Erano quasi un migliaio i ricercatori convenuti la scorsa settimana all’Università Bicocca di Milano per la European Aerosol Conference 2015: un summit europeo degli studiosi degli aerosol e del particolato atmosferico e delle loro molteplici implicazioni sull’ambiente, sul clima, sulla salute. Chairman del convegno e padrone di casa il professor Ezio Bolzacchini, del  Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio dell’Università di Milano Bicocca, che ilsussidiario.net ha incontrato.



Professor Bolzacchini, iniziamo dalle definizioni: cosa si intende per aerosol?

Per aerosol si intendono tutte le particelle che restano sospese in atmosfera, che hanno intorno un alone di acqua e una velocità di arrivo al suolo relativamente bassa e quindi riescono a restare in atmosfera per lunghi periodi. Si tratta di particelle che hanno dimensioni da 2 nanometri ad alcune decine di micron; fino ad arrivare a corpuscoli più grossolani intorno ai 100 micron che hanno tempi di residenza in aria più brevi e presto cadono a terra. Il particolato atmosferico è dato dalle particelle secche, cioè da quello che rimane delle particelle, inizialmente circondate da un alone d’acqua, dopo la rimozione di quest’ultima attraverso un particolare meccanismo; a volte sono chiamate anche polveri. Possiamo anche dire che il particolato atmosferico è una manipolazione degli aerosol: se andiamo a fare una misura del particolato atmosferico, ad esempio i PM10, la parte tossica per l’uomo non è sicuramente quella acquosa che perciò viene tolta.



Qual è il ruolo degli aerosol nel bilancio globale dell’atmosfera? Quali gli effetti sul clima?

Questo è un aspetto molto interessante. Bisogna esaminare la composizione del particolato dal punto di vista chimico. Ci sono particelle, in pratica la parte inorganica quali possono essere solfati, nitrati e altri, che raffreddano l’atmosfera. C’è però un’altra componente, quella del cosiddetto black carbon, prodotto dalla combustione autoveicolare (ma anche dalla combustione in genere), che essendo un corpo nero assorbe la radiazione e quindi ha l’effetto contrario, cioè quello di riscaldare l’atmosfera. Il bilancio complessivo è a favore del raffreddamento ma dove il black carbon è concentrato – cioè vicino alle sue principali fonti di emissione, come i grandi conglomerati urbani – si genera un effetto di riscaldamento. Quindi il particolato ha un comportamento duale, che deve essere oggetto di attenta analisi e controllo. Non solo. Quando il particolato, soprattutto la componente black carbon, si deposita sul ghiaccio, come si può ben immaginare ne influenza lo scioglimento. Il fenomeno è studiato molto attentamente anche sui nostri ghiacciai alpini: è per questo, ad esempio, che nel periodo estivo, sia in Svizzera che in Italia, si cerca coprire le nevi in alta montagna stendendo teli bianchi per evitare che le particelle arrivino sugli strati superficiali.



Quali sono gli aspetti scientifici ancora da capire?

Sono tantissimi; è questo convegno ha offerto numerosi contributi rilevanti in particolare su alcuni temi. Ad esempio, dal punto di vista della modellistica un obiettivo sempre perseguito è quello di riuscire a fare delle previsioni certe, analogamente a quanto si fa per il meteo; nel nostro caso si tratta di fare delle previsioni delle concentrazioni di PM 10, PM 2,5, PM 1: attualmente si possono fare previsioni a tre giorni ma molte volte è difficile arrivare a numeri corretti. C’è inoltre uno sforzo generale per riuscire a conoscere meglio la composizione chimica del particolato.

Dove si manifestano maggiormente gli effetti della presenza del particolato?

Si manifestano dovunque, quotidianamente e in molte situazioni anche molto diverse. Facciamo il caso dei beni culturali. Per fare un esempio recente, in occasione del trasferimento della celebre Pietà Rondanini di Michelangelo nella sua nuova collocazione al Castello Sforzesco di Milano, si è visto come la statua fosse ricoperta da uno strato di particolato atmosferico depositatosi in diversi modi e portato anche dagli stessi visitatori.

Altri effetti?

Consideriamo i data center: sono apparecchiature che necessitano di molta areazione per tenere raffreddati i circuiti elettronici ma l’aria contiene particolato atmosferico che minaccia di corrodere i circuiti stessi; bisogna perciò dotare i sistemi di appositi filtri e tenere sotto controllo la qualità dell’aria che circola in quegli ambienti. Poi ci sono i potenziali effetti negativi sulla salute. Le particelle sospese possono diventare un mezzo di trasporto anche per materiale organico, possono essere un veicolo di batteri e virus: diventano perciò una minaccia presente nella vita di tutti i giorni.

Sembra di capire che la ricerca in questo campo non sia tanto indirizzata agli aspetti teorici e di base ma piuttosto a sviluppare i metodi di indagine della entità del fenomeno e dei suoi effetti…

No, non è solo questo. Ci sono ancora importanti studi a livello della ricerca fondamentale. La riprova è che nel convegno appena concluso c’era una sessione espressamente dedicata ai Fundamentals. C’è ancora da capire bene le proprietà di queste particelle, la loro composizione chimica, come si formano le particelle di origine secondaria da composti organici volatili: molte particelle si formano in atmosfera da precursori gassosi e bisogna conoscere meglio quali sono i processi che portano alla loro formazione. In una sessione si è discusso del processo di formazione delle particelle in alta atmosfera, ai limiti della troposfera: sono in corso interessanti esperimenti su questo, condotti nientemeno che al Cern di Ginevra dove c’è una grossa camera che simula l’atmosfera e lì si fanno indagini sperimentali per vedere il formarsi delle prime particelle sia da composti organici che inorganici.

Quali sono le linee di ricerca più promettenti?

Gli studi più importanti sono principalmente su due filoni. Uno riguarda la messa a punto di sistemi che permettono di contare le particelle in funzione della loro dimensione: con le nuove generazioni di strumenti oggi riusciamo in modo piuttosto facile a misurare le particelle da 2 nanometri fino a 20 micron e a indicare il numero istante per istante, in pratica ogni secondo e anche meno. Ciò è molto importante, se pensiamo che si tratta delle particelle che respiriamo… L’altro filone riguarda la composizione chimica delle particelle, che è molto diversa da caso a caso e dipende dall’origine e dal percorso del particolato. Si pensi alla enorme differenza tra una particella che si origina dalle sabbie del Sahara e quella derivante dalla combustione di un veicolo diesel. La ricerca mira a perfezionare tutte quelle tecniche, spettroscopiche e spettrofotometriche, che permettono di analizzare nel dettaglio le molecole presenti all’interno del particolato nei vari contesti. Oltre alla diversità dovuta all’origine, ci sono anche da considerare tutte le reattività che questi composti subiscono in atmosfera col passare del tempo: c’è un effetto che noi chiamiamo di aging, vale a dire di invecchiamento del particolato, che va studiato con attenzione.

Cosa l’ha maggiormente colpita nel corso di questa European Aerosol Conference?

Vorrei segnalare l’interessante contributo di Laurence Rouil, dell’Institut National de l’Environnement Industriel et des Risques francese, che ha indicato i temi caldi relativi agli aerosol e ha illustrato le prossime politiche per la riduzione del particolato, che faranno sempre più leva su una modellistica molto raffinata, sulla possibilità di avere previsioni più attendibili e su un maggior controllo delle emissioni. Un altro contributo da portare all’attenzione più generale è quello che esamina il particolato indoor: spesso noi diciamo scherzosamente “tutti a tavola, il particolato è servito”, a sottolineare che i nostri ambienti interni, soprattutto domestici, sono fonti di particolato e meritano ulteriori studi e analisi. Infine vorrei indicare il contributo di un gruppo dell’Università di Rochester (Usa) che ha parlato delle nano particelle, dei loro effetti sulla salute e della necessità di applicare un principio di precauzione, cioè di immettere sul mercato solo nanoparticelle classificate nel sistema Reach, quindi con una precisa conoscenza delle loro caratteristiche e dei loro effetti.