Avrebbe voluto studiare biofisica e la vittoria del premio Eucys 1989, per una ricerca di argomento biologico, poteva confermare quella decisione. Poi però la vita l’ha portata su un’altra strada, sempre scientifica, e così Lina Tomasella è diventata astrofisica (e si dichiara ben contenta di esserlo) e ora svolge la sua ricerca presso l’Inaf-Osservatorio Astronomico di Padova. La incontriamo a Milano alla cerimonia di premiazione proprio di Eucys, del quale adesso è presidente della giuria.
Eucys (European Union Contest for Young Scientists) è il concorso dell’Unione europea per giovani scienziati, giunto alla sua 27esima edizione, la cui fase finale si è svolta a Milano, magistralmente organizzata dalla Fast (Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche). Nei giorni scorsi sono convenuti nel capoluogo lombardo, 169 studenti (tra i 16 e 20 anni) vincitori dei primi premi nelle competizioni nazionali in 39 Paesi (dall’Europa ma anche da alcune altre nazioni), che hanno esposto presso la Fabbrica del Vapore lavori, prototipi e ricerche di 103 progetti tra i quali la giuria presieduta da Tomasella ha selezionato i vincitori.
Agli studenti classificati nelle prime tre posizioni sono andati premi da 7000, 5000 e 3500 euro ma altri riconoscimenti consentiranno ad alcuni “giovani scienziati” di frequentare stage presso grandi centri europei come il Cern e l’Esa e a una studentessa russa e a uno tedesco di seguire la Settimana della Scienza di Stoccolma, in dicembre, partecipando alla cerimonia di consegna dei premi Nobel 2015.
Come si svolge il processo di selezione e assegnazione dei premi Eucys?
C’è una prima fase nella quale vengono valutati i lavori: già a luglio la giuria ha potuto esaminare i progetti e gli elaborati e ha espresso una prima valutazione accompagnata da osservazioni e commenti, analogamente a quanto fanno i referee per l’accettazione degli articoli scientifici sulle riviste specializzate internazionali; ogni giurato ha esaminato 20-25 lavori, principalmente nel suo campo di ricerca. Poi durante il contest, nella fase finale del concorso, c’è un incontro diretto tra concorrenti e giuria nel quale si può meglio verificare l’effettivo apporto del singolo studente e che tipo di risorse e di supporti ha potuto utilizzare, qual è insomma la loro reale preparazione.
Quali sono state le principali difficoltà per la giuria?
Penso siano state quelle di individuare le caratteristiche che avevamo posto come qualificanti per questi lavori scientifici: la creatività, eventualmente la novità, ma soprattutto il metodo scientifico. In realtà non è così facile oggi trovare cose assolutamente nuove e spesso vengono presentati lavori su fenomeni ben noti; però ci interessa principalmente vedere se viene applicato in modo adeguato e brillante il metodo scientifico, magari realizzando uno strumento o delle apparecchiature per mettere in evidenza qualche nuovo elemento. Pertanto in genere decidiamo di premiare insieme l’originalità e la rigorosità del metodo.
Avete notato evidenti differenze tra i concorrenti di diversi Paesi? Possiamo parlare di “unità europea” a questo livello oppure no?
No, purtroppo devo dire che non c’è ancora un’unità tra i diversi Paesi. Anzitutto ci sono ancora grandi difficoltà linguistiche: i ragazzi di alcune nazioni hanno la possibilità di esporre meglio le loro attività e ricerche e ciò incide nella fase del processo di valutazione nella quale noi intervistiamo i candidati, il che ovviamente avviene in lingua inglese.
Anche nello specifico dei lavori presentati si notano differenza nell’atteggiamento degli stati verso la ricerca: si capisce molto bene quali sono gli stati che investono maggiormente nella ricerca, che nelle scuole mettono a disposizione dei ragazzi dei laboratori ben attrezzati. Mi ha colpito, ad esempio, il caso della Polonia, dove gli studenti che hanno delle idee possono fare un proposal di ricerca e richiedere del tempo-laboratorio: se il progetto è riconosciuto come “di qualità”, viene loro assegnato un tutor e possono accedere anche a dei laboratori universitari dove realizzare i loro progetti.
I risultati che avete premiato sono più l’esito di un’azione educativa scolastica ben condotta o si tratta solo di “piccoli geni”?
Un po’ entrambe le cose, direi. Ci sono dei ragazzi davvero geniali, che emergono e si può già immaginare che in futuro potranno essere personalità di rilievo in campo scientifico. Però alla base c’è molto lavoro fatto nelle scuole: molti dei ragazzi che partecipano a queste iniziative sono invogliati e sostenuti dai loro insegnanti o comunque svolgono queste attività all’interno di un preciso programma educativo. I lavori presentati sono stati condotti per lo più in collaborazione con i docenti; spesso sono lavori scolastici realizzati, ad esempio, negli ultimi anni delle superiori, al fine di poter portare una tesina all’esame finale. Non sempre però è così: le due ragazze polacche che hanno vinto il secondo premio, avevano avuto una loro idea per l’impiego di nanomateriali nella cura della osteoporosi e avevano chiesto direttamente all’università il monte ore di laboratorio per svolgere la parte sperimentale.
Per quanto riguarda gli argomenti, ci sono tendenze particolari, c’è la prevalenza di quale aspetto, ad esempio di attualità?
Direi che ci sono un po’ tutti questi fattori: ci sono ricerche più teoriche e altre più applicative, distribuite su tutte le discipline. Consideriamo, ad esempio, i primi premi: uno è andato a un giovanissimo statunitense di origine indiana che ha svolto una ricerca di matematica, in particolare ha stabilito una nuova prospettiva della cosiddetta K-Theory, che è una struttura matematica fondamentale nella topologia algebrica. Questo è un caso in cui si può davvero parlare di genialità: penso che risentiremo parlare di questo Sanath Devalapurkar… Un altro primo premio è per la fisica: è stato assegnato a due ragazzi polacchi e riguarda un fenomeno ben noto ma rivisitato in modo molto originale, con una accurata analisi sperimentale. Il terzo è un lavoro in informatica, svolto da uno studente tedesco con brillanti soluzioni di computer grafica.
Lei ha vinto il primo concorso Eucys nel 1989. Quali confronti può fare con la situazione di oggi?
C’è una grandissima differenza. Basti pensare all’enorme vantaggio che hanno questi ragazzi di poter accedere a Internet e a tutte le risorse informatiche attuali. All’epoca della mia partecipazione non c’era Internet e si doveva andare in biblioteca, cercarsi la bibliografia, leggersi molti saggi e articoli per estrarre le informazioni necessarie; e anche la preparazione dell’elaborato era più impegnativa: pensi che il mio progetto l’ho battuto a macchina… Quello che però non è cambiato è il metodo scientifico, che è sostanzialmente lo stesso da molto prima di Eucys, da circa 400 anni.