A lanciare l’allarme sono stati i ricercatori del University Heart Centre di Zurigo e adesso sono milioni i pazienti di tutto il mondo a porsi questa domanda: l’ibuprofene fa male? La risposta non è categorica, ma i dati emersi dallo studio sono chiari almeno su un fatto: l’assunzione di questo farmaco utilizzato per la riduzione del dolore artritico porta all’aumento dei valori della pressione arteriosa, da cui possono scaturire episodi cardiaci e ictus. La rivelazione, come riporta l’Express, è arrivata durante una conferenza sulla malattia cardiovascolare in corso a Barcellona e promette di aprire un ampio dibattito a livello internazionale. Secondo i dati emersi dalla ricerca, infatti, l’ibuprofene rispetto ad altri farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) comporta un incremento significativo e pericoloso dei valori pressori rispetto ad altri farmaci utilizzati per la riduzione del dolore, come naproxen e celecoxib. Il ricercatore Frank Ruschitzka, professore di cardiologia e direttore del dipartimento del centro in Svizzera, ha avvertito:”Lo studio dimostra chiaramente che i FANS, in particolare l’ibuprofene, potrebbero non essere sicuri come si era già pensato. I pazienti che hanno ricevuto l’ibuprofene hanno una incidenza superiore del 61% dell’insorgenza di ipertensione rispetto a quelli che hanno ricevuto il celecoxib”.



COSA FARE CON L’IBUPROFENE?

Ma cosa devono fare adesso quei pazienti che grazie all’utilizzo di ibuprofene vedono diminuire il dolore scaturito da malattie altamente invalidanti come osteoartrite e artrite reumatoide? Il consiglio del professore Frank Ruschitzka è quello di consultare il proprio medico:”I pazienti con osteoartrite e artrite dovrebbero continuare a consultare il loro medico prima di prendere i FANS e i medici devono valutare i rischi potenziali di peggioramento del controllo della pressione sanguigna quando si considera l’uso di questi agenti”. La ricerca indica che a fare le maggiori spese di un utilizzo sconsiderato di ibuprofene potrebbero essere soprattutto gli anziani, maggiormente predisposti verso ipertensione e artrite. Lo studio sottolinea inoltre come basti una riduzione minima della pressione sanguigna per ridurre il rischio di ictus e di mortalità cardiaca rispettivamente del 10% e del 7%. I medici saranno rapidi nel ricevere queste nuove risultanze?

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