È colpito nel constatare quanto ancora sia ”lontana da noi” la teoria della relatività generale di Einstein, a cento anni esatti dalla sua prima formulazione. Costantino Sigismondi, astrofisico di ICRA (il Consorzio Internazionale di Astrofisica Relativistica), vede in questo uno dei fili conduttori del 14esimo Marcel Grossmann Meeting, in corso di svolgimento a Roma e durante il quale presenterà quattro lavori di ricerca. «C’è molto di più di quello che viene ormai riportato anche nei manuali scolastici. Prendiamo il caso più eclatante: le osservazioni di sir Arthur Eddington, che il 29 maggio 1919 ha misurato la curvatura della luce stellare durante un’eclissi di Sole fornendo la prima conferma sperimentale degli effetti gravitazionali sulla propagazione della luce. Quella storica spedizione in Brasile e nell’isola Principe è stata cruciale per la verifica della teoria. Ma quelle misure sono rimaste là, confinate in quello storico episodio. Sono sempre state citate, ovviamente, ma nessuno ha mai proposto di ripeterle. Anche oggi, quando con la fotografia digitale potremmo fare ulteriori verifiche più precise, non se ne parla».



Sigismondi ha riconsiderato da vicino tutta la vicenda delle osservazioni del 1919, notando come siano state analizzate e pubblicate molto in fretta: l’articolo originale è già del 1920 «e pensare che avrebbero dovuto confrontare il campo stellare osservato durante l’eclissi con quello osservato di notte, ma per avere lo stesso campo di notte bisognava aspettare sei mesi; e sei mesi dopo l’articolo era già uscito …. Quindi c’è stata una fretta nel pubblicare i risultati, che però mi sentirei di giustificare, data l’importanza della scoperta. Peraltro bisogna dire che la pubblicazione è molto accurata; ho consultato molte ricerche storiche dove quei dati sono stati rianalizzati con metodi moderni: tutte hanno trovato che i risultati pubblicati allora da Dyson, Eddington e Davidson erano consistenti».



Quello che è meno noto, come aveva già segnalato il celebre cosmologo Dennis Sciama, è che in tutti questi anni ci sono state una trentina di altre eclissi durante le quali si sarebbe potuto rifare la misura, ma nessuno ci ha pensato; solo sei di queste trenta hanno fornito alcuni dati utili per la conferma della teoria di Einstein, ma l’osservazione ”alla Eddington” non è più stata fatta.

«Mi è sembrato molto interessante, in occasione di questo Grossmann Meeting, che è il convegno di riferimento fondamentale per tutto quanto riguarda la teoria della relatività generale, riprendere quella verifica del 1919. Che poi in realtà non riesce a verificare veramente le previsioni di Einstein, perché gli errori di misura sono abbastanza grossi e non consentono di ”inchiodare” ai dati la previsione della teoria. Questa, ricordiamo, parlava di una deviazione di 1.75 secondi d’arco sul bordo del Sole. È chiaro che sul bordo del Sole è difficile osservare le stelle: c’è la corona, la cromosfera, insomma è una situazione che anche durante un’eclissi è difficile da risolvere. I risultati delle osservazioni erano tradotti in quelli al bordo del Sole anche se la distanza corrispondeva a un intero raggio solare».



Sigismondi ha pensato allora di verificare quelle osservazioni sulla base dei dati del satellite Soho (Solar and Heliospheric Observatory) che sta funzionando a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra ormai da vent’anni fa e con i suoi coronografi consente di vedere delle stelle che si avvicinano fino a quasi un raggio solare dal bordo del Sole.

Lo studioso si è chiesto se queste immagini che ci vengono da Soho, e che tra l’altro sono di pubblico dominio, siano utilizzabili per una verifica della relatività e se contengano le informazioni che Eddington cercava un secolo fa. In pratica Sigismondi ha cercato di verificare la fattibilità di una replica delle osservazioni di Eddington utilizzando le osservazioni di stelle vicine al Sole fatte con questi moderni strumenti che “generano eclissi”, come quelli di Soho che generano un’eclissi ogni 12 minuti.

«La risposta è ”per adesso, no”. La risoluzione delle immagini di Soho non è ancora sufficiente: il pixel è dieci volte maggiore della perturbazione che dovremmo misurare; questo esperimento col satellite Soho richiederebbe una risoluzione angolare dieci volte maggiore di quella che il satellite ci consente, dato anche lo scopo – l’osservazione solare – per il quale è stato concepito».

A meno di compiere pesantissime elaborazioni di tipo statistico sulle poche stelle che si presentano nelle condizioni adatte. «Noi abbiamo provato a considerare la stella Regolo, la più brillante della costellazione del Leone, invece delle stelle del Toro considerate da Eddington. Abbiamo fatto diverse misure con le immagini di Soho e abbiamo osservato deformazioni fino a un massimo di 5 pixel a bordo campo e ce ne sono anche massicce verso il centro del campo a causa del ben noto fenomeno della diffrazione generata dallo stesso coronografo: quindi, invece di vedere la deviazione dei raggi intorno al campo gravitazionale vediamo una più semplice deviazione attorno al disco del coronografo».

Insomma, i risultati delle analisi confermano che la risoluzione spaziale al momento non è adeguata. Ma l’idea resta interessante.