Tra le tante iniziative stimolate da Expo 2015 ci può anche essere quella di un gruppo di studiosi che si mettono a consultare i poderosi archivi di un’antica istituzione culturale per ricostruire un pezzo di storia dove si intrecciano scienza, economia e vita sociale. È accaduto a Milano, dove l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e di Lettere ha messo a disposizione una pregevole documentazione di documenti, lettere, saggi, immagini che tratteggiano un’intensa e fattiva azione in favore dello sviluppo e della progressiva modernizzazione dell’agricoltura in tutto il territorio lombardo. Ne è nata una mostra che è molto di più di un album di famiglia regionale o di un resoconto fotografico di immagini d’epoca: la mostra “Una storia da scoprire: l’Agricoltura all’Istituto Lombardo nell’800”, in esposizione presso la sede dell’Istituto nel Palazzo dell’Accademia di Brera fino alla fine di ottobre, e il relativo catalogo (Edizioni Angelo Guerini e Associati) sono testimoni di una vivacità culturale, scientifica e imprenditoriale che ha percorso la società lombarda negli ultimi due secoli e che ha visto nell’Istituto, soprattutto nell’Ottocento, un fattore propulsivo e costruttivo.
Il professor Carlo Soave, uno dei curatori della mostra che ci accompagna in una visita guidata, è molto impressionato dal tipo di società che emerge da questa ricostruzione storica: «Era una società percorsa da un grande desiderio di innovazione e di cambiamento, era ben consapevole del ruolo che poteva avere la ricerca ed era totalmente coesa, animata dalla preoccupazione di valorizzare il territorio e creativa nel trovare le iniziative adeguate. Tutti erano coinvolti: dal contadino, al parroco, al nobile, allo scienziato; tutti attenti alle esigenze del territorio». Basti pensare, per stare al campo agricolo, che ogni due anni venivano banditi dei premi per promuovere idee nuove, innovazioni, soluzioni a particolari problemi. Eloquente il caso della bachicoltura. L’allevamento del «bombice del gelso» (il baco da seta) non era cosa semplice, soprattutto per il manifestarsi di patologie che riducevano drasticamente la produzione delle crisalidi e dei loro bozzoli.
In particolare imperversava il “calcino” o “mal del segno”, malattia fungina prodotta dal fungo Botrytis bassiana le cui ife invadono il corpo dell’animale provocandone la morte. Senza però un’adeguata conoscenza su basi scientifiche della biologia, fisiologia e patologia del Bombyx mori era illusorio sperare di sconfiggere il mal del segno. Per questa ragione nel 1850 l’Istituto Lombardo «ha creduto importante invitare gli scienziati a rivolgere i loro studi sul seguente tema: “Esporre l’anatomica struttura del baco da seta nello stato di bruco, di crisalide e di farfalla, indicando la storia fisiologica dei suoi organi…. e delle sue malattie”». Allo scopo venne bandito un concorso per un premio quinquennale di 1.000 lire, messo a disposizione da uno sponsor. Soave ci mostra il Frontespizio della monumentale monografia sul Bombyx mori, giudicata vincitrice del premio, opera di Emilio Cornalia, zoologo naturalista, al tempo soprintendente del Museo di Storia Naturale di Milano.
Le informazioni contenute nella monografia del Cornalia non furono tuttavia sufficienti a sconfiggere il calcino e, di conseguenza, negli anni successivi l’Istituto Lombardo riprese più volte in considerazione interventi per la prevenzione e la cura della malattia. Questi e molti altri documenti esposti, mostrano il ruolo rilevante svolto dall’Istituto, soprattutto tra il 1802 e il 1860, quando Milano era una piccola capitale dotata di istituzioni specifiche e l’Istituto aveva una funzione di centro di riferimento e organo di consulenza diretta del Governo Lombardo per la realizzazione di inchieste, studi e iniziative relative all’economia del Lombardo Veneto e a questioni di pubblico interesse e utilità regionale.
Per quanto riguarda l’agricoltura, che era l’attività economica prevalente nella Lombardia della seconda metà del Settecento, l’Istituto è stato attivo fin dalla sua fondazione, raccogliendo l’appello alla modernizzazione lanciato dalla Società Patriottica di Milano (il cenacolo di savants fondato dall’Imperatrice Maria Teresa) sfociato già nel 1786 in un’indagine sullo stato dell’agricoltura in tutto il territorio della Lombardia austriaca. Negli archivi dell’Istituto, ora portati alla luce nella mostra, è conservata memoria delle iniziative prese in favore dell’agricoltura; «in particolare su quelli che in quegli anni erano i temi più caldi: la bachicoltura vanto delle province settentrionali lombarde, l’irrompere della “meccanizzazione” nei lavori agricoli, dall’aratura fino al raccolto e alla trasformazione, la sistemazione del territorio con la bonifica dei terreni paludosi segno della necessità di incrementare le superfici coltivabili, l’arboricoltura e la cura delle piante».
Problemi specifici, che potevano avere un impatto pesante sulla vita economica, trovavano gli studiosi dell’Istituto pronti a promuovere indagini e ricerche mettendo a disposizione di tutti i risultati. È stato così nella prima metà dell’Ottocento, quando nel territorio lombardo erano presenti vaste aree di terreni incolti e paludosi e all’Istituto Lombardo è stato chiesto di preparare un progetto di bonifica per la messa a coltura delle brughiere. Ed è stato così quando, verso il 1850, è emerso un grave problema per le colture viticole con la malattia dell’uva denominata mal bianco od oidio o crittogama della vite, causata da un fungo che si sviluppa sulle parti verdi della pianta provocando l’ingiallimento e la caduta delle foglie, la spaccatura e il disseccamento degli acini.
E ancora nei decenni successivi, quando la borghesia lombarda non resterà indifferente al vento della meccanizzazione che soffiava impetuoso in Europa: l’Istituto darà impulso alla “agricoltura di potenza” che utilizza nuove potenti energie e nuove macchine, dai trattori alle mietitrebbiatrici alle trapiantatrici; specialmente dopo il 1851, anno della grande Esposizione Universale di Londra.
Soave ci fa notare l’efficacia dei documenti esposti che, lungi dall’essere polverosi residui di una storia passata, danno un’idea viva di un mondo in fermento e di un’attività tutt’altro che “accademica”: «non è difficile trovare valutazioni dei progetti e motivazioni dei premi redatte con senso critico, degno delle più quotate riviste scientifiche internazionali attuali; che non esitava a giudicare inadatto o inefficace un metodo o una soluzione proposta»; con la differenza – ci fa notare con una certa ammirazione – di uno stile comunicativo elegante e curato, come si può trovare ad esempio nella motivazione di un premio per un progetto di “bonificazione generale” delle brughiere del 1830: «Primo in quest’aringo nuovamente aperto all’industria. si presenta nel corrente anno il signor Duca Visconti di Modrone, il quale ne’ suoi possedimenti situati nel distretto di Soma riescì felicemente a ridonare all’agricoltura una ampia estensione di terreno, che prima non produceva che infeconde eriche, meschino pascolo di poche capre.
Non si restrinse già l’illustre concorrente al lento metodo di bonificazione che generalmente si ottiene dalla piantagione degli alberi, ma profittando delle vicine acque del Ticino, incanalandole e traendole coll’uso d’idraulici artificj al di sopra del naturale livello, vinse con esse la siccità del suolo e le fece in oltre servire a porre in moto alcuni edificj di mulini e di seghe».
Al termine della visita, è inevitabile porre l’interrogativo: ma oggi è ancora così? «C’è qualche ente o fondazione che cerca di supportare queste esigenze. Ma siamo ben lontani da quell’esperienza di popolo, da quel senso di comunità che riuscivano ad esprimere realtà come appunto l’Istituto Lombardo, in grado di coniugare la funzione di Accademia scientifica con quella di promotore di innovazione, trasformazione sociale e sviluppo economico»