Da circa 40 anni le Hawaii sono diventate una delle capitali mondiali della ricerca astrofisica grazie alla sommità del vulcano spento Mauna Kea. Per gli astronomi Mauna Kea è “il sito” per eccellenza. A 4200 m di quota, in condizioni eccezionali di trasparenza e tranquillità atmosferica grazie alla costante brezza degli alisei, operano i più grandi telescopi del mondo gestiti da vari consorzi internazionali. Lo scenario di notte è incredibile: il cielo mostruosamente stellato si riflette sull’Oceano Pacifico fino all’orizzonte, mentre il profilo dell’ultimo lembo di terra è marcato dal rossore della perenne eruzione del cratere Puu Oo, che riversa la sua lava nel mare. Nel silenzio, le grandi cupole aperte per scrutare l’universo. Scordatevi le spiagge, Mauna Kea vale il viaggio.
Uno di questi consorzi internazionali ha deciso di costruire a Mauna Kea il prossimo gigante, il “Thirty Meter Telescope”, o TMT come viene chiamato. Si tratta di un progresso enorme: finora non si è mai tentato di decuplicare in un solo colpo l’area del più grande telescopio esistente. Ma il salto è tecnicamente possibile, tanto è vero che anche l’Europa e un altro consorzio americano hanno avviato la costruzione di due telescopi simili da mettere nell’emisfero sud: una combinazione perfetta. Il costo di TMT non è trascurabile, circa 1.4 miliardi di dollari. L’aspettativa scientifica, enorme.
Negli ultimi mesi, tuttavia, è sorto un intoppo imprevedibile. È nato un movimento di protesta da parte degli indigeni Hawaiiani, i quali sostengono che i telescopi sulla vetta di Mauna Kea desacralizzano la montagna. Secondo un oppositore, certo Kealoha Pisciotta (sic!) intervistato dalla stampa, «si tratta del luogo di sepoltura di alcuni tra i più sacri e riveriti antenati…un luogo dove andare per trovare santuario e riposo dal mondo che ci circonda, e anche la casa del nostro dio». Le ragioni della protesta, in realtà, appaiono variegate, e a chi sostiene che Mauna Kea è il luogo dove cominciano le storie della creazione, o che sulla sommità del monte andavano a seppellire i cordoni ombelicali dei neonati, si aggiunge chi si preoccupa del paesaggio, della falda acquifera, di generici “diritti alla terra” e in generale della sovranità Hawaiiana che alcuni vorrebbero ristabilire ai danni dell’occupante americano.
È interessante notare che la protesta nei quarant’anni precedenti non è mai stata significativa, se non del tutto assente. Una delle ragioni del revival è che da un po’ di anni a questa parte sono stati fortemente incrementati programmi scolastici tesi al recupero delle tradizioni, a cominciare dalla bellissima lingua locale. Manifestazioni e riti si sono moltiplicati, in particolare in certe comunità che vivono un po’ ai margini delle zone turistiche e sono quindi meno a contatto, e meno economicamente favorite, dal viavai internazionale. Le generazioni più giovani, quelle più esposte a questa rinascita culturale hanno però anche mostrato una incredibile vitalità sui social media, riuscendo in poche settimane a fare diventare la protesta virale su scala planetaria, non solo su internet ma anche con vere e proprie manifestazioni di piazza in vari paesi del mondo occidentale. Come se il movimento no-TAV si ritrovasse ora sul no-TMT.
La politica sembra prendere tempo in attesa di tempi migliori; da un lato, i telescopi portano decine di milioni di dollari all’anno alle casse dello stato e offrono posti di lavoro molto ben remunerati, anche se se spesso la manodopera qualificata viene da fuori. Dall’altro non è concepibile inimicarsi la base elettorale del futuro. Gli astronomi invece, riuniti in questi giorni a Honolulu per il grande meeting triennale della Unione Astronomia Internazionale, si sono fatti prendere completamente di sorpresa e sono sembrati incapaci, almeno inizialmente, di capire la situazione e di parlare a chi li contesta. Sostenere che l’astronomia è utile perché agevola lo sviluppo delle macchine fotografiche dell’iphone o la gestione di grandi banche dati distribuite non risuona molto nei cuori di chi si ritiene vittima, onestamente e legittimamente, di un sacrilegio. Forse bisognerebbe ricominciare a parlare di curiosità, di stupore, di bellezza per trovare un terreno comune tra chi guarda con reverenza la cima di una montagna e chi desidera andarci sopra per guardare sempre un po’ più in là.