IL VERME TORNATO DALLO SPAZIO CON DUE TESTE
Non si tratta del titolo di uno di quei libri di fantascienza che andavano tanto in voga negli Anni Sessanta, né tantomeno di un b-movie a tema spaziale e dai risvolti horror, ma di un curioso fenomeno avvenuto tempo fa e sul quale gli scienziati stanno ancora indagando, tra ipotesi più o meno plausibili: un verme della specie delle planarie, ovvero i più noti tra i cosiddetti Platelminti, è tornato dallo spazio con ben due teste. Il fenomeno è stato osservato dopo che il verme in questione aveva trascorso ventinove giorni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Fatto ancora più misterioso, oltre all’osservazione che si tratta di un evento mai verificatosi in precedenza, è che l’esemplare faceva parte di un gruppo che comprendeva altri quattordici vermi piatti, ma nessuno dei quali al ritorno sulla Terra mostrava questi sorprendenti caratteri morfologici. Stando a quanto si apprende, l’obiettivo dell’esperimento che vedeva protagoniste le planarie era capire se la permanenza nello spazio potesse inficiare le loro capacità di riprodursi sotto gli effetti della microgravità e del campo geomagnetico. E invece, a tornare duplicata è stata la testa di uno degli esemplari.
UN RARO CASO DI BICEFALIA
Come è noto, le planarie sono dei vermi piatti acquatici non parassitari e della lunghezza di circa 10 millimetri e, da sempre, sono considerati degli organismi prediletti da parte dei ricercatori che studiano la rigenerazione cellulare (e la loro sostituzione) e anche perché sono capaci, nel giro di due settimane, di sostituire delle parti del loro corpo dopo un trauma: ad esempio, se una planaria è sezionata in due parti, quella con la testa è capace di riformare la coda e, viceversa, quella con la cosa è capace di rigenerare addirittura la testa. In un articolo apparso per la prima volta in estate, si era appreso come la capsula con le planarie era stata studiata da una équipe della Tufts University del Massachusetts e si ricorda come alcuni esemplari siano stati inviati nello spazio già sezionati in due parti e conservati in dei recipienti che contenevano per metà aria e per metà acqua. Una planaria ha però sviluppato due teste, una per ciascuna estremità del suo corpo e, come fatto rilevare dal gruppo di ricerca che utilizza da 18 anni questi Platelminti, questo caso di “bicefalia” è la prima volta che si verifica. Inoltre, una volta che gli scienziati hanno deciso di dividere la planaria in questione in due parti, ciascuna parte ha dato poi origine a un nuovo verme piatto a due teste, confermando che la “modifica” persiste anche a seguito del sezionamento.
LE IPOTESTI E IL PROSSIMO ESPERIMENTO
Quali sono state le ipotesi finora formulate a proposito il mistero del “verme spaziale a due teste”? Nelle ultime settimane sono state proposte diverse soluzioni per spiegare come possa essere diventato bicefalo il verme: una possibile spiegazione è quella che chiama in causa il debole campo magnetico terrestre sula Stazione Spaziale Internazionale e che “scombinerebbe” le proprietà architetturali e meccaniche delle cellule delle planarie. Come accennato prima, però, anche la microgravità può portare a delle alterazioni nelle membrane delle stesse cellule ma non andrebbe nemmeno escluso l’influsso dell’ambiente spaziale. Inoltre, è oggetto di indagine anche il fatto che a essere stato modificato dopo il soggiorno lontano dalla Terra è pure il comportamento dei vermi. Ad ogni modo, in attesa di risposte certe, uno dei prossimi passi sarà quello di eseguire i medesimi esperimenti non più nei laboratori terrestri come accaduto fino ad ora, ma direttamente a bordo della ISS, sezionando “in loco” le planarie e non quindi prima di inviarle nello spazio come era accaduto in precedenza: in questo modo si potrà scoprire anche se a variare è anche la tempistica di rigenerazione e capire come le nuove cellule concorrono nel formare rispettivamente la testa o la coda dei Platelminti in questione.