Può la tecnologia cambiare il volto delle città? È la domanda che ha posto Silvio Bosetti, Direttore Generale della Fondazione EnergyLab presentando ieri il Rapporto “Smart City, la città si reinventa. Strumenti, politiche e soluzioni per un futuro sostenibile”, curato da CERTeT – Università Bocconi e frutto della collaborazione interdisciplinare di vari esperti delle università milanesi coordinati da Lanfranco Senn.



L’implicita risposta positiva all’interrogativo posto viene sviluppata e articolata nel Rapporto, senza facili fughe in avanti e senza ignorare le condizioni specifiche da rispettare per la “reinvenzione” della città e senza sottovalutare i condizionamenti che possono rendere faticoso il processo di cambiamento.



Come ha ribadito a ilsussidiario.net lo stesso professor Senn, « Non sono solo le metropoli a essere candidabili al ruolo di smart city: qualsiasi città può essere smart, in base allo sforzo che pone nel rispondere ai bisogni dei propri cittadini a partire dalle sue peculiarità». Del resto, osserva Senn, il concetto di “città intelligente” non è legato solo alle nuove tecnologie: «Le sue radici affondano nell’eredità del passato. L’evoluzione dei nuclei urbani è stata sempre al centro del processo di sviluppo della civiltà: basti pensare alle grandi città del passato, come l’Atene dell’antica Grecia, polis foriera del modo di concepire l’essere cittadini inteso in senso moderno; oppure alla ricerca della città ideale che ha visto l’affermarsi della Firenze del Rinascimento. Ogni periodo storico ha consolidato un modello diverso di città intelligente e oggi, esattamente come nel passato, la smart city deve essere in grado di fornire delle risposte molto chiare con il miglior utilizzo delle risorse a disposizione».



Ma parlare di smart city oggi significa soltanto pensare a processi di informatizzazione spinta, a soluzioni hi-tech per cittadini sempre più “digitali”? «La smart city non è da intendersi come mero esercizio di digitalizzazione, bensì come un insieme organico di misure capaci di rispondere a bisogni specifici in maniera personalizzata. La creatività riveste un ruolo primario nell’interpretazione di tali bisogni e nella loro soddisfazione; e parallelamente la tecnologia è il mezzo attraverso cui la creatività può trovare sfogo nel realizzare il miglior modo di rendere la città fruibile».

Richiamando l’analisi già fatta da Alvin Toffler nel suo “La terza ondata”, Senn evidenzia come siano cambiate nel tempo le attitudini degli uomini nel soddisfare le proprie esigenze: dall’epoca preindustriale, alla società dei consumi, alla fase attuale dove si tende a superare la separazione tra produzione e consumo ed emerge la figura del “prosumer”, così definito dal futurologo americano: “una persona che crea beni, servizi o esperienze per l’utilizzo e la soddisfazione personale invece che per la vendita o lo scambio”. «Inizialmente il concetto di prosumer è nato all’interno di una logica di evoluzione del rapporto consumatore-azienda, quindi nel mondo privato. In realtà, questa nozione è stata efficacemente applicata anche alla sfera pubblica; soprattutto è esplosa in seguito al propagarsi del fenomeno della sharing economy».

La tecnologia ha svolto un ruolo cruciale nell’evoluzione del prosumerismo e nel rapporto tra produzione, condivisione e consumo, riducendo le distanze nel rapporto con gli altri, in un mondo sempre più globale e interconnesso. In tale processo, l’affermazione del ruolo delle infrastrutture soft è cruciale nell’instaurarsi di un rapporto orizzontale tra i membri della comunità cittadina e il ruolo della pubblica amministrazione. «Il prosumer vuole affermare il suo ruolo di cittadino attivo e la sua leadership nel trainare nuovi modelli di consumo, partecipando al processo di creazione del valore, mettendosi in gioco in prima persona e offrendosi gratuitamente alla realizzazione di attività che gli stanno a cuore. L’opportunità che offre la smart city è il terreno ideale in cui sperimentare questo committment nel processo di innovazione, nell’incontro tra domanda e offerta, nel ridisegnare la modalità di erogazione di nuovi ed esistenti servizi».

Ai nostri giorni va quindi affermandosi un ruolo del settore pubblico meno assistenzialista e invasivo, che si affianca al ruolo sempre più attivo dei cittadini, i quali però richiedono una maggiore responsabilità nell’erogazione di servizi di qualità e maggiormente accessibili. « Con l’affermazione dei concetti di smart city e di prosumer si arriva a parlare di nuove forme di cooperazione tra pubblico e privato nell’erogazione dei servizi per cui è indispensabile un’integrazione di capacità e intenti. Tale processo porta alla riconfigurazione dei ruoli coperti dai principali attori all’interno della città».

Senn porta tre esempi evidenti della logica del prosumerism. Il primo è quello che risponde al bisogno di mobilità e che sta portando alla diffusione di nuove forme di mobilità condivisa – nelle due tipologie principali di servizio quali il car sharing e il car pooling – che permette all’utente cittadino di soddisfare i suoi bisogni in modo sostenibile senza rinunciare alla flessibilità dei servizi. Il secondo esempio è in campo energetico: la possibilità di introdurre tecnologie come le Smart Grid permette di bilanciare i consumi energetici in modo molto equilibrato, soppesando la domanda e l’offerta di energia attraverso l’utilizzo di una rete aperta; in questo senso il cittadino diventa produttore di energia, attraverso ad esempio l’installazione di pannelli solari. L’energia così ricavata può essere utilizzata per i bisogni del singolo utente e immagazzinata per un utilizzo futuro, oppure, nel caso in cui la quantità prodotta sia superiore alla capacità immagazzinabile, l’energia in eccesso potrà essere immessa in rete. «In questo caso si realizza appieno la figura del prosumer, non solo come produttore per se stesso, ma per la collettività in generale».

Il terzo esempio è quello degli open data. «Ognuno di noi diventa produttore di dati che analizzati sul web rappresentano una mole non indifferente di informazioni e che il web stesso utilizza sempre di più per sviluppare i suoi contenuti; dall’altra parte è consumatore, nel senso di fruitore dei servizi e delle informazioni che la rete mette a disposizione».

Nel rapporto di EnergyLab si sottolinea che il punto sul quale focalizzare l’attenzione in tema di città intelligenti non è il risultato finale di “intelligenza” raggiunta, ma l’oggetto su cui si concentra l’attenzione nel realizzarlo. Senn è ancor più esplicito: «Ciò che deve essere chiaro a un’amministrazione sin dall’inizio del percorso verso la realizzazione di una Smart City è il motivo per cui questi servizi verranno realizzati. La creazione di una città tecnologicamente avanzata fine a se stessa, costruita come una mera esaltazione dell’avanzamento della conoscenza e della tecnica, rischia di non portare alcun beneficio reale». Vengono subito alla mente i casi di Masdar City negli Emirati Arabi o di Songdo City in Corea del Sud: «Pur essendo delle esperienze importanti per portare avanti un’ideologia di sostenibilità e attenzione a un nuovo modo di pensare l’ambiente urbano, queste realtà non rappresentano dei modelli da perseguire».

La logica che deve guidare l’introduzione d’innovazione tecnologica all’interno della Smart City è molto chiara: è quella basata sui bisogni dei cittadini; «e il bisogno più avanzato della vita urbana sembra essere quello di vivere in modo sostenibile, mantenendo un’elevata qualità della vita. Perciò, sarà necessario sviluppare tecnologie che puntino a facilitare la vita dei cittadini, conservando come comun denominatore l’attenzione all’ambiente, allo sfruttamento efficiente delle risorse e all’inclusività».

Per questo motivo, è importante sottolineare che il problema di essere più smart non viene risolto con l’aumento dell’offerta, bensì prendendo in considerazione il lato della domanda e dello studio delle sue dinamiche. «Una politica di smart city, dunque, non dovrebbe essere solamente un fiore all’occhiello dell’amministrazione, ma una serie strutturata di interventi improntati al lungo periodo».