Scoperta di sette esopianeti extrasolari: chi sono i protagonisti? Per completare il quadro dei protagonisti della scoperta — i cui dettagli sono stati pubblicati proprio ieri sulla rivista Nature — va detto che il gruppo di ricerca è, come ormai quasi sempre, una grande collaborazione internazionale nella quale hanno avuto un ruolo centrale l’Istituto di ricerca Space Sciences, Technologies and Astrophysics Research belga e l’Università di Liegi alla quale appartiene l’astrofisico Michaël Gillon che ha guidato tutto il team.
Trovare esopianeti extrasolari non dovrebbe costituire più un motivo di sorpresa: da una ventina d’anni, da quando è stato individuato l’esopianeta 51 Pegasi b (ribattezzato Dimidium) a 50 anni luce dalla Terra, il loro numero è aumentato enormemente e ormai è di qualche migliaio; alcuni esopianeti sono gassosi, più simili a Giove, altri sono rocciosi, come la Terra e Marte. La lista si è particolarmente allungata grazie al Kepler Space Observatory, la missione della Nasa in orbita dal 2009 col compito di fare una continua scansione del cielo per catturare segnali di corpi orbitanti attorno alle stelle della Galassia.
Gli elementi di novità della scoperta di sette esopianeti extrasolari sono però notevoli. Anzitutto si tratta di ben sette pianeti, tutti rocciosi e tutti di dimensioni paragonabili a quelle della Terra: i più piccoli, Trappist-1h e Trappist-1d hanno un raggio di circa 0,7 volte quello terrestre mentre i due maggiori, Trappist-1b e Trappist-1g, hanno circa 1,1 volte le dimensioni del nostro pianeta.
Poi sono tutti compresi in quella zona attorno al loro sole che è detta fascia di abitabilità, cioè dove le condizioni ambientali sono tali da mantenere l’acqua allo stato liquido e quindi potenzialmente poter ospitare forme di vita. Per tre di loro sembra addirittura che ci sia la possibilità di avere un’atmosfera analoga a quella terrestre.
Scoperti sette esopianeti extrasolari: chi è Trappist-1? Il termine “trappista” ricorre due volte nella notizia della Nasa che ieri sera ha entusiasmato non solo gli appassionati di astronomia: Trappist-1 è il nome della stella attorno alla quale sono stati individuati ben sette pianeti con caratteristiche abbastanza simili a quella della nostra Terra; e Trappist è il nome di due degli Osservatori (uno in Cile, l’altro in Marocco) dove sono state fatte le campagne osservative che hanno portato all’importante scoperta. Il nome però non dipende solo dal fatto che gli Osservatori sono collocati in zone isolate e silenziose: deriva piuttosto da un acronimo e sta per “TRAnsiting Planets and Planetesimals Small Telescopes”, cioè Piccoli Telescopi dedicati allo studio di Pianeti e Planetesimi col metodo dei Transiti.
In questo riferimento ai transiti è racchiusa la chiave della scoperta di sette esopianeti extrasolari annunciata ieri nella conferenza stampa in diretta web: per scovare un pianeta extrasolare (o esopianeta) si utilizza una tecnica che misura con grande precisione i piccoli abbassamenti della radiazione emessa dalla stella madre quando il pianeta le transita davanti; alla grande distanza alla quale si trovano le stelle candidate ad avere un sistema solare, non è praticamente possibile osservare direttamente i pianeti mentre i sofisticati strumenti oggi disponibili consentono di rilevare anche deboli diminuzioni della luce emessa.
È questo che hanno fatto i due telescopi Trappist insieme agli altri che da tempo puntavano il loro occhio indagatore su una piccola stella del tipo nana rossa, a circa 40 anni luce da noi, sospettata di avere attorno a se un corteo di “Terre”. Oltre ai due Osservatori cileno e marocchino, hanno contribuito alla cattura dei “magnifici sette” altri telescopi terrestri quali: il VLT (Very Large Telescope), sempre in Cile, lo Uk Infrared Telescope alle Hawaii, i telescopi William Herschel e Liverpool a La Palma e il telescopio dell’Osservatorio astronomico del Sudafrica. Ad essi si sono aggiunte le osservazioni eseguite nell’autunno scorso da Spitzer, il telescopio spaziale della Nasa che, in orbita dal 2003, scruta le profondità del cielo nelle frequenze dell’infrarosso.
Scoperta di sette esopianeti extrasolari: è solo l’inizio… Sono tutti fattori che giustificano la soddisfazione dei ricercatori. Ma non siamo alla conclusione di una ricerca, bensì all’inizio; e gli elementi da controllare, verificare, modificare sono molti. Tra l’altro, proprio pochi mesi fa, uno studio in collaborazione fra Cnr, Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica) e British Columbia University di Vancouver, pubblicato sull’International Journal of Astrobiology, aveva ridimensionato l’indice di abitabilità per gli esopianeti extrasolari, mostrando che il limite termico per lo sviluppo della vita complessa è più stretto di quello legato alla pura presenza di acqua liquida: si parla di un intervallo tra 0 e 50 °C come più appropriato per sviluppare forme di vita come quelle degli organismi che conosciamo.
Bisognerà esaminare con molta attenzione i dati relativi al sistema solare di Trappist-1, vedere se i pianeti sono proprio solo sette o se non ce ne sono altri, valutare se quelli più vicini alla stella non sono tropo caldi, spingere l’osservazione fino alle eventuali atmosfere dei più massicci. E per tutto questo, gli astrofisici avranno a disposizione anche nuovi e potenti strumenti: come il successore del Telescopio Spaziale Hubble, il JWST (James Webb Space Telescope) che dovrebbe entrare in azione l’anno prossimo; e lo European Extremely Large Telescope dell’ESO (European Southern Observatory), il telescopio ottico di prossima generazione col suo specchio primario dal diametro di 39 metri.
Nel frattempo altri esopianeti saranno stati avvistati, invitando gli scienziati a non accontentarsi delle loro indagini e ad avere la pazienza di riscrivere continuamente la mappa di un universo sempre più sorprendente.