Fa sempre un certo effetto sentir parlare di cannibalismo; ma se ci si riferisce a un fenomeno che si svolge lontano nello spazio e nel tempo il disgusto lascia il posto a una curiosità e al desiderio di conoscere di più. In effetti l’espressione cannibalismo galattico è a volte usata, appunto ad effetto, per indicare una situazione meno rara di quanto si possa pensare: è quella in cui due galassie di dimensioni molto diverse si scontrano e la maggiore “divora” l’altra. È un fenomeno dove gli stessi termini utilizzati sono inadeguati a descrivere quanto accade: basterà ricordare che una galassia è un insieme di 100 o 200 miliardi di stelle e che quindi parlare di “scontro” è piuttosto anomalo; quanto poi al “divorare”, qui ovviamente siamo nel campo delle metafore e la crudezza del termine serve solo per evocare l’idea di qualcosa di terribilmente tragico e spaventoso.



Le descrizioni che gli astronomi fanno di questi fenomeni sono però in genere più sobrie e sono tese a evidenziare gli avanzamenti conoscitivi che l’osservazione di eventi del genere può guadagnare. Come nel recente caso portato alla ribalta scientifica da un gruppo di astronomi australiani e spagnoli che hanno catturato e analizzato la scena di una ingorda galassia che ha divorato i suoi vicini di casa lasciando nello spazio cosmico le briciole come prova del suo inusuale banchetto. In un articolo appena pubblicato nel Monthly Notices della Royal Astronomical Society, gli astrofisici non solo rivelano le immagini di una galassia a spirale che divora una vicina galassia nana, ma mostrano con un dettaglio senza precedenti le testimonianze dei frequenti snack galattici. L’astrofisico Ángel López R.-Sánchez, dell’Australian Astronomical Observatory e della Macquarie University e primo firmatario dell’articolo, insieme ai suoi collaboratori ha studiato la galassia a spirale NGC 1512, per vedere se la sua storia chimica corrisponda al suo aspetto fisico. Il team di ricercatori ha utilizzato le capacità uniche del telescopio anglo-australiano (AAT) da 3,9 metri installato nei pressi di Coonabarabran, nel Nuovo Galles del Sud, per misurare il livello di arricchimento chimico nel gas su tutta la galassia così come si presenta alla nostra osservazione.



L’arricchimento chimico si verifica quando le stelle trasformano l’idrogeno e l’elio prodotti col Big Bang in elementi più pesanti attraverso reazioni termonucleari. Questi nuovi elementi vengono rilasciati nello spazio quando le stelle muoiono, arricchendo così il gas circostante di altre sostanze, come ad esempio l’ossigeno, che gli astrofisici hanno misurato. «Ci aspettavamo – ha dichiarato López-Sánchez – di trovare gas fresco o gas arricchito allo stesso livello di quello consumato dalla galassia, ma siamo rimasti sorpresi di trovare che i gas erano in realtà i resti di galassie divorate in precedenza». Il gas diffuso nelle regioni esterne di NGC 1512 quindi non è il gas incontaminato formatosi nel Big Bang, ma è materiale che è già stato elaborato da precedenti generazioni di stelle.



I ricercatori hanno utilizzato anche il radiotelescopio ATCA (Australia Telescope Compact Array), un potente Radio interferometro del diametro di 6 km situato in Australia orientale presso un centro dello CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation): ATCA è stato utile per rilevare una grande quantità di gas di idrogeno freddo che si estende ben oltre il disco stellare della galassia NGC 1512.

La presenza di queste “sacche” dense di idrogeno nel disco esterno di NGC 1512 consentono di individuare con precisione delle regioni di attiva formazione stellare. Esaminando poi questo risultato in combinazione con osservazioni nella banda radio e nell’ultravioletto, gli scienziati hanno concluso che i ricchi gas che vengono trasformati in nuove stelle non provengono dalle regioni interne della galassia sia: probabilmente è gas che è stato assorbito dalla galassia durante tutta la sua esistenza mentre assorbiva il materiale da altre galassie più piccole intorno, come la NGC 1510 immortalata in una delle più spettacolari immagini ripresa da López-Sánchez. Ora è iniziata la fase più interessante del lavoro degli astrofisici. Utilizzando le osservazioni sia da terra che dai telescopi spaziali, si sta ricostruire la storia dettagliata di questa galassia e si inizia a comprendere meglio come le interazioni e le fusioni con altre galassie possano aver influenzato la sua evoluzione e la velocità con cui si sono formate le sue stelle.

Il team sta mettendo a punto un nuovo approccio per studiare la crescita delle galassie, per arrivare ad affinare ulteriormente i migliori modelli di evoluzione galattica esistenti. Per questo lavoro vengono utilizzati anche i dati spettroscopici del telescopio AAT dell’Osservatorio australiano di Siding Spring, dove si misura la distribuzione di elementi chimici intorno alle galassie. Col telescopio ATCA viene identificato il gas diffuso in tutto il sistema delle due galassie interagenti. Inoltre, vengono individuate le regioni di formazione stellare tramite i dati raccolti dal telescopio spaziale orbitante GALEX (Galaxy Evolution Explorer) che ha svolto le sue osservazioni nell’ultravioletto tra il 2003 e il 2009. La combinazione di tutti questi dati metterà a disposizione degli studiosi uno strumento molto potente per comprendere la natura e la storia delle galassie.