Si parla spesso, in questi tempi di Expo, di rapporto uomo-ambiente, di architettura ecocompatibile, di smart city e indubbiamente sono molte le idee e i progetti che aprono scenari futuri di grande interesse e fascino. Ma anche la storia e le tradizioni hanno qualcosa da dire su questi temi: possono offrire il frutto di un secolare dialogo con la natura e di intelligenti tentativi di insediamenti ben riusciti anche in territori apparentemente poco favorevoli.



Gli esempi sono numerosi e di vario tipo. Consideriamo il rapporto con gli ambienti lagunari. Un significativo esempio di insediamento in tali ambienti si può trovare nel sistema dei cosiddetti “casoni”, tipiche capanne di pescatori realizzate nella zona intorno a Caorle (ma anche in altre località del Veneto e del Friuli) già fin dal V – VI secolo d. C., all’epoca, per intenderci, in cui Attila minacciava e invadeva quei territori del Nord Est. Se ne può vedere una ricostruzione fedele (curata dall’associazione Caprulana e da Proteco) visitando Aquae Venezia 2015 a Porto Marghera, padiglione satellite dedicata all’acqua di Expo Milano 2015 che approfondisce ed esplora le relazioni tra l’uomo e l’acqua.



Il territorio di Caorle ha origini molto antiche, sono state rinvenute tracce di epoca preistorica, ma una storia più documentata riguarda il periodo romano; al tempo delle invasioni barbariche i canali lagunari, praticamente inaccessibili, sono diventati un sicuro rifugio per gli abitanti che hanno praticato l’attività della pesca adattandosi alle particolari condizioni ambientali. È in questo contesto che si sviluppa l’idea dei casoni: bisognava garantire una presenza continua sul posto di lavoro e quindi era necessario costruire ambienti che servissero da ricovero per persone, attrezzi e provviste.



La laguna è uno dei sistemi fragili per eccellenza, è un ecosistema in perenne mutamento e dove tutti gli organismi presenti, uomo compreso, hanno dovuto sviluppare particolari sistemi di adattamento per sopravvivere. «Il rapporto inscindibile uomo acqua – spiegano i curatori dell’installazione che riproduce un casone tipico in tutti i suoi dettagli – trova il suo sviluppo nella costruzione del casone, un sistema altrettanto fragile che lega la presenza umana a forti valori tradizionali, che ha saputo coniugare i ritmi della sopravvivenza con le risorse offerte dalla laguna».

Questo intenso rapporto ha generato un’interdipendenza tra il sistema palustre e il casone, che veniva costruito esclusivamente con l’impiego di materiali presenti nell’ambiente lagunare; le stesse possibilità insediative risultavano quindi in stretto rapporto con la quantità di biomassa vegetale prodotta dalla laguna stessa. La struttura principale di queste originali abitazioni è formata da pali robusti ricavati dalle piante tipiche della laguna, olmi e rubinie, mentre la copertura è realizzata con alcuni strati di canne trattenute da rami più sottili legati con fibre naturali.

Il casone era in genere costruito sopra un basamento di fango e argilla creato con il riporto dello scavo di un piccolo canale che permetteva di raggiungere agevolmente la posizione con la barca anche in condizione di bassa marea; il basamento aveva un’altezza di circa 130 centimetri sul livello del mare, il che permetteva di evitare l’allagamento dell’abitazione, e aveva i bordi a scivolo sull’acqua per facilitare le operazioni di imbarco e sbarco delle reti e del pescato.

Al tempo dei primi insediamenti nel territorio di Caorle tutte le famiglie dei pescatori vivevano nei casoni; poi gradatamente si sono trasferite nella città, pur mantenendo l’attività della pesca, e solo alcune hanno mantenuto la residenza nei casoni. Nei periodi di maggior attività comunque tutti i membri della famiglia seguivano i pescatori nei casoni per dare il loro contributo: in primavera c’era il pesce novello e adulto che risaliva in laguna per cercare maggior nutrimento dopo aver svernato in acque più tiepide del mare; in autunno alcune specie di pesci scendevano al mare per riprodursi e proteggersi dalla fredde acque lagunari.

«La vita “a cason” – scrive Dionisio Crosera illustrando il casone edificato nel mezzo del padiglione di Aquae Venezia 2015 – era faticosa ma dava anche belle soddisfazioni. Nella sua semplicità era ben organizzata e ognuno aveva il suo compito: tutti, anche le donne, collaboravano a svolgere le mansioni usuali della lpulizia, riparazione e costruzione di reti e cogolli (fatti di fibre naturali: canapa e cotone) e si dedicavano ad attività quali la caccia e l’agricoltura, per permettere la vita in quell’ambiente palustre… Nel “cason” ci si poteva riparare sia dal caldo che dal freddo… Alcuni pescatori vicino ai casoni avevano dei piccoli “squeri” (cantieri) che servivano per le riparazioni delle barche a remi e la fabbricazione degli strumenti necessari alla navigazione; all’interno dei casoni si trovavano tutti gli strumenti necessari al lavoro…».

È una storia che merita di essere conosciuta e che ha avuto i suoi momenti più intensi e, dopo le grandi bonifiche di quei territori nella seconda metà dell’ottocento, i suoi periodi di declino verso la metà del secolo scorso. Ci sono vari tentativi di recupero di questo straordinario patrimonio storico-archeologico, cercando di custodire il delicato equilibrio tra le esigenze dell’uomo e le condizioni naturali; «anche se – osservano ad Aquae Venezia 2015 – non tutti gli interventi volti in tal senso raggiungono risultati apprezzabili. È un’idea abbastanza diffusa che basta ricoprire con delle canne palustri una qualsiasi struttura per avere un casone, senza contare la perdita della “funzione” per la quale ebbero origine questi particolari edifici».