Lo aveva suggerito 30 anni fa il fisico Bernard F. Schutz, attuale direttore del Max Planck Institute for Gravitational Physics di Potsdam (Germania), in un articolo su Nature: le onde gravitazionali potrebbero offrire uno strumento straordinario per misurare le grandi distanze cosmiche e aiutarci a renderci conto delle dimensioni del nostro universo. Adesso che le onde gravitazionali iniziano ad essere rivelate, l’idea potrebbe prendere consistenza e tradursi in precisi programmi scientifici.
Misurare l’universo è sempre stato uno degli primi obiettivi degli astronomi: è un modo per prendere coscienza anche quantitativamente del posto dell’uomo nel cosmo, per collocare nello spazio la scena che ha per protagonisti pianeti, stelle e galassie e da lì ricostruire il suo evolversi nel tempo e rispondere ai grandi interrogativi sull’origine e il destino di tutto ciò.
Le prime misure di oggetti extraterrestri risalgono a 2300 anni fa, quando il greco Aristarco di Samo, applicando semplici metodi geometrici, ha calcolato con buona approssimazione la distanza Terra-Luna e ha tentato di stimare la distanza Terra-Sole con un po’ di trigonometria e con le osservazioni limitate allora disponibili. Si doveva arrivare a Keplero, 18 secoli dopo, per avere misure più precise.
Ma l’obiettivo più desiderato era valutare la distanza delle stelle: qui, una volta capito che la Terra ruota attorno al Sole, si poteva utilizzare il metodo della cosiddetta parallasse, cioè l’angolo sotto il quale si vede una stella da due punti diametralmente opposti dell’orbita terrestre. Ci aveva provato anche Galileo, ma data l’enormità delle distanze stellari l’angolo risultava troppo piccolo per essere osservato. Bisognerà aspettare altri due secoli per arrivare al 1838 quando il matematico Friedrich Bessel troverà il sistema per calcolare tali angoli e di conseguenza riuscirà a misurare la distanza di una stella nella costellazione del Cigno.
Successivamente il metodo della parallasse è stato impiegato ampiamente per completare i cataloghi celesti, trovando la posizione di un numero impressionante di stelle e fornendo la base di riferimento per ulteriori metodi sviluppati per calcolare la posizione di oggetti più lontani. Per misurare la distanza di stelle appartenenti a galassie relativamente vicine a noi, si possono abbinare le misure di luminosità con quelle ottenute con la parallasse in stelle confrontabili e più vicine alla Terra.
Ma ormai gli strumenti osservativi oggi disponibili ci hanno rivelato un universo che si estende fino a miliardi di anni luce. A quelle distanze nessun telescopio può distinguere singole stelle all’interno delle galassie; si possono però osservare quei fenomeni spettacolari che sono le supernovae, stelle morenti che esplodono diventando per un po’ più brillanti dell’intera galassia; la loro luminosità diventa un indicatore della distanza e così le supernovae assumo il ruolo di “candele campione”, di pietre miliari per disegnare la geografia cosmica.
Anche qui però sorgono problemi: le misure di luminosità sono disturbate dai pur piccoli frammenti di materia che galleggiano nel vuoto cosmico, dal gas e dalla polvere impercettibile che, a grandi distanze, può indebolire le osservazioni. Ecco allora – come ha riproposto un recente editoriale sempre di Nature – entrare in campo le onde gravitazionali. Queste increspature dello spazio-tempo, come quelle recentemente rivelate dall’interferometro laser LIGO, non risentono minimamente della presenza della polvere e quindi trasmettono inalterati i segnali di origine. Possono quindi portare attraverso lo spazio preziose informazioni circa i giganteschi fenomeni che le hanno prodotte, come la fusione di due buchi neri o lo scontro di stelle di neutroni; di conseguenza permettere agli astrofisici di risalire alle distanze delle galassie che hanno ospitato tali fenomeni.
Per i prossimi anni sono in programma altri interferometri come LIGO, per arrivare a costruire un network di osservatori di onde gravitazionali che consentiranno in futuro di avere un ampio catalogo di riferimenti per la misura delle distanze galattiche. A differenza delle “candele campione”, che sono sensibili alla luce emessa dalle supernovae, le onde gravitazionali portano segnali più simili a quelli sonori: per questo la loro misura consentirà agli astrofisici di avere a disposizione anche delle “sirene campione”. Queste, insieme alle “candele campione”, metteranno gli scienziati in grado di misurare il tasso attuale dell’espansione cosmica e di confermarne o meno l’accelerazione, mettendoci sulle tracce della fantomatica dark energy (energia oscura).