vario e complesso non basta esplorarlo e analizzarlo da vicino; bisogna guardarlo dal di fuori, bisogna uscire e inquadrarlo da tutte le possibili angolature. È un fatto ben noto ma assume una imponenza e una drammaticità in situazioni tipiche del nostro mondo moderno come le megalopoli. Si tratta di un fenomeno che si sta diffondendo: attualmente ci sono oltre 30 aree metropolitane con più di dieci milioni di abitanti ciascuna. Pensate cosa significa tenere sotto osservazione e sotto controllo tutti i parametri che caratterizzano la vita e il dinamismo di una megalopoli come Tokyo, che guida la classifica con i suoi circa 38 milioni di abitanti.
Oggi questo controllo dall’esterno è sempre più possibile grazie ai numerosi satelliti che le varie agenzie spaziali in collaborazione con altri enti scientifici hanno messo in orbita e dai quali ricevono incessantemente dati, misure e informazioni preziose. Ci si può rendere conto di questo visitando la mostra “Il mio Pianeta dallo Spazio – Fragilità e Bellezza”, esposta al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano fino al 10 gennaio 2016: un progetto espositivo promosso e organizzato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), la Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione Europea e la Commissione Europea. Che cosa si può fare con i satelliti? È certamente notevole il contributo che i satelliti possono fornire alla gestione delle risorse naturali e alla protezione dell’ambiente; e gli esempi sono numerosi. Si pensi al “problema acqua”: l’acqua copre i due terzi circa della superficie terrestre ed è essenziale per tutte le forme di vita; ma solo il 3% dell’acqua è dolce e solo una piccola frazione è disponibile per gli esseri umani.
La scarsità di questa preziosa risorsa e il conseguente suo controllo rappresentano ormai, specie nelle zone aride, una delle cause più frequenti di conflitti; in quelle regioni, le riserve di acqua vengono utilizzate per lo più in agricoltura: ebbene, in questi casi, i satelliti sono utili per la misura del grado di umidità del suolo per evitare eccessive irrigazioni o per il monitoraggio della perdita di acqua per evaporazione provocata dalle alte temperature. Il fenomeno dei cambiamenti climatici ha effetti non solo sulle riserve di acqua dolce ma anche sugli oceani e i mari: il riscaldamento globale è responsabile di un aumento del livello degli oceani e influenza gli ecosistemi come le barriere coralline, le aree per l’allevamento del pesce e le correnti oceaniche.
Ecco allora che i satelliti si presentano come lo strumento migliore per lo studio delle regioni polari, ottenendo misure precise sull’estensione e sul volume dei ghiacci; fornendo inoltre dati sul cambiamento del livello dei mari, sulla topografia del fondo marino, sulle correnti oceaniche, la salinità della superficie del mare, il moto ondoso, la fioriture di alghe e altro ancora. Passiamo a considerare le foreste. Queste coprono un terzo delle terre emerse e ospitano la maggior parte delle specie viventi animali e vegetali del pianeta; alcune vaste aree forestali, come la foresta pluviale in Amazzonia o la foresta boreale in Canada, svolgono un ruolo chiave nel ciclo globale del carbonio, assorbendo anidride carbonica e restituendo ossigeno.
Le foreste sono anche riserve di acqua, contrastano l’erosione del suolo e contribuiscono a regolare le temperature estreme. Permane però la minaccia della deforestazione: è un processo che sta rallentando ma resta ancora a livelli molto alti: si stima una deforestazione di circa 13 milioni di ettari all’anno, di cui la maggior parte interessa le foreste tropicali, che ospitano la biodiversità più ricca; da notare che le foreste pluviali una volta tagliate non tornano più al loro stato originale. Anche qui i satelliti di osservazione della Terra sono quanto mai utili per monitorare i cambiamenti e la salute delle foreste e possono contribuire alla loro protezione e a un loro uso sostenibile; possono anche rilevare disboscamenti e depositi di legname illegali.
C’è poi il grande discorso dell’agricoltura. Qui i satelliti di osservazione della Terra contribuiscono allo sviluppo di produzioni agricole sostenibili, fornendo mappature e classificazioni del terreno e monitorandone i cambiamenti. Infatti i satelliti possono monitorare l’uso delle risorse idriche, di fertilizzanti e pesticidi e contribuire alle previsioni relative alla produzione, al rendimento e alla qualità delle colture: tutte informazioni utili per la pianificazione economica e per la garanzia di scorte alimentari. Non è difficile, scorrendo le spettacolari immagini della mostra, le gigantografie e i pannelli retroilluminati, far emergere due parole che sintetizzano i caratteri della Terra, così come le osservazioni dal cielo ce la presentano: bellezza e fragilità.
È bella l’immagine del fiume Juruà che si insinua nella foresta pluviale fotografata dal satellite Landsat e parte di quel 60% della foresta pluviale originaria ancora esistente nel Bacino dell’Amazzonia. Come pure ha la sua bellezza quello scorcio di Pianura Padana ripreso dal Cosmo-SkyMed dove risaie, uliveti e vigne modellano il paesaggio italiano con una fusione armoniosa di linee e colori. Sono segni di fragilità quelli registrati dal Sentinel-1 che ha ripreso un braccio ghiacciato della Penisola Antartica dove un riscaldamento atmosferico eccezionale ha causato la ritirata e lo sgretolamento di numerosi ghiacciai che hanno prodotto enormi iceberg. Ma è altrettanto fragile, pur nella sua grandiosità avveniristica, la “Perla del Qatar”, l’isola artificiale a forma appunto di perla, con baie circolari e grattacieli, in costruzione al largo della costa della capitale Doha, fotografata dal satellite SPOT-6; una volta completata, ospiterà una popolazione di 45.000 abitanti.
Il binomio bellezza-fragilità può essere letto in modo dualistico, contrapponendo una bellezza opera della natura a una fragilità dovuta all’intervento umano; ma è una lettura parziale: c’è tanta bellezza prodotta dall’opera dell’uomo e tante situazioni naturalmente fragili. Il modo migliore per apprezzare tutte queste immagini, sarà allora quello di mettere proprio l’uomo al centro del binomio: un uomo che è custode della bellezza del creato e che responsabilmente mette in campo tutte le sue risorse creative per proteggere e rafforzare gli ambienti dove vive e dove vivranno le generazioni future.