Durante un controllo di routine alla 20esima settimana di gestazione, le viene detto che il bambino che aspetta morirà poco dopo la nascita. I renidella donna non funzionavano in modo corretto e quindi non erano in grado di produrre abbastanza liquido amniotico. Senza di esso, i polmoni del piccolo non si sarebbero sviluppati in modo completo. In una precedente visita medica si erano scoperti fibromi nell’utero della donna tanto che si era pensato a un parto con taglio cesareo per una nascita più sicura, ma a questo punto, dato che il bambino non sarebbe sopravvissuto, i medici le dissero che non valeva la pena. Unica possibilità: abortire. E’ quanto successo a una donna canadese, Zana Wing Yau Gray: “Mi dissero di abortire subito, il bambino era ancora piccolo e tutto sarebbe stato più semplice, l’aborto, dissero ancora, era la scelta migliore perché le avrebbe permesso di guarire più in fretta e in futuro avremmo potuto pensare a fare un altro figlio”, ha raccontato. Ma per Zana non c’è stato bisogno di pensarci neanche un momento: “Una cosa è lasciare che la natura faccia il suo corso anche se non ci sono speranze, un’altra iniettare del veleno nel cuore di un bambino per farlo morire”. Essere per la vita, ha scritto su facebook, “significa che la vita ha valore non importa quanto sia lunga o produttiva”. Una volta nato, ha potuto tenerlo in braccio, vederlo respirare anche se per pochissimo tempo, riconoscere nei suoi occhi e in quel piccolo volto i suoi occhi e il viso del marito: “Sentirlo piangere è stato il suono più bello che ho avuto il privilegio di sentire in tutta la vita, perché significava che era vivo”. Il piccolo è morto poco dopo, ma come in altri casi analoghi, il fatto che sia nato ha potuto permettere di studiare e capire il tipo di problematica, nella speranza che la medicina in futuro possa risolvere questo tipo di casi. 



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