“Questa è la base fondamentale di tutte le invenzioni moderne”: così Albert Einstein considerava la pila di Volta, la cui storia e la cui attualità sono presentate nella mostra “La Pila di Volta: una invenzione che ha messo in moto il mondo”, curata dall’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere con la consulenza scientifica di Ferdinando Borsa Milano; inaugurata in giugno, resterà aperta fino al 31 ottobre facendo riecheggiare nelle austere stanze di Palazzo Landriani (Brera) la parola energia che compare nel titolo di Expo 2015.



Piatto forte del percorso espositivo sono i documenti originali, con molti testi autografi, resi visibili al pubblico: «un prezioso materiale in dotazione all’Istituto Lombardo – ci dice la cancelliera dell’Istituto Adele Bianchi – che già nel 1860 era intervenuto per acquisire da un antiquario di Como sia i manoscritti che gli strumenti del laboratorio di Volta, dopo averne riconosciuto l’autenticità. Da notare che per l’acquisto si era dovuto lanciare una raccolta di fondi, alla quale aveva partecipato lo stesso Re Vittorio Emanuele e subito dopo di lui Alessandro Manzoni con una quota di 250 lire. Purtroppo non si è potuto fare la stessa cosa con la biblioteca del grande fisico che è andata dispersa».



L’Istituto comunque ha potuto raccogliere circa 6000 manoscritti originali, sia scientifici che di argomento generale o familiare; tra questi molte lettere ad altri studiosi, «perché quello epistolare – dice a ilsussidiario.net Attilio Rigamonti, fisico dell’università di Pavia e collaboratore nella preparazione della mostra – era all’epoca la via normale della comunicazione scientifica». Una documentazione enorme, di grande rilevanza storica e, anche solo per la parte in esposizione, di indubbio impatto sul visitatore: fa un certo effetto vedere il manoscritto nel quale Volta disegna lo schizzo di una rana descrivendo i sei passaggi degli esperimenti da lui eseguiti; come pure leggere la lettera in francese con la quale il 20 marzo 1800 comunica l’invenzione della pila a Joseph Banks che la leggerà in una riunione della Royal Society di Londra.



«I manoscritti non fanno che dare maggior risalto – aggiunge Rigamonti – a quel percorso scientifico che ha portato Volta a realizzare la celebre pila e che è noto e già molto studiato. I principi fondamentali del funzionamento della pila, la sua struttura e la sua realizzazione sono ben conosciute e sono state oggetto di particolare approfondimento in occasione del centenario (1999) dell’invenzione e per un’altra esposizione analoga allestita a Pavia, dove peraltro Volta era stato professore di fisica sperimentale dal 1878».

Colpisce, tra l’altro, in questa documentazione autografa, l’assenza di qualsiasi formalismo matematico: non ci sono formule o calcoli, solo degli schemi e qualche dato; anche se sono copiosi e dettagliati i resoconti osservativi e le descrizioni dell’attività sperimentale. «Sì, questo è un aspetto interessante. Ma bisogna ricordare che a quel tempo mancavano quegli strumenti matematici che oggi siamo abituati ad utilizzare anche per descrivere i fenomeni elettrici. Volta ha scoperto quello che poi si è denominato “effetto Volta” e successivamente ha inventato la pila semplicemente come esito di lunghe discussioni con i cosiddetti galvanisti circa l’origine della scarica elettrica che faceva agitare le celebri rane. Volta aveva fatto prima di allora molte scoperte relative ai fenomeni elettrostatici, cioè quelli dove gli oggetti venivano caricati elettricamente per strofinio o con sistemi simili; a quel tempo era molto in uso esibire tali fenomeni nei salotti, dove i fisici provocavano scariche e scintille spettacolari col coinvolgimento diretto dei presenti. Ma queste non sono direttamente connesse con l’effetto Volta e con la pila».

Mentre esaminiamo i prototipi di pile esposti, Rigamonti ci riassume queste scoperte del genio comasco. «Se si mettono a contratto due metalli diversi, si verifica un riequilibrio tra le relative nuvole di elettroni – per raggiungere il livello di energia che oggi sappiamo essere il cosiddetto livello di Fermi – che determina una differenza di potenziale nella zona di contatto: questo era un fatto difficile da evidenziare e Volta ci era riuscito con qualche artificio. Ma questo è l’effetto Volta e non è ancora la pila; è solo il suo principio generatore. Volta doveva ancora chiarire che la scarica osservata nelle rane era dovuta alla presenza dei due metalli diversi con i quali la rana era a contatto; scriverà infatti: “è la differenza dei due metalli che fa”. A quel punto capì che poteva realizzare un circuito nel quale questa scarica potesse circolare; bisognava interporre tra i due metalli quello che si dice un conduttore di seconda specie».

Su questo punto la visita alla mostra è molto efficace perché vi dà la possibilità di mettere direttamente le mani su due piastre metalliche diventando voi stessi “conduttori di seconda specie”, oppure di vedere due lamine infilzate su un limone o su una patata – come aveva fatto Volta – e misurare con uno strumento il passaggio di una pur debole corrente. Ma anche questa misura era difficile per Volta, che non aveva certo a disposizione gli amperometri che abbiamo oggi. «Aveva però messo a punto degli elettroscopi; e poi ritengo che sia già riuscito ad utilizzare come strumento di misura l’effetto magnetico della corrente, mettendo un ago magnetico all’interno del circuito e registrandone la rotazione (un fenomeno che sarà compiutamente osservato vent’anni dopo ed è tra i fondamenti dell’elettromagnetismo, ndr). In verità come strumento di misura Volta utilizzava più che altro i suoi assistenti, o si metteva egli stesso a testare la presenza della scariche nel proprio corpo. Aveva scoperto, senza neppure saperlo, la regola delle resistenze in serie e in parallelo, accorgendosi delle differenze nella scarica quando gli assistenti si davano la mano o toccavano contemporaneamente gli estremi della pila».

Comunque, secondo Rigamonti, «il contributo geniale di Volta, in questo caso, è stata quella di riuscire a intuire che poteva chiudere il circuito, cioè generare un flusso continuo di elettricità attraverso un percorso chiuso: perché la rana si muoveva? perché tra i due metalli, attraverso la rana passava qualcosa (non c’era ancora il concetto di carica) che finora lui aveva visto sotto forma statica negli oggetti elettrizzati».

Rigamonti, richiamando la frase di Einstein citata all’inizio, insiste sull’importanza della pila nella storia della scienza e della tecnica: «senza la pila non sarebbero pensabile non solo tutto lo sviluppo tecnico dell’Ottocento ma neppure i successivi passi della fisica, dall’elettromagnetismo alla quantistica». Tanto che una esposizione storica come questa, dopo le carte ingiallite dei manoscritti e dei libri originali di due secoli fa e dopo una serie di strumenti rudimentali e non certo accattivanti per l’occhio moderno, può concludersi parlando dell’ultimo premio Nobel: in una apposita postazione didattica vengono illustrati i moderni sviluppi delle scoperte voltiane, mostrando l’analogia dell’effetto Volta con l’effetto elettrico che si genera alla superficie di contatto di due semiconduttori per dare origine ai LED. Una semplice installazione interattiva consente di ottenere una luce bianca miscelando la luce di tre LED monocromatici: rosso, verde e blu; e proprio per l’invenzione del LED a luce blu, lo scorso dicembre hanno ricevuto il Nobel per la fisica i giapponesi Isdamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuj Nakamura; nel nome di Volta.