Dopo il National Geographic Museum di Washington tocca ai Giardini Montanelli e al Museo di Storia Naturale di Milano ospitare la ricostruzione dello Spinosaurus aegyptiacus, il più grande dinosauro predatore mai esistito, i cui primi ritrovamenti risalgono al 1912 ma che nel 2008 ha visto affiorare nel deserto del Sahara un nuovo esemplare le cui ossa sono esposte nel Museo milanese. Uno degli autori della scoperta, Simone Maganuco, ha raccontato a ilsussidiario.net come è avvenuto il ritrovamento.



«Le prime ossa sono giunte a noi in modo quasi fortuito: è stato un geologo italiano che trovandosi in Marocco, dove c’è un commercio fiorente di fossili, ha potuto incontrare dei raccoglitori locali che avevano dissotterrato queste ossa che gli sembravano interessanti. Ha subito mandato una foto a me e al collega Cristiano Dal Sasso e noi ci siamo resi conto subito che eravamo di fronte alle ossa originali di qualcosa che non si vedeva più da quando lo scheletro originale era andato perduto durante le seconda guerra mondiale. Avvertito dell’importanza del ritrovamento, il nostro amico geologo è riuscito ad acquisire i reperti e a spedirli al Museo di Storia Naturale di Milano. Nel frattempo siamo venuti in contatto col paleontologo Nizar Ibrahim che stava iniziando un post doc all’Università di Chicago e aveva già avuto alcune ossa di questo esemplare. Siamo poi riusciti a rintracciare la persona che aveva fatto lo scavo e tornando sul posto abbiamo trovato altri pezzi dello stesso scheletro. Abbiamo così messo insieme il tutto e l’abbiamo fatto convergere su Chicago dove le ossa sono state preparate accuratamente, studiate e hanno permesso di ricostruire buona parte dello scheletro».



Ma qual è l’originalità di questo dinosauro e quali sono le ragioni dell’importanza di questo ritrovamento? «Grazie a nuovi reperti – dice Maganuco – siamo riusciti a capire due cose: per la prima volta abbiamo potuto ricostruire con cura l’aspetto e le proporzioni di questo dinosauro predatore che si conosceva già da un secolo ma tramite materiale frammentario. Siamo riusciti a capire meglio le proporzioni corporee, a capire che poteva essere anche più lungo di un Tyrannosaurus Rex, fino a 15 metri, e quindi candidarsi ad essere il più grande dinosauro predatore. Soprattutto siamo riusciti a capire meglio qual era il suo modo di vivere e cioè a risalire ad alcune caratteristiche che hanno confermato il fatto che l’animale passava gran parte del suo tempo in acqua».



Da cosa si può dedurre una simile affermazione? Il paleontologo spiega che anzitutto ci sono le ossa degli arti che non sono cave come quelle degli altri dinosauri predatori o come quelle degli uccelli ma molto dense e compatte come avviene in altri animali che si sono adattati alla vita acquatica. «A proposito degli uccelli, che poi sono discendenti dei dinosauri, troviamo una situazione analoga nei pinguini, che hanno evoluto ossa dense e compatte per contrastare il galleggiamento e quindi avere una sorta di zavorra naturale che li facilitasse nell’immergersi».

Altre caratteristiche corporee speciali sono le gambe, corte e robuste con dei piedi molto larghi e le unghie piatte, per poter camminare sul terreno soffice ma anche per nuotare. C’è poi un muso con denti conici, distanziati, che servivano per afferrare e trattenere prede anche scivolose. «Lo stesso muso era equipaggiato da un sistema di recettori di pressione che funzionava praticamente come un sonar e permetteva all’animale di capire da dove arrivavano le prede e come si muovevano; e quindi anche di cacciare sott’acqua senza bisogno di utilizzare la vista. Inoltre, le narici molto arretrate permettevano di tenere la punta del muso nell’acqua ma allo stesso tempo di continuare a respirare».

Come si può intuire dalla ricostruzione esposta a Milano, il corpo molto allungato e sbilanciato in avanti rendeva molto più difficile il movimento sulla terraferma, mentre la coda era molto flessibile, in grado di fare movimenti laterali per favorire la propulsione in acqua. «Insomma, sono tanti i fattori che lo rendevano meglio adattato alla vita in acqua che sulla terra. Gli altri spinosauri, la famiglia alla quale appartiene, dimostravano già alcuni adattamenti alla vita acquatica ma nessuno li ha portati all’estremo come questo esemplare».

Dove viveva lo Spinosauro? «Viveva principalmente nel nord Africa che allora era un enorme sistema fluviale, con fiumi che scorrevano dall’interno del continente fino a quello che oggi chiamiamo Mediterraneo ma che allora era un po’ diverso. Questi fiumi, che poi hanno costruito enormi valli che vediamo ancora oggi, erano molto ricchi di prede acquatiche mentre intorno c’erano poche prede di terraferma: ciò avrà permesso agli Spinosauri di trovare cibo sufficiente in acqua e di non dover necessariamente competere con gli altri dinosauri predatori». Circa la sua estinzione, si può dire che è avvenuto ben prima della celebre estinzione di massa avvenuta 65 milioni di anni fa. Lo Spinosauro si è estinto circa 30 milioni di anni prima e per cause strettamente legate ai cambiamenti ambientali: quando, circa 95 milioni di anni fa, il livello dei mari in generale si è alzato, le zone fluviali e paludose dove si era ambientato sono state sommerse. «Le sue caratteristiche lo rendevano adatto alla vita acquatica ma non a quella marina e così non è sopravvissuto».

Adesso lo Spinosauro è in esposizione a Milano, con alcune delle ossa originali e il resto ricostruito fedelmente in un modello a grandezza naturale secondo l’aspetto “in vivo” e con la riproduzione completa dello scheletro ottenuta attraverso la scansione dei fossili e la stampa 3D realizzata dall’azienda veneta Geo-Model. Il modello sarà per quattro anni in giro per il mondo, in varie esposizioni come questa per poi rientrare definitivamente nelle collezioni dell’Università di Casablanca.

Nel giardino del Museo milanese, troneggia quindi per la gioia di piccoli e grandi visitatori, un esemplare di Spinosauro che sembra uscito dal recinto di Jurassic Park. Ma sarà stato proprio così? «Pensiamo – conferma Maganuco – che questa sia la ricostruzione più attendibile dell’aspetto reale del nostro dinosauro. Certo, ci sono tanti interrogativi sulla sua vera fisionomia e sul suo comportamento che non hanno ancora tutte le risposte. Però, se si fanno buoni studi di anatomia comparata, se si guarda bene al gruppo di appartenenza, se si considerano gli animali di oggi a lui più simili – come in questo caso è stato fatto – allora mi sento di dire che si può arrivare a una ricostruzione realistica. Peraltro, il parere di numerosi colleghi a livello internazionale è totalmente positivo e c’è un generale apprezzamento sul lavoro fatto. Che tuttavia resta aperto a possibili modifiche e aggiustamenti a seguito di nuovi ritrovamenti che non si possono certamente escludere».