La ricerca scientifica come cuore di una crescita personale, questo l’argomento della riflessione che ha visto a confronto ieri Matteo Guarrera, studente di ingegneria elettronica nel Politecnico di Torino e ideatore del progetto DroneLab Camplus, e Jader Francia, imprenditore e titolare di D’vel Snc, ospitati nello spazio di “WHAT?”.



Se, poi, vi dicessi che il bene più grande per l’uomo è fare ogni giorno ragionamenti sulla virtù e sugli altri argomenti intorno ai quali mi avete ascoltato discutere e sottoporre ad esame me stesso e gli altri, e che una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta?” (Platone, Apologia di Socrate, 38 A)



Tecnologia, passione e formazione, tre aspetti di un viaggio culturale di crescita personale che coinvolge la persona nella sua totalità. Quali sono state e continuano ad essere le meraviglie di un percorso creativo nella scienza? — “L’aspetto che forse è più importante — ha spiegato Guarrera —, quello che sento di poter trasmettere e che potete trarre dall’esperienza che vi racconto è il processo, il viaggio che c’è dietro ad un’esperienza come DroneLab. Il progetto nasce dalla voglia di sperimentare, di non fermarsi alle nozioni che ci vengono impartite all’università: già nell’ultimo anno di liceo, portando il tema della creazione all’esame di maturità, avevo usato un drone come esempio. Il mondo dei droni mi ha sempre molto incuriosito, per questo, arrivando all’università, di fronte alla necessità che ho sentito di applicare fattivamente ciò che studiavo, ho subito pensato di cimentarmi sui droni. In questo modo, supportati da Camplus, io e alcuni colleghi e amici abbiamo formato un gruppo che ha coinvolto molti degli studenti delle sedi Camplus di Torino e Milano, con l’obiettivo di costruire un quadricottero, studiandone gli aspetti tecnici, e di esplorare successivamente i vari possibili sviluppi. Qui al Meeting abbiamo portato il progetto della guida autonoma, con attenzione particolare al “viaggio” che abbiamo percorso più che all’obiettivo finale, che è ancora in fase di sviluppo.



Voglio proporre una riflessione di Cesare Pavese per esprimere come vedo il viaggio di una ricerca, come ho interpretato il percorso che ho portato avanti con il resto del team. In una lettera al suo professore Augusto Monti, Pavese gli si oppone: il suo maestro sosteneva che ‘per creare un’opera d’arte basta vivere il più intensamente possibile una vita reale, ché se il nostro spirito ha in sé le condizioni del capolavoro, questo verrà fuori quasi da sé, naturalmente e sanamente’. Pavese risponde così: ‘No, secondo me, l’arte vuole un tal lungo travaglio e macerazione dello spirito, un tale incessante calvario di tentativi che perlopiù falliscono, prima di giungere al capolavoro’.

Ecco, prendendo le mosse da questa riflessione io trovo che il percorso che ho e che abbiamo vissuto insieme come team è stato sì pieno di fallimenti, ma proprio per questo è stato formativo, a livello sia tecnico sia umano. Quello che per Pavese era un travaglio, io lo definirei più un viaggio, un viaggio in cui c’è un copilota, un maestro. Nel collegio il maestro è il gruppo, la community e questa relazione non è sempre facile, è un rischio ma ci si prova, perché fare gruppo aiuta sempre. Il copilota può essere anche diverso nel tempo, nelle varie esperienze ma in ogni caso è importante: noi non ci realizziamo da soli. L’espressione di noi stessi si vede nella faccia degli altri.

Un’altra parola, connessa a copilota, per me è mare; l’idea di prendere il largo, aiutati sì, come in questo caso da Camplus, ma ricercando una interazione con il mondo reale, che certamente può portare ad una sconfitta, purché non sia ‘statica’: voglio cadere e fallire spinto in avanti, cadere perché ho fatto il passo più lungo della gamba e non per non averci provato.

Al Meeting ho visto grandi e piccole realtà e da qui ho pensato alla parola bivio: io scelgo sempre la strada più difficile. Perché? ‘Perché’ secondo me è un’altra parola chiave, e non è facile rispondere esplicitamente. Perché tutto questo non lo so, perché si rischia, perché si sceglie… perché si tende a qualcosa. So che si tende, si tende e basta.

Voglio chiudere con una riflessione di Flaubert: ‘in fin dei conti il lavoro è ancora il mezzo migliore di far passare la vita’”.

Poi è toccato a Jader Francia. “Son colpito — ha detto Francia — dal lavoro di Matteo e del team, ci vuole coraggio! Il cercare di capire una strada da seguire e il perché è il giusto stimolo per cercare l’innovazione che è il sale della vita. Cercare di fare qualcosa per esprimere noi stessi e per trovare il nostro tutt’uno sulla Terra. Io cerco ogni giorno qualcosa che mi stimoli e mi sfidi a fare qualcosa di nuovo: non  pongo l’accento sulla questione tecnologica ma sulla sfida che questa provoca nelle persone. 

Noi non parliamo di tecnologia fine a se stessa: infatti costruire macchine intelligenti non serve a sostituirle all’uomo ma a far svolgere all’uomo compiti più intelligenti. Si tratta di un rapporto tra le persone e non con gli strumenti, per creare nuove idee. 

Il problema che mi sono posto è il capitale umano: penso ai tanti studenti che non hanno avuto la stessa fortuna di Matteo, che non hanno incontrato lo stesso tessuto che lo ha spronato, facilitato. L’ambizione del mio progetto è una reinterpretazione dello smart-working: dare la possibilità a studenti di vivere una esperienza di rete, di collaborazione per creare nuove idee. Credo ci sia bisogno che le persone si sfidino a fare ciò che piace loro, per crescere e per trovare il proprio io”.

Che cosa rappresenta per te quest’opportunità? Per la scoperta del tuo vero io? — Io ho avuto una grande crescita professionale e personale durante questi due anni — ha risposto Guarrera —. Le capacità che ho ottenuto lungo questo percorso non si fermano alla formazione universitaria, ma è un viaggio in cui alcune insicurezze vanno via, riflessioni vengono alla mente e alla fine è un riscoprire il proprio io: ci vuole qualcuno che ti aiuti a scavare dentro di te e riscoprire ciò che hai già; non ho preso dagli altri, che piuttosto sono uno stimolo, uno sprone per riscoprire pensieri, idee e la propria identità.

Riccardo Zaccone — Camplus Lingotto; Ing. Informatica Politecnico di Torino