A volte basta poco per rendere bevibile dell’acqua inquinata. Lo esemplifica Massimo Labra, docente di biologia dell’Università di Milano Bicocca, raccontando un episodio verificatosi lo scorso anno durante una missione di un gruppo di ricercatori in Guatemala, sul lago Atitlan: «La gente del posto prendeva l’acqua del lago in un punto dove andavano a confluire le acqua di lavaggio dei lavatoi circostanti e non si accorgeva di bere acqua dove c’era una altissima concentrazione di batteri Escherichia Coli: circa due milioni per litro, un valore enorme. È bastato che noi spostassimo di 30 metri il tubo di approvvigionamento e che mettessimo due pompe a cloro da 300 euro ciascuna per fare in modo che i bambini del posto non avessero più spaventose e debilitanti dissenterie».



Quindi, è possibile fare interventi di grande efficacia con costi e energie contenute per affrontare il problema della disponibilità di acqua pulita, che è tuttora uno degli obiettivi globali non risolti. «Non è la soluzione magica del problema; è chiaro che poi, per restare al caso del Guatemala, bisognerà che quella regione si doti di un adeguato depuratore e faccia funzionare un sistema idrico valido. Intanto però c’è stato un intervento concreto, compatibile con la situazione locale; e si è dato un segnale preciso».



Di segnali ne hanno lanciati molti altri nei giorni scorsi a Milano i ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca che, in piazza Gae Aulenti, hanno allestito uno “Science Corner” con al centro le tematiche di Expo, affrontate attraverso exhibit, proiezioni, dimostrazioni e talk. In particolare venerdì il focus è stato su “Acqua: elemento primario della vita” e le attività erano orientate a far conoscere le caratteristiche e a promuovere un uso consapevole di questa preziosa risorsa.

Labra è molto convinto dell’utilità di iniziative del genere: «L’idea del Science Corner è che la scienza va in mezzo alla città per incontrare il cittadino, non solo l’appassionato di scienza; con un approccio che è molto europeo: quello di incentivare una ricerca innovativa e responsabile. Quando noi oggi iniziamo una ricerca, specie se applicata, è importante che la condividiamo fin da subito con gli utenti finali, per verificarne direttamente la reale esigenza e le condizioni pratiche di applicabilità, e quindi l’accettabilità».



La scelta del tema dell’acqua è dovuto alla sua trasversalità e alla possibilità di catturare l’interesse di diverse fasce di pubblico. Sono tre le parole chiave sulle quali i ricercatori hanno impostato la nutrita serie di exhibit, proiezioni, dimostrazioni e conversazioni: «La prima è qualità: come possiamo capire se l’acqua che beviamo e utilizziamo è più o meno buona. Poi la sostenibilità, quindi l’uso consapevole delle risorse e come renderlo sostenibile. Infine la condivisione: l’acqua è elemento primario della vita ed è logico pensare di condividere le modalità di approvvigionamento, di trattamento, di distribuzione».

Questi tre concetti sono stati proposti dai ricercatori con strumenti e modalità diverse a seconda dell’interlocutore: «Ad esempio, al pubblico dai trent’anni in poi, che è il più difficile, abbiamo proposto momenti di degustazione dell’acqua mostrando che, senza l’etichetta sulla bottiglia, è difficile distinguere le diverse provenienze. Abbiamo mostrato anche fisicamente i vari parametri dell’acqua, analizzando insieme i test tipici, quali durezza, acidità e così via, ma anche esaminando l’analisi batteriologica: siamo attrezzati anche per mostrare che i batteri si possono vedere anche con metodi semplici, come quelli colorimetrici». Lo scienziato intende così far capire che non esiste l’acqua “sterile” ma che le acque vengono disinfettate lasciando una carica batterica non nulla ma comunque compatibile con le norme ambientali e sanitarie.

Il punto della condivisione sta molto a cuore a Labra, che ci spiega l’importanza della collaborazione in atto da tempo tra ricercatori e Ong: «La conoscenza diretta delle situazioni, che le Ong possono trasmetterci, è essenziale per indirizzare e calibrare i nostri studi e i nostri progetti». I dati raccolti sul campo servono anche da base per svolgere i concetti di risparmio idrico ed equi distribuzione delle risorse. Nel caso del pubblico dei bambini e ragazzi, ciò è stato proposto soprattutto attraverso dei momenti ludici: come quello in cui si mostrava quanta acqua ha a realmente a disposizione un bambino di un paese in via di sviluppo e per contro quanta acqua spreca un bambino italiano non ponendo attenzione quando si lava i denti.

«Bisogna abituarsi a pensare in modo globale. Si vedrà così che quello che si spreca da una parte del mondo, può diventare risorsa per un’altra; e questo non vale solo nel confronti del cosiddetto terzo mondo: un utilizzo non adeguato delle acque a Milano, può determinare una contaminazione del Po della quale risentiranno gli abitanti di Ferrara. Quindi, gestire bene la risorsa idrica significa pensare anche al cittadino ”prossimo”, non restare confinati e bloccati sul ”nostro” problema».

Anche perché le possibilità tecniche per affrontare così le questioni ci sono. A partire dalla considerazione positiva iniziale, che il ”problema acqua” – che resta un grosso problema – non è privo di soluzioni.