Il titolo è un po’ inusuale ma la rilevanza dei temi è stata di primo piano. Parliamo del convegno “Microbiot-Eat” svoltosi nei giorni scorsi a Roma, presso la sede di San Paolo Fuori le Mura dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, per riflettere su quella che un tempo si chiamava flora batterica intestinale, sul suo ruolo nello stato di salute e malattia soprattutto dei bambini e sulla sua correlazione con l’alimentazione. L’iniziativa, che ha raccolto i massimi esperti europei sull’argomento, si colloca nell’ambito di quelle promosse dalla Santa Sede per Expo Milano 2015 e fa parte del progetto “Nutrire la vita”. Ilsussidiario.net ne ha parlato con la dottoressa Lorenza Putignani, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che ha svolto la prima relazione al convegno.
Prima si parlava di flora batterica ora si parla di microbiota; perché?
Con la vecchia accezione di flora batterica intestinale ci si riferisce a qualcosa di cui tanto si è parlato fin dall’inizio della medicina: lo stesso Ippocrate sosteneva che in realtà nell’intestino si definiscono sostanzialmente tutte le cause delle patologie. Per molto tempo i clinici e i gastroenterologi si sono occupati di questo tema, anche in modo funzionale, ma ne hanno sempre parlato in termini di flora batterica. Attualmente è subentrato questa nuova denominazione, microbiota, che i biologi hanno iniziato a definire all’inizio degli anni 2000: c’è stato quindi un cambiamento di definizione che però è stato accompagnato da un cambiamento di mentalità.
In che senso?
Nel senso che precedentemente, nel caso di patologie o di disturbi gastro intestinali, l’attenzione era principalmente rivolta a specifici agenti microbici, agenti di modulazione o alterazione della flora; poi lentamente si è iniziato a capire che non soltanto alcuni batteri ma il loro insieme aveva un ruolo specifico. Infatti modulandone nell’insieme le reciproche proporzioni si poteva indurre quello che si chiamava l’equilibrio intestinale, ovvero un fenomeno di simbiosi. Ogni volta che in quantità e in qualità si alterano i componenti del microbiota, da una situazione di simbiosi si passa a una di disbiosi; in base a quest’altro nuovo termine possiamo stabilire il grado di disturbo di questo superorgano, come a volte viene indicato il microbiota. Effettivamente si tratta di un insieme di moltissimi componenti: 10 alla 14, cioè 1 con 14 zeri, per grammo di feci e ciò basta per intuirne la complessità sia costitutiva che funzionale.
Possiamo riportare queste considerazioni a livello dei bambini?
Ci sono due aspetti. Il primo è quello fisiologico: fin dal momento del parto inizia la modulazione del microbiota intestinale e le due modalità di parto – naturale o cesareo – sono sollecitazioni così forti che possono cambiare i componenti del microbiota fin dalle prime ore di vita. Un’altra variante importantissima è l’allattamento: in alcuni casi i componenti del latte materno possono essere gli stessi del canale del parto; quindi si intuisce come una sinergia funzionale mamma-bambino sia importantissima soprattutto nei primi istanti di vita.
E dopo?
Tutto poi evolve e struttura le varie risposte dell’organismo: quella immunitaria, quelle di benessere dell’intestino e così via. Inizia così per il microbiota una strada, all’interno del bambino, determinata da una continua interazione: parliamo di interplay, nel senso che si innesca una relazione altamente dinamica tra i batteri componenti e l’organismo ospitante. Ciò inizia durante l’allattamento ma prosegue dopo lo svezzamento e contribuisce a stabilire le strutture che poi diventeranno adulte: è un percorso di programming che si attua nei primi mesi di vita e che porta al costituirsi di questo poderoso organo che è l’intestino con tutti gli strumenti per la “discesa” verso l’esterno e per tutta la fondamentale attività metabolica.
Si comprende facilmente come l’alimentazione influenzi tutti questi processi; quali sono le ultime acquisizioni in proposito?
Recentemente ci sono stati molti studi su questo argomento: attraverso analisi dei sistemi microbici si sta cercando di capire come diverse modalità di alimentazione, fin da bambini, possano aiutare a costituire una flora batterica sana. Si stanno producendo anche molti strumenti per assistere la persona in uno sviluppo ordinato di questi sistemi.
Da questi studi derivano anche indicazioni pratiche?
Certamente. Ad esempio sul problema dell’allattamento era già ben noto che il latte materno ha una componente di difesa importantissima per il neonato; aiuta inoltre, come recenti ricerche evidenziano, coordinato con tutte le fasce batteriche, a sviluppare le vie metaboliche principali presenti nell’intestino. E c’è una sincronizzazione tale che le modulazioni del microbiota nei primi giorni di vita riflettono in pieno le fasi di maturazione del latte: c’è una prima fase, di transizione, nei primissimi giorni e poi una fase di maturazione. È come se si definisse un’impronta – si chiama infatti fingerprinting – dell’attività dei vari componenti principali del microbiota che corrisponde alle varie fasi di maturità del latte.
Che ruolo possono svolgere i probiotici nella modulazione dei batteri intestinali?
Possono avere un effetto molto rilevante, come mostrano i numerosi studi recentemente condotti per diverse patologie. I probiotici sono da considerare comunque caso per caso, al fine di somministrare dosi ottimali a seconda della patologia in atto: sotto attenta analisi del clinico possono essere definiti dei probiotici, che altro non sono che dei batteri, dei fermenti vivi che possono aiutare a ripristinare o modulare o indurre un effetto positivo sul sistema microbiotico. Si tratta ora di stabilire nuovi metodi applicativi, valutando quanto essi possano essere persistenti nell’intestino, quanto possano modularlo, quanto possano innescare reazioni di ottimizzazione o viceversa non producano reazioni: in ogni caso è chiaro che non hanno effetti negativi.
A livello terapeutico si parla anche di trapianto di microbiota; è possibile?
Sì, e in Italia c’è una realtà molto avanzata e ben organizzata per questo. Si parla di trapianto fecale in adulti affetti da infezioni ricorrenti da Clostridium difficile. Quello che ora la comunità scientifica sta cercando di fare è estendere lo spettro di applicabilità di tale trapianto ad altre patologie.
Anche nei bambini?
Per il momento viene praticato negli adulti in modo molto controllato. Nel mondo ci sono stati circa una ventina di interventi a livello pediatrico: qui, come si può intuire, è tutto molto più complesso essendo in corso il processo di programming; i criteri di selezione dei donatori devono essere rigorosamente controllati e devono essere anche molto ben stratificati i riceventi.
Al recente Congresso Microbiot-eat si è parlato anche dei nessi tra sistema nervoso e intestino: cosa si può dire in merito?
Ci sono dei colleghi gastroenterologi che stanno studiando in modo approfondito l’attività “nervosa” dell’intestino (qualcuno parla anche di “secondo cervello”). Al di là della costituzione fisiologica dei gangli a livello intestinale, c’è da osservare che molte molecole attivamente sintetizzate e prodotte dai batteri sono dei neurotrasmettitori e non è difficile immaginare come l’intestino, anche nel suo funzionamento appropriato, possa avere effetti diretti sull’asse chiamato gut-brain (intestino-cervello) quindi sulla capacità di modulazione dei comportamenti, sullo stato di benessere della persona.
Voi lavorate in collegamento con l’Istituto per la salute del Bambino e dell’Adolescente, attivo presso l’Ospedale Bambino Gesù: di cosa si tratta?
Noi siamo dei laboratoristi e mettiamo a disposizione dei test diagnostici e traslazionali per la medicina di sistema. Sta poi ai clinici utilizzare gli strumenti, i tools, che noi predisponiamo per attuare un nuovo approccio alla medicina, un approccio olistico o di sistema: per esso la saluto del bambino e dell’adolescente viene vista in riferimento all’ambiente, all’alimentazione, a tutta una serie di agenti esterni e interni all’organismo. Una concezione che ingloba uno stato di equilibrio più complesso. È questa la prospettiva nella quale opera l’Istituto da lei menzionato: una struttura virtuale multidisciplinare che risponde alla missione di un grande Policlinico Pediatrico non solo di curare i bambini ammalati, ma anche di prevenire le malattie nel bambino “sano”.