La notizia è veramente clamorosa e quindi prima di ogni altra considerazione è giusto e doveroso festeggiare: dopo anni di vacche magre e a volte magrissime, lo scorso 20 luglio il SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), che dai primi anni Sessanta cerca possibili segnali radio provenienti da altre civiltà, ha ottenuto dalla Breakthrough Prize Foundation del miliardario russo Yuri Milner un finanziamento pari alla fantasmagorica cifra di 100 milioni di dollari per un progetto di ricerca decennale denominato Breakthrough Listen.



Se si pensa che fino ad oggi tutti i programmi SETI attivi nel mondo messi insieme potevano contare al massimo su circa mezzo milione di dollari all’anno (quasi tutti negli Stati Uniti e tutti provenienti da donazioni private, dopo che nel 1993 il Congresso USA, per ragioni mai ben chiarite, aveva tagliato i fondi al programma SETI della Nasa iniziato appena l’anno prima), è del tutto comprensibile il clima di euforia che si respira in questi giorni tra i fautori della vita extraterrestre. Qualche precisazione è tuttavia necessaria, perché non si sia (erroneamente) indotti a pensare che siamo ormai sul punto di stringere la mano a ET.



Anzitutto, infatti, bisogna considerare che i soldi sono certo importanti, ma poi bisogna anche vedere come vengono usati. Da questo punto di vista qualche perplessità inizialmente c’era stata (anche da parte mia), giacché i media nel dare la notizia l’avevano associata perlopiù a Stephen Hawking, quasi che il progetto fosse suo, benché in realtà egli non si sia mai occupato del SETI e non sappia nulla di radioastronomia: di qui il dubbio che potesse trattarsi di un’operazione più “mediatica” che scientifica.

Appena però sono arrivate notizie più precise si è subito capito che Hawking in realtà c’entra poco o nulla, essendosi limitato a firmare, insieme ad altre celebrità (non solo del mondo scientifico), una “lettera aperta” a sostegno dell’iniziativa. Il progetto invece è guidato dall’Università di Berkeley, da tempo ormai leader nel campo insieme all’Italia, in collaborazione con diversi altri soggetti, tra cui anche Frank Drake, il “padre” del SETI, che iniziò la prima ricerca solitaria nel 1960 presso il radiotelescopio di Green Bank in West Virginia, che è anche uno dei tre centri di ricerca coinvolti in Breakthrough Listen (gli altri sono il Parkes Observatory australiano e il Lick Observatory di San José in California, che si occuperà della ricerca di possibili segnali ottici). Si tratta quindi del SETI “vero” e almeno da questo punto di vista si può stare tranquilli.



Altro aspetto molto positivo è l’annuncio fatto da Milner della sua intenzione di istituire a breve anche una Breakthrough Message Competition per la creazione di un messaggio da inviare ai nostri ipotetici partner extraterrestri, con in palio un premio di ben un milione di dollari. Ciò infatti rilancerebbe alla grande quel lavoro culturale interdisciplinare che da sempre rappresenta l’aspetto più caratteristico e interessante del SETI, che però negli ultimi tempi si stava seriamente rischiando di perdere, in gran parte a causa della crisi dello storico SETI Institute californiano.

E in effetti la definitiva conferma della crisi (speriamo non irreversibile) del SETI Institute, escluso da Breakthrough Listen nonostante vi sia stato invece coinvolto il suo fondatore Frank Drake (che peraltro da tempo non ricopriva più nessuna posizione attiva nell’Istituto), rappresenta il primo aspetto negativo di questa vicenda, anche se purtroppo non è affatto sorprendente e a questo punto, per quanto spiaccia dirlo, neanche molto rilevante,

Ben più grave è invece il mancato coinvolgimento dell’Europa e in particolare dell’Italia, anche se è chiaro che il fiume di denaro che si riverserà sulla piccola comunità del SETI porterà inevitabilmente vantaggi e opportunità per tutti. Tra l’altro i dati raccolti saranno messi a disposizione anche dei privati cittadini, come è tradizione ormai da anni, attraverso il SETI@home gestito dalla stessa Università di Berkeley, che permette a chiunque di partecipare alla ricerca scaricando gratuitamente un pacchetto di dati e il software per analizzarli in automatico direttamente sul proprio pc.

Tuttavia il problema del SETI non è mai stato la scarsità di dati, giacché esso viene perlopiù svolto rianalizzando quelli provenienti dalla normale radioastronomia, che sono una marea.

È vero che con molti soldi a disposizione si potrà fare una ricerca più “mirata”, ma che significa “mirata” in una situazione in cui in realtà non sappiamo a cosa mirare? Certo, si possono ossservare maggiormente le stelle che sappiamo avere pianeti: ma quelli fin qui scoperti sono in grande maggioranza giganti gassosi inadatti alla vita, per cui paradossalmente converrebbe quasi osservare stelle intorno a cui non sono stati ancora scoperti pianeti, perché lì c’è almeno la possibilità che ce ne sia qualcuno di tipo terrestre che ancora non è stato scoperto perché troppo picccolo. Poi si possono tentare altri metodi, come quello di osservare alcune “frequenze magiche” dove si ritiene sia più probabile trovare un segnale inviato intenzionalmente: ma in realtà nessuno sa fino a che punto queste speculazioni siano attendibili e comunque la più importante di tali frequenze, quella dell’emissione dell’idrogeno, viene già continuamente osservata nella radioastronomia ordinaria. Certo, avendo i mezzi vale comunque la pena tentare, ma i veri problemi sono altri.

Il primo è l’incremento della sensibilità dei ricevitori, che verrà risolto davvero solo con l’entrata in funzione dello SKA (Square Kilometer Array), il mega-radiotelescopio da un chilometro quadrato attualmente in costruzione in Sudafrica e Australia, che però sarà pronto non prima di 10-15 anni, nonostante vi partecipino alcune fra le più importanti Agenzie Spaziali del mondo, tra cui l’ESA. Non si vede come si potrebbe far meglio, anche con 100 milioni a disposizione: e infatti questo aspetto non compare tra gli obiettivi di Breakthrough Listen.

L’altro grande problema è costituito dai software deputati a “riconoscere” l’ipotetico segnale artificiale all’interno dell’assordante “rumore di fondo” generato dalle numerose e spesso potentissime radiosorgenti naturali che si trovano un po’ ovunque nell’universo. Gli algoritmi attualmente esistenti sono infatti in grado di identificare soltanto segnali intenzionali, verosimilmente molto rari, o segnali non intenzionali molto potenti, verosimilmente ancor più rari (perché mai una trasmissione radio o tv destinata al pubblico locale dovrebbe avere una potenza tale da essere facilmente visibile a decine o centinaia di anni luce?).

Insomma, il SETI è oggi nella situazione di un pescatore che disponga di una rete molto piccola e con maglie troppo larghe: osservare più stelle in più frequenze e per un tempo maggiore equivale ad ingrandire la rete, ma questo rischia di servire a ben poco se contemporaneamente non si provvede anche a stringere le maglie, il che al momento si può fare solo migliorando gli algoritmi (o, meglio ancora, inventandone di nuovi, perché quelli esistenti sono già stati “spremuti” fino ai limiti delle loro possibilità). Ora, è vero che tra i fini di Breakthrough Listen è menzionato anche «lo sviluppo di nuove tecnologie di ricezione», ma intanto non è chiaro se con questa espressione molto generica ci si riferisca anche ai software e, in caso affermativo, allora perché escludere proprio gli italiani, che sono all’avanguardia in questo campo?

Comunque queste pur doverose osservazioni critiche non devono guastare la festa. Quando un progetto riceve un finanziamento di questa entità, infatti, è sempre tutto il campo di ricerca che ne viene rivitalizzato, e le collaborazioni che non sono state prese in considerazione oggi potranno essere messe in atto domani. L’importante è che, dopo decenni di tentativi tanto generosi quanto sostanzialmente velleitari, la macchina si sia finalmente messa in moto a pieno regime. La caccia a ET è da oggi ufficialmente aperta.