Un evento meteorologico può essere considerato estremo sia a livello di violenza e di impatto che a livello puramente statistico (estremo di una distribuzione di dati, il valore più alto o più basso mai registrato in una serie di dati) e le due accezioni sono spesso associate ma non sempre equivalenti. Infatti è evidente che il passaggio di un ciclone con venti di intensità record determina molti più danni di una semplice perturbazione, e ne abbiamo avuto purtroppo molti esempi recenti. D’altra parte, una normale nevicata molto umida e pesante in una zona ancora impreparata, come accaduto nell’ovest della Germania nel novembre 2005 (evento non estremo), può causare molti più disagi di un record di freddo (evento estremo). Inoltre, particolarmente in quest’epoca, è urgente la necessità di capire quale sarà l’influenza dei cambiamenti climatici attuali e futuri sulla frequenza e le caratteristiche di eventi particolarmente violenti e pericolosi.
Di tutto questo, a altro ancora, si è dibattuto alla fine del mese scorso ad Ascona (Canton Ticino), nella splendida località svizzera affacciata sul Lago Maggiore, dove si è svolta la 14esima edizione della Swiss Climate Summer School, organizzata congiuntamente dall’Università di Berna e dal Politecnico Federale (ETH) di Zurigo. Scienziati e professori si sono ritrovati insieme per una settimana di seminari e formazione rivolta a giovani ricercatori in un evento che, a dispetto del nome, ha avuto un respiro decisamente internazionale.
Il titolo di quest’anno, “Extreme events and climate”, racchiude un tema attuale e complesso, che richiede la collaborazione di diverse comunità per essere analizzato a fondo. Una comprensione globale dell’argomento richiede quindi un’interazione tra la ricerca scientifica, le autorità preposte alla prevenzione e alla protezione della cittadinanza e anche l’ambito assicurativo. Alla Summer School erano presenti meteorologi e studiosi di eventi estremi a livello fisico e dinamico ma anche climatologi, statistici e anche una considerevole rappresentanza di chi si occupa degli impatti di questi eventi sul territorio, sia dal lato scientifico e idrogeologico che sul versante amministrativo e assicurativo.
Il reciproco scambio di informazioni tra questi diversi ambiti si sta dunque gradualmente sviluppando, infatti anche il Workshop on European Storms svoltosi a Berna la settimana seguente, ha visto la collaborazione tra il mondo accademico e le applicazioni assicurative (sebbene in quel caso il focus era ristretto ad episodi di vento estremamente intenso derivanti dal passaggio di cicloni extratropicali sul suolo europeo).
All’interno dei diversi temi approfonditi durante la Summer School vorrei mettere particolarmente in luce l’importanza della comprensione di ciò che avviene a livello fisico nei singoli sistemi meteorologici che causano eventi estremi.
Dalle proiezioni globali dei modelli climatici per il prossimo secolo possiamo dire di avere un buon livello di confidenza su un generale riscaldamento e una confidenza accettabile sull’aumento di intensità (ma non di frequenza) delle precipitazioni. Si può quindi affermare che la maggioranza delle regioni europee assisteranno a una variazione dei massimi livelli di precipitazioni. A causa della caoticità del sistema atmosferico e della sua variabilità naturale non si può però affermare, ad esempio, che a Berlino nel ventennio 2080-99 si registreranno eventi di precipitazione più intensa rispetto a quando accade attualmente (2000-19).
Anche le proiezioni statistiche sofforono delle stesse limitazioni. Infatti esse mostrano uno aumento significativo della probabilità di eventi estremi a livello globale legati all’aumento della temperatura media del pianeta, ma quando si guarda la singola località le incertezze, legate in gran parte alla variabilità del sistema, diventano più rilevanti di ogni segnale di variazione.
Davanti a questo problema Heini Wernli, direttore del gruppo di ricerca in Atmospheric Dynamics all’ETH di Zurigo, ha intelligentemente rimarcato la necessità di un collegamento tra la ricerca climatica e la conoscenza della dinamica dei singoli eventi estremi nelle diverse parti del mondo. Ad esempio, è probabile che nel futuro i cicloni tropicali (uragani) riescano a spingersi più a Nord ma se questo può essere importante per gli Stati Uniti è molto difficile che possa avere un impatto su Berlino. Per l’Europa centrale invece sarà molto più rilevante lo studio dell’organizzazione e propagazione dei sistemi temporaleschi in un ambiente con maggiore disponibilità di umidità e calore.
Olivia Martius, Head of Climate Change Research Group all’Università di Berna, in accordo con l’osservazione di Wernli ha inoltre aggiunto che il motivo principale per cui si studiano sistemi meteorologici come i cicloni extratropicali risiede nel loro fascino e nella loro struttura così complessa, in cui la varietà di scale e di processi coinvolti pone alla comunità scientifica una sfida formidabile.
I sistemi meteorologici sono la causa degli eventi estremi e la comprensione dei processi che avvengono al loro interno è fondamentale per l’analisi e la proiezione degli eventi estremi attuali e futuri, che non può limitarsi a una “cieca” estrapolazione statistica o modellistica.
Oltre all’utilità nel ridurre l’impatto di fenomeni estremi sulla popolazione, è comunque lo stupore per strutture così complesse e incredibilmente “eleganti” la prima causa che porta a cercare di capire il loro funzionamento.