COME MISURARE LA COSCIENZA?

Nonostante i progressi che la medicina ha compiuto negli ultimi anni nel campo delle neuroscienze, risulta sovente difficile stabilire (specie in presenza di pazienti vittime di gravi lesioni cerebrali) se il cervello, oltre ad essere “vivo”, permette al diretto interessato di avere anche coscienza di ciò che accade nel mondo circostante: ecco perché, di recente, la notizia che le prime sperimentazioni di una nuova tecnica a riguardo stanno dando ottimi risultati potrebbe in futuro rivoluzionare non solo l’approccio medico ma anche le terapie nei confronti di chi si trova in condizione di non poter comunicare i propri bisogni. Ma come è possibile misurare la coscienza e assistere questo genere di pazienti? Con un termine improprio, il metodo che si sta rivelando particolarmente affidabile potrebbe essere chiamato “coscienziometro” e consiste in una serie di impulsi magnetici che, opportunamente inviati al cervello, ne determinano l’eventuale attività elettrica.



UN CERVELLO “SCONNESSO” DALLA REALTA’

Come è noto, lo stato di incoscienza è qualcosa che ognuno di noi sperimenta in realtà spesso: basti pensare alle ore in cui si dorme, durante le quali il cervello è appunto come “sconnesso” dalla realtà che ci circonda anche se, a differenza degli stati comatosi, in modo provvisorio e facilmente reversibile. Tuttavia, quello che quotidianamente fa parte del normale ciclo di veglia-sonno è invece un problema per chi, a seguito di un trauma, cade in uno stato di incoscienza che rende anche difficoltoso soprattutto valutare quale sia l’effettiva gravità della situazione: un intervallo di tempo che può protrarsi per qualche giorno o addirittura per anni e, come spiegano gli esperti, per un medico diventa arduo distinguere uno stato determinato da una anestesia da quello di semplice sonno o dovuto a una lesione cerebrale. C’è ancora un legame tra il cervello e il mondo esterno? Il paziente ha ancora coscienza di ciò che gli accade intorno? Ecco dunque che entrano in gioco delle tecniche avveniristiche che provano a rilevare la presenza residua di una coscienza. Come è noto, è ancora fondamentale il ricorso al vecchio elettroencefalogramma (EEG), ma spesso soggetto ad errori dovuti all’applicazione degli elettrodi: da qui la ricerca di un’alternativa che è stata rinvenuta dagli scienziati in quella che è una delle proprietà comuni a qualunque “esperienza cosciente”.



COME FUNZIONA LA TECNICA

In particolare, i medici si sono interessati essenzialmente ad alcune tipologie di pazienti, ovvero quelli con disturbi della coscienza a seguito di un trauma (tra qui quelli in stato vegetativo o “veglia non responsiva”) e quelli invece in stato di minima coscienza, che non possono parlare ma inviare segnali, e chi è stato sottoposto a una anestesia. Quelle proprietà comuni di cui sopra sono la differenziazione tra di esse e l’aspetto “integrato” di ogni esperienza cosciente e a venire in aiuto dei ricercatori è stata la Teoria dell’Informazione Integrata, ideata da Giulio Tononi, un psichiatra italiano “di stanza” a Madison, presso l’Università del Wisconsin: grazie all’ausilio di un gruppo di ricerca tutto italiano, Tononi ha dimostrato come partendo dall’EEG sia possibile distinguere una grande varietà di stati cerebrali differenti, “perturbando” di fatto il cervello mediante l’invio di impulsi di energia magnetica. In questo modo, considerando il cervello alla stregua di una campana che viene colpita e fatta “risuonare”, la sua attività elettrica può essere monitorata in tempo reale. La tecnica del cervello “perturbato” (zapped) è stata perciò ribattezzata zap-e-zip e pare abbia dato risultati incoraggianti dove è stata finora sperimentata (alcune cliniche italiane e belghe): ora il prossimo step sarà quello di ottimizzarne i risultati e migliorarne l’accuratezza fino alla fatidica soglia del 100% e anche nei casi di pazienza con coscienza minima.

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