Forse si sta schiarendo il panorama che avvolge la materia oscura. In questi giorni una serie di eventi ha riportato l’attenzione scientifica internazionale su questa che sembra essere una delle componenti fondamentali del nostro universo ma che non ha ancora un volto ben definito. Si parla appunto di materia oscura, oscura in tutti i sensi, almeno per ora: non è osservabile direttamente e sono poco chiari gli argomenti teorici che vorrebbero darne una spiegazione.



A ipotizzare l’esistenza della materia oscura, senza chiamarla ancora così, i fisici avevano iniziato negli anni trenta del secolo scorso e poi più intensamente dopo gli anni settanta, arrivando alla considerazione, oggi comunemente accettata, che essa costituisca il 27% circa dell’Universo nel quale viviamo e che sia sostanzialmente diversa dalla materia ordinaria della quale siamo fatti e che possiamo osservare con i nostri telescopi. Resta però da capire cosa significhi “diversa”; e a questo proposito ci sono due notizie fresche e promettenti.



La prima viene dalla prestigiosa rivista internazionale Physical Review Letters, dove un gruppo di ricerca con una consistente presenza italiana, costituito da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e della Chinese Academy of Science ha recentemente pubblicato uno studio che sviluppa l’ipotesi di una dark matter associata alla radiazione elettromagnetica. L’articolo riporta le misure di una correlazione significativa tra l’emissione gamma extragalattica rilevata dal telescopio spaziale Fermi e la distribuzione di materia oscura cosmica ricostruita dal catalogo di galassie 2MASS.



Più precisamente, lo studio confermerebbe l’ipotesi che la materia oscura possa essere costituita dalle cosiddette WIMP (Weakly Interacting Massive Particle), cioè particelle debolmente interagenti soggette a processi di mutua annichilazione o di decadimento. A tali processi sono associabili dei segnali gamma che i ricercatori hanno individuato esplorando lo spazio al di fuori del Gruppo di galassie al quale appartiene la nostra Via Lattea e che sono risultati compatibili con l’ipotesi delle WIMP.

Il vantaggio di poter utilizzare un satellite come il Fermi è indubbio. Si tratta di una missione partita nel 2008 e dedicata dell’astrofisica delle alte energie, in particolare allo studio delle sorgenti di raggi gamma: uno dei suoi due strumenti si chiama infatti Gamma-ray Large Area Space Telescope (GLAST); l’altro è il Large Area Telescope (LAT) – realizzato nei laboratori di Pisa dell’INFN – dedicato all’osservazione di grandi aree di cielo per ricostruire la distribuzione dell’energia emessa dalle sorgenti gamma.

Se questa prima ipotesi considera gli aspetti non gravitazionali del fenomeno materia oscura, l’altra novità si colloca laddove domina incontrastata la gravità e cioè nei buchi neri, dove l’attrazione gravitazionale di una stella collassata è così elevata da non consentire neppure alla luce di uscire. Su Astrophysical Journal l’astrofisico della Nasa Jersey Schnittman ha pubblicato i risultati di una simulazione numerica recentemente sviluppata per tracciare le orbite di centinaia di milioni di particelle di materia oscura, così come per analizzare i raggi gamma prodotti quando esse collidono in prossimità di un buco nero. Schnittman ha trovato che alcuni raggi gamma sfuggono con energie molto superiori a quelle consentite dai limiti teorici previsti nei precedenti studi.

La simulazione mostra come le particelle di materia oscura che si trovano in collisione all’interno del campo gravitazionale di un buco nero supermassiccio potrebbero produrre una intensa emissione di radiazione gamma potenzialmente osservabile. Ciò si accorda con alcune elaborazioni teoriche, condotte a partire dalle idee del celebre astrofisico inglese Roger Penrose, secondo le quali i buchi neri agirebbero come una sorta di “concentratori” di materia oscura, in grado di incrementare il ritmo delle collisioni delle particelle WIMP e di amplificare l’energie delle collisioni da cui si generano i raggi gamma.

Ma non è solo dal cielo che arrivano le novità. La caccia alla materia oscura è in corso a pieno ritmo anche sotto terra. Il pensiero corre subito al Cern di Ginevra, dove è da poco ripresa la fase sperimentale al superacceleratore Large Hadron Collider (LHC): il nuovo ciclo di attività – detto in gergo Run2 – sta portando l’energia delle collisioni al massimo valore previsto di 13 TeV e tra gli obiettivi dei ricercatori c’è anche quello di produrre le particelle che potrebbero rivelare l’identità di questa sfuggente materia.

E se il Cern fa sognare i fisici teorici, il Gran Sasso non è da meno. Nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’INFN è stato inaugurato nei giorni scorsi il progetto DarkSide-50, un esperimento di portata internazionale realizzato con l’essenziale contributo italiano dell’INFN e con quelli della National Science Foundation (NSF) e del Department of Energy statunitensi, che vede impegnati gruppi di ricerca provenienti anche da Francia, Polonia, Ucraina, Russia e Cina e dell’Università di Princeton.

L’apparato sperimentale, che si avvale di tecnologie avanzate collocate sotto 1400 metri di roccia al riparo dalla radiazione cosmica, è costituito da un rivelatore cilindrico riempito con 153 kg di argon liquido purissimo: nel caso in cui una particella di materia oscura dovesse urtare un solo nucleo di questo gas nobile, verrebbero emessi dei debolissimi lampi di luce che sarebbero immediatamente captati dalla miriade di fotosensori disposti attorno al nucleo. Sono segnali debolissimi, difficili da rilevare, ed è perciò necessario ridurre al massimo il “rumore di fondo” della radiazione cosmica. Per questo il nucleo di DarkSide è racchiuso all’interno di una “matrioska” d’acciaio riempita con 30 tonnellate di un materiale scintillatore liquido – che fa da schermo ai neutroni – e con 1000 tonnellate di acqua purissima.

I fisici di tutto il mondo sperano che il “silenzio cosmico” creato nei Laboratori del Gran Sasso possa rappresentare l’ambiente ideale per far finalmente emergere dall’oscurità un’immagine nitida e chiara delle misteriose particelle.