Due avvoltoi maschi hanno covato a turno un uovo nel giardino zoologico di Amsterdam: si riapre così il dibattito sull’omosessualità nel mondo animale. Si sono scatenate subito letture antropomorfe della natura, che invece secondo alcuni ricercatori andrebbero evitate, perché «gli animali sono una cosa, l’uomo un’altra». Ma accade che la notizia della coppia di avvoltoi dello zoo Artis, uniti da tempo da una relazione omosessuale, venga usata per dimostrare che l’omosessualità non è contro natura e che il concetto di famiglia tradizionale sia superato.



Il problema è che le osservazioni potrebbero non essere inquadrate nella giusta dimensione, perché certe preferenze, come quella del partner, possono essere mediate da aspetti culturali e sociali più che biologici. Il rischio allora è che per dimostrare una tesi precostituita si finisca per interpretare i comportamenti animali come una prova delle basi naturali di un comportamento che è però prettamente umano. Enrico Alleva, etologo dell’Istituto superiore di sanità, tempo fa ha spiegato che gli atti omosessuali nel mondo animale possono avere ragioni molto semplici: per stress dell’animale o per ragioni contingenti di convivenza forzata, come appunto in zoo o allevamenti. Ci sono poi specie che usano il sesso come modalità di relazione sociale, «per stabilire le gerarchie, per rinsaldare la coesione del gruppo e per comunicare affetto e appartenenza».



Ma la questione dei due avvoltoi maschi che covano a turno un uovo e nutrono poi il pulcino ha suscitato altre riflessioni. Perché sorprendono le cure di un animale di sesso maschile al punto tale da definirlo automaticamente omosessuale? Attraverso l’analisi delle cure parentali è possibile dividere gli animali in gay o etero? Se allora l’omosessualità è indicata da come ci si comporta per quel che concerne le cure parentali, un uomo che si occupa della nutrizione e cura del figlio è gay? Appare francamente sessista la coincidenza dei comportamenti con i “ruoli”, che è poi ciò che andrebbe invece superato.

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