Le fasce di Van Allen continuano a catturare l’interesse dei ricercatori e ci fanno comprendere meglio la periferia di questo nostro pianeta, proprio adesso che si allunga la lista dei candidati al titolo di “pianeta speciale”. Nel 1958 le fasce – queste singolari strutture che avvolgono la Terra formate da particelle provenienti dal vento solare o dai raggi cosmici e intrappolate dal campo magnetico terrestre – erano state uno dei primi grandi risultati scientifici della missione spaziale Explorer 1, il primo satellite artificiale lanciato dagli Stati Uniti. In seguito si è capito molto della loro natura; le fasce sono due: la prima, più interna, molto stabile, costituita da un plasma di elettroni e ioni positivi ad alta energia; l’altra più esterna, è composta di soli elettroni ad alta energia.
Poi nel 2012 la Nasa ha lanciato le sonde Van Allen Probes, due satelliti gemelli posti in orbita geocentrica per poter studiare meglio le fasce. E subito si è scoperta l’esistenza di una terza fascia intermedia, provvisoria ma rimasta stabile per circa un mese. I ricercatori dell’Università della California di Los Angeles sono riusciti a modellizzarla e spiegarne il comportamento: sarebbe costituita da elettroni ultra-relativistici, cioè molto energetici e che viaggiano a velocità prossime a quella della luce, comportandosi quindi secondo le leggi della relatività di Einstein e non secondo la dinamica classica. Sono particelle solitamente presenti anche nelle due fasce già note e sono una minaccia per le missioni spaziali essendo difficile schermare il loro effetto sui satelliti artificiali.
Le sorprese circa le fasce sono continuate e poco più di un anno fa è stata scoperta una nuova struttura permanente in una delle due fasce, quella interna. Questa struttura ha una configurazione a strisce – l’hanno definita “zebrata” – che sembra essere prodotta dalla lenta rotazione della Terra, che finora si riteneva non potesse incidere sul moto delle particelle presenti nella fascia dato che queste, come si è detto, si muovono a velocità prossime a quella della luce. In un primo tempo si era pensato che all’origine di tali strutture zebrate ci fosse l’aumento del vento solare; tuttavia, le strisce zebrate sono risultate visibili anche durante le fasi di bassa attività solare, il che ha indotto i ricercatori a seguire nuove piste che hanno portato alla sorprendente scoperta che la causa delle strisce possa risiedere nella rotazione del pianeta.
L’ultimo capitolo della storia è di questi giorni ed è raccontato sulla rivista Nature da un gruppo di scienziati del Darmouth College (New Hampshire, Usa), guidati dal fisico Robyn Millan, che hanno alzato la soglia di allarme sulla potenziale pericolosità delle particelle che popolano le fasce. Gli scienziati, alle analisi e ai dati raccolti dai due Van Allen Probes hanno abbinato quelli ottenuti utilizzando la strumentazione trasportata da palloni sonda lanciati dall’Antartide e arrivati a raggiungere l’alta quota di 38mila metri.
Il lancio dei palloni rientra in un progetto, sempre supportato dalla Nasa, denominato BARREL, acronimo di Balloon Array for Radiation Belt Relativistic Electron Losses, cioè Schiere di palloni per la rilevazione di perdite di elettroni relativistici dalle fasce di radiazione: gli strumenti di BARREL registrano i raggi X prodotti quando gli elettroni in caduta vanno a collidere con l’atmosfera.
Lo studio pubblicato dal team di Darmouth si concentra sulle cosiddette onde di plasma, che sono come le onde sonore nell’aria tranne che qui ci si trova in un gas ionizzato cosicché si risente dell’influenza dei campi elettrici e magnetici. Millan fa risalire questi effetti al comportamento del Sole e descrive un brillamento solare che si è verificato nel gennaio 2014, rilasciando una raffica di particelle di vento solare che ha colpito e disturbato il campo magnetico terrestre. Ciò ha creato un particolare tipo di onda chiamato “sibilo plasmasferico”, del tipo di quelli che erano stati osservati da decenni nella regione del plasma denso che circonda la Terra nella parte alta dell’atmosfera.
«Quello che il nostro articolo dimostra – ha dichiarato Millan – è che abbiamo osservato queste onde nella posizione delle sonde Van Allen. Abbiamo visto le variazioni di campo elettrico e magnetico che mostravano una configurazione che si accordava perfettamente alle variazioni dei raggi X che stavamo registrando in Antartide. Abbiamo concluso che quelle onde causavano la diffusione degli elettroni. Abbiamo quindi ottenendo una nuova comprensione di come le particelle sono spinte in atmosfera. Stiamo imparando molto su dei processi che probabilmente stanno accadendo in tutto l’universo ma possono influenzare direttamente la nostra vita quando si verificano nel nostro ambiente planetario».