Ci stiamo abituando all’irrompere sulla scena scientifica di nuovi protagonisti, materiali e immateriali, dalle caratteristiche esotiche, appartenenti al mondo delle particelle o delle onde o di entrambi, e dai nomi singolari: bosoni, solitoni, fononi, plasmoni. Ma non si tratta solo di speculazioni teoriche; si iniziano a intravvedere possibili applicazioni pratiche nei campi più disparati. Gli ultimi citati ad esempio, i plasmoni, sono balzati recentemente alla ribalta per merito dei ricercatori della Rice University che li hanno impiegati nel mettere a punto un modo nuovo ed efficace per catturare l’energia solare e convertirla in energia pulita e rinnovabile, scindendo molecole d’acqua.



I plasmoni arrivano dal mondo della fotonica e si potrebbero definire come quanti di eccitazione prodotti dal moto oscillatorio della nube elettronica delocalizzata in un solido metallico. Possono essere impiegati in sistemi nanoelettronici per il trasporto ottico di segnali e di informazione. Alla Rice hanno utilizzato i plasmoni di superficie, cioè delle onde di elettroni che scorrono come un liquido su una superficie metallica, per la conversione energetica della luce solare.



Il nuovo processo  tecnologico, descritto sulla rivista Nano Letters della American Chemical Society, si basa su una configurazione di nanoparticelle d’oro attivate dalla luce, che raccolgono la luce solare e ne trasferiscono l’energia a degli elettroni altamente eccitati, a volte noti come “elettroni caldi”. Questi possono catalizzare molte utili reazioni chimiche ma hanno lo svantaggio di decadere rapidamente; ad esempio, molta dell’energia perduta negli attuali pannelli fotovoltaici dipende dagli elettroni caldi che si raffreddano in pochi trilionesimi di secondo, disperdendo calore. Riuscire a catturare questi elettroni altamente energetici prima del loro raffreddamento potrebbe  consentire di aumentare in modo significativo l’efficienza della conversione di energia solare in elettrica.



Ecco come gli scienziati del Rice’s Laboratory for Nanophotonics (LANP) ci sarebbero riusciti. Per utilizzare gli elettroni caldi, prima hanno dovuto trovare un modo per separarli dalle loro corrispondenti “lacune”, cioè gli stati a bassa energia liberati dagli elettroni quando ricevono la loro scossa plasmonica. Uno dei motivi per cui gli elettroni caldi sono di breve durata è che hanno una forte tendenza a liberare la loro ritrovata energia e a tornare al loro stato energetico inferiore. L’unico modo per evitarlo è di progettare un sistema in cui gli elettroni caldi e le lacune vengano rapidamente separati gli uni dagli altri. Il metodo standard utilizzato finora è stato quello di guidare gli elettroni caldi sopra una barriera di energia che agisce come una valvola unidirezionale. È un approccio che presenta delle intrinseche inefficienze, ma è interessante per gli ingegneri perché utilizza la ben nota tecnologia delle barriere Schottky, un componente collaudato nell’ingegneria elettrica.

Per via di quelle inefficienze, al LANP volevamo trovare un nuovo approccio e così sono passati a un metodo non convenzionale: invece di guidare gli elettroni caldi, hanno progettato un sistema per trasportare le lacune; il sistema agisce in pratica come una membrana, o un filtro dove le lacune passano ma gli elettroni caldi no, lasciando così disponibili sulla superficie delle nanoparticelle plasmoniche. La configurazione dispone di tre strati di materiali: quello inferiore è un sottile foglio di alluminio lucido, ricoperta da un sottile strato di ossido di nichel-trasparente; sparsi sopra questo ci sono un insieme di nanoparticelle di oro plasmonico, dei piccoli dischi da 10 a 30 nanometri di diametro.

Quando la luce solare colpisce i dischi, direttamente o riflessa dall’alluminio, i dischi convertono l’energia luminosa in elettroni caldi. L’alluminio attrae le lacune e l’ossido di nichel permette a queste di passare e al contempo agisce come una barriera impermeabile per gli elettroni caldi che rimangono sull’oro. Posando il foglio di materiale su un piano e coprendolo con acqua, i ricercatori hanno permesso le nanoparticelle d’oro di agire come catalizzatori per la scissione dell’acqua.

Finora nel corso dell’attività sperimentale è stata misurata la fotocorrente disponibile per la scissione dell’acqua piuttosto che misurare direttamente il gas idrogeno e ossigeno prodotti; tuttavia gli scienziati sono soddisfatti dei risultati che giustificano – dicono – ulteriori studi. È evidente l’interesse di questo processo di separazione di ossigeno e idrogeno, dal momento che queste sono le materie prime per le celle a combustibile, i promettenti dispositivi elettrochimici che producono elettricità in modo pulito ed efficiente.