La tendenza al suicidio è un problema controverso nell’ambito sia della psicologia che della genetica. Da anni si discute attorno al fatto che il suicidio possa avere una base biologica, e quindi anche genetica, oppure no. Gli studiosi continuano alacremente a ricercare le cause di questo gesto estremo che accompagna la vita dell’uomo fin dai tempi antichi e che negli ultimi anni spesso si unisce ad omicidi. Magari dei propri stessi familiari. Non è infrequente ascoltare di uomini o donne che in preda alla disperazione decidono di farla finita portando con sé anche i propri figli: un gesto orribile che distrugge famiglie intere, segnandole indelebilmente. Come dicevamo in precedenza, in tutte le età l’uomo ha cercato di togliersi la propria vita e in alcuni momenti della storia umana questo è stato anche un gesto considerato quasi eroico e positivo. Pensiamo al Romanticismo, ad esempio, una particolare età in cui per amore ci si poteva tranuillamente togliere la vita senza essere accusati di viltà o di poca cristianità. La scienza odierna, comunque, ci mette davanti ad un altro fatto: esiste una base biologica in chi tende al suicidio.
L’ALGORITMO
La scienza, come sempre, cerca di venirci in aiuto quando non riusciamo a comprendere certi fenomeni. Un recente studio ha preso in esame le alterazioni nelle rappresentazioni neuronali in base alla messa in evidenza di alcuni concetti semplici. Queste alterazioni sono state misurate su un quantitativo fissato di pazienti, alcuni con comprovate tendenze suicide ed altri completamente sani. Quest’algoritmo si chiama Gaussian Naive Bayes ed appartiene alla sfera dell’apprendimento automatico; agisce in base alle alterazioni presenti nei soggetti posti di fronte ad alcune parole che appartengono in largo modo alle idee basilari di vita e morte. I concetti che hanno fornito i risultati migliori sono stati morte», la «crudeltà», «problema», «spensierato», «buoni» e «lode». Tramite questo algoritmo è stato possibile classificare in maniera corretta chi aveva avuto tendenze suicide a chi non le aveva avute con un margine d’errore pressoché nullo. Il cervello è una minera di informazioni utili ed è piuttosto strano avere la conferma che dopo tanti anni di storia umana quello che sappiamo su di esso è ancora molto poco.
I MITOCONDRI
Gli studi scientifici sulla depressione e sul suicidio sono moltissimi ed ognuno di essi arriva a scoprire qualcosa di nuovo sul funzionamento del cervello umano. Come in un grande puzzle, ogni esperimento aggiunge un tassello in più a questo enorme mosaico ancora tutto da riempire. Sempre tornando al concetto di suicidio e più in generale a chi è soggetto ad uno stato depressivo, magari cronico, gli scienziati hanno riscontrato che il DNA mitocondriale fa la sua bella differenza. Si è analizzato, infatti, il sangue di persone che si sono tolte la vita e si è potuto notare che in esse il livello di DNA mitocondriale è molto più elevato rispetto a quello delle persone che non hanno queste tendenze specifiche. I mitocondri sono responsabili di tutta una serie di funzioni cellulari e sono sensibili allo stress accumulato per qualsiasi tipo di motivo. Chi, ad esempio, è affetto da un disturbo depressivo maggiore ha in sé dei valori molto più alti di DNA mitocondriale rispetto ad altri. Il progresso della scienza è enorme e chissà che un domani non si arrivi anche a bloccare questo fenomeno in modo del tutto naturale.