Vorrei esordire come “bastian contrario”. Quest’articolo parte dalla fine, dal giudizio intuitivo di un appassionato della materia, anziché di un ricercatore professionista della stessa. Bene ha fatto l’Accademia delle Scienze di Stoccolma a riconoscere il Premio Nobel per la Fisica quest’anno in cui cade il centenario della relatività del Grande Vecchio, Albert Einstein, a una sponda della fisica quantistica, con lavori teorici di tutto rispetto (quelli di David Thouless, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz).



Comprendo la meraviglia e le aspettative deluse, ma con questo riconoscimento l’Accademia ha mostrato una grande capacità. E lo ha fatto non solo in termini di giudizio analitico sul contributo che sancisce il nuovo “teorico”, peraltro già finalizzabile a percorsi prima ritenuti accidentati e limitati, come quello della superconduttività. Ma lo ha fatto altresì in termini di visione prospettica, mostrando come anche la matematica evolvendosi verso dimensioni prima impensate, riesca a dare nuova e maggiore comprensione alla realtà.



D’altronde parliamoci chiaro. Il quantum (tanto per stare in tema) monetario dei 900mila euro per il Nobel agli scopritori delle onde gravitazionali avrebbe dovuto essere diviso tra i vincitori come è accaduto al “trio esotico” di nazionalità britannica. Con tutto il rispetto, la gratitudine, l’apprezzamento per i fisici delle onde gravitazionali, il conferimento a loro sarebbe stato un no sense; tanto per il fatto che la scoperta in termini teorici, peraltro inglobata nella più vasta teoria, appartiene ad Herr Professor Albert, quanto per la conseguenza che la metà di un premio postumo sarebbe difficile da gestire.



Quindi non se ne abbia il lettore acculturato, convinto fan delle onde gravitazionali. Dopo la dimostrazione della scoperta del bosone di Higgs, si conferma quella linea che pur nel distinguo tra la scoperta teorica e la dimostrazione sperimentale della stessa, è esaltata quella convergenza dell’aspetto teorico con lo sperimentale: frontiera verso la quale si sta muovendo la ricerca fisica attuale.

Ma torniamo a noi. Molti hanno illustrato la complessità della materia, cui è sottesa una complessità matematica come quella topologica che permette di studiare stati di trasformazione in continuità. Cosa vuol dire? Vuol dire (e non mi si dia dell’eretico inverso) che l’osservatore registra come la materia – definita in modo molto pudico terreno sperimentale di trasformazioni esotiche – ha proprietà tali da essere paradossalmente definite magiche.

Non è forse il linguaggio appropriato nei termini, ma che lo si voglia o no, al di là della poesia, del mito e del fantasy, il filo superconduttore è proprio quello trattato per centinaia di anni, da altre realtà umane, letterarie o meno che ben poco possono identificarsi con quelle del Cern o simili. Eppure… Fortunatamente a Piazza Campo dei Fiori, la statua di Giordano Bruno ne ha occupato la centralità. Tutt’oggi però il rogo dell’eretico esiste ancora nella comunità scientifica sotto forme diverse, spesso riconducibili alla derisione, all’esclusione, alla damnatio nominis.

Tuttavia chi torna a Pico della Mirandola, oltre che a Giordano Bruno, e pure al Collegio Romano di Kircher non dovrebbe meravigliarsi, ma comprendere come grandi risultati arrivino dalla convergenza e dall’interazione dei due aspetti della mente e dell’animo umano: quello analitico e positivista (dove l’aggettivo non è quello deteriorato dall’estremismo scientifico) e quello intuitivo onnicomprensivo. Forse potremmo dire con i presidi della ragione e del cuore.

Con buona pace dei fisici puristi, si potrebbe dire allora che le qualità della materia oltre ad essere misteriose, possono essere controintuitive è ritenersi quindi magiche laddove è l’effetto a determinare la causa o in altro caso il futuro della stessa a determinarne il presente.

È ancora una quaestio incerta se uno sciamano possa essere confrontato con un fisico quantistico e Merlino con Heisenberg o con Schrodinger. Però se ci si pensa bene la teoria antropica portata avanti da Penrose e ultimamente da Hawking non è forse il risultato dello sviluppo del ruolo dell’osservatore ? E le conseguenze che se ne traggono non sono solo a livello di collasso della funzione quantica, ma anche di decoerenza annessa all’entanglement?

Anche se quello che sostengo non è molto diverso da un salto quantico, tuttavia questo richiama all’attenzione proprio quella continuità, che invece figura poi essere tipica della fisica classica. Questa continuità – elemento portante delle analisi topologiche dei tre nuovi Nobel, è stata autorevolmente spiegata ed attestata dai dolci con e senza buchi, senza che ciò li confermi transfughi dalla quantistica.

In conclusione: vuoi vedere che sotto sotto i tre british qualche idea l’hanno presa proprio con la frequentazione topologica laddove classiche trasformazioni letterariamente più note, superate quelle di Zeus in cigno o altro, in quanto vecchiotte, a oggi sono invece quelle di Hogwarts di Harry Potter? D’altra parte sapete come Albert Einstein chiamava i Congressi della Solvay dove si riunivano le più ingegnose menti della fisica del ‘900? Witches’ Sabbath!