L’anemia di Fanconi (FA) è una rara forma di anemia dovuta a un difetto ereditario della riparazione del DNA; è caratterizzata da carenza di tutti i tipi di cellule del sangue, ritardo dell’accrescimento, malformazioni e tendenza a sviluppare tumori ematologici o solidi. È una patologia grave, che si manifesta in età scolare e ha un andamento progressivo; le cellule dei pazienti mostrano un’evidente instabilità cromosomica, con presenza di rotture e alterazioni dei cromosomi. La FA è una malattia geneticamente eterogenea, dovuta alle mutazioni dei geni implicati nella riparazione del DNA e nella stabilità genomica: sono stati identificati 15 geni coinvolti nella sua insorgenza, che rappresentano 15 gruppi di complementazione; i geni hanno tutti la denominazione FANC seguita ciascuno da una diversa lettera dell’alfabeto.



Uno di questi geni, il FANCM, si è recentemente rivelato anche come un possibile nuovo fattore genetico di rischio per il cancro al seno: è il risultato di uno studio congiunto nato dalla consolidata collaborazione tra INT (Istituto Nazionale dei Tumori) e IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) e coordinato da Paolo Peterlongo di IFOM e Paolo Radice di INT; lo studio è stato realizzato grazie alla collaborazione di molti centri italiani e stranieri che hanno messo a disposizione dati ottenuti nell’ambito di diversi programmi di ricerca. La ricerca INT-IFOM, descritta sull’ultimo numero della rivista Human Molecular Genetics, ha individuato nel FANCM un fattore di rischio fin ad oggi sconosciuto per il carcinoma mammario.



Lo studio, finanziato da AIRC, dimostra che una particolare mutazione di FANCM (denominata c.5791C>T) causa la sintesi di una proteina non funzionale. Inoltre, i dati di frequenza, ottenuti confrontando più di 8.600 donne affette da carcinoma mammario e 6.600 donne sane (provenienti da Italia, Francia, Spagna, Germania, Australia, Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi) suggeriscono che le donne portatrici della mutazione presentano un rischio di sviluppare il carcinoma mammario più elevato rispetto a quello della popolazione generale.

L’esempio più eclatante finora confermato è quello dei geni BRCA1 e BRCA2 (dall’inglese BReast CAncer) che, se alterati da mutazioni deleterie, determinano una probabilità di sviluppare un carcinoma mammario nel corso della vita di circa il 60-80%. Le mutazioni di questi geni sono relativamente frequenti e vengono identificate nel 10-20% di tutte le donne affette da carcinoma mammario che si sottopongono al test genetico. L’identificazione di una mutazione BRCA in una donna consente di identificare i parenti a rischio (coloro che hanno la mutazione) e chi ha un rischio equivalente a quello della popolazione generale (coloro che non hanno la mutazione).



La scoperta contribuisce a chiarire che esistono altri geni che, oltre a BRCA1 e BRCA2, se mutati aumentano le probabilità di cancro del seno. Inoltre, durante lo studio è stato rilevato che proprio le donne negative al test BRCA possono essere portatrici del gene mutato FANCM. Ciò è in sintonia con quanto emerge dalle ultime ricerche nel campo delle neoplasie mammarie: attualmente, i fattori genetici individuati “spiegano” circa la metà di tutti i casi di familiarità e i ricercatori proseguono in questa direzione per identificare le cause del restante 50% dei casi con familiarità per la malattia. Ebbene, l’elemento di maggior rilievo di queste scoperte consiste proprio nella loro caratteristica di essere complementari, in quanto le donne negative a uno dei test genetici possono invece risultare positive all’altro, con un’effettiva estensione della capacità e delle chance predittive da parte dei clinici. ?

Si tratta quindi di un importante passo avanti nelle conoscenze che consentono alla medicina predittiva di quantificare il rischio di sviluppare patologie determinate anche da fattori genetici. «Questa scoperta – ha sottolineato Paolo Radice – è un risultato significativo della collaborazione che vede INT e IFOM impegnati insieme sul fronte della suscettibilità genetica al cancro. I dati emersi incrementano le nostre conoscenze sui diversi geni che contribuiscono a innalzare il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Senz’altro i geni BRCA1 e BRCA2 conferiscono la quota maggiore di rischio. È però già possibile, grazie ai più recenti avanzamenti tecnologici, eseguire test che analizzano simultaneamente interi ‘pannelli’ di geni di predisposizione al carcinoma della mammella, tra i quali in futuro potrebbe essere incluso FANCM. È importante sottolineare che, dal momento che il rischio conferito dipende dal gene alterato e dalla mutazione identificata, è fondamentale che le persone che si sottopongono al test, lo facciano esclusivamente previa consulenza genetica con lo specialista».

Ora saranno necessari ulteriori approfondimenti sul gene FANCM prima di passare all’applicazione diagnostica. «Per poter trasferire i risultati in ambito diagnostico– ha precisato Paolo Peterlongo – saranno necessarie altre analisi per identificare ulteriori mutazioni nel gene e nuovi dati per determinare con più precisione il loro impatto sul rischio di sviluppare la malattia. In questo contesto risulta dunque importante che le persone che si sottopongono al test BRCA aderiscano ai programmi di ricerca dei maggiori centri oncologici nazionali che mirano all’identificazione di nuovi geni simili a quello identificato dal nostro team».