Tutti, almeno una volta nella vita, hanno provato la sensazione di guardarsi allo specchio e non piacersi. Ma quando questa sensazione non è sporadica e temporanea, ma si trasforma in una vera e propria ossessione che compromette i rapporti sociali, non si parla più di un malessere passeggero, bensì di una vera e propria malattia. Si chiama dismorfofobia e, per la sua complessità, è stata approfonditamente indagata da due psichiatri, Luca Giorgini ed Eva Gebhardt. Questa problematica, molto grave e sottovalutata, non coinvolge chi deve davvero fare i conti con deformità o problemi estetici gravi, bensì persone con un aspetto normalissimo, spesso addirittura gradevole. I due psicoterapeuti hanno dedicato un saggio a questo problema e ne hanno parlato in un’intervista a Repubblica, rivelando i punti salienti di una malattia difficile da identificare e molto particolare, che può essere collegata a vari disturbi, dalle psicosi alla depressione, fino al disturbo ossessivo compulsivo. Si tratta infatti di una forma di ossessione che riguarda l’aspetto fisico, o meglio un qualche suo tratto, su cui si concentrano le preoccupazioni del paziente. Per chi soffre di dismorfofobia, il pensiero di questo tratto del corpo diventa una vera ossessione, il cui pensiero occupa gran parte del tempo, creando angoscia e interferendo con le normali attività, con il lavoro e la vita sociale.
UNA MALATTIA SPESSO SOTTOVALUTATA
In sostanza, chi è dismorfofobico proietta sulla realtà del corpo una mancanza che riguarda la psiche, non riuscendo a trovarsi nella psiche, a entrare in contatto con se stesso, cerca all’esterno un’immagine perfetta, ispirandosi spesso a un modello ideale. A essere colpiti sono, in uguale misura donna e uomini, che si approcciano a questa malattia in età adolescenziale, periodo in cui la percezione del proprio corpo è già deformata. Se però la propra visione resta in qualche modo distorta, allora iniziano a nascere i problemi. Chi soffre di questa malattia, concentra le proprie ossessioni sul volto e sulla pelle, due parti del corpo particolarmente importanti perché alla base delle relazioni con l’altro. Spesso il problema passa inosservato, perché la vergogna spinge i pazienti a nascondere le proprie angosce. e perché spesso alcuni comportamenti rituali, come la tendenza a evitare gli specchi o in alternativa a controllarsi ossessivamente, si manifestano solo in una fase avanzata del disturbo. Per intervenire sul problema, le medicine sono solo d’appoggio, perché in realtà, l’unica cura è una terapia che non si limiti a intervenire sul sintomo, con il rischio di vederlo riemergere sotto altra forma, ma va alle radici del problema». E nei casi più gravi, quando il rischio di suicidio è reale, è consigliato il ricovero.