In Indonesia, dopo il violento terremoto e conseguente tsunami che ha colpito Sulawesi lo scorso 28 settembre, causando quasi 2mila morti e oltre 5mila dispersi, il 3 ottobre c’è stata anche l’eruzione del vulcano Soputan, dalla cui bocca è fuoruscita una nube di cenere vulcanica alta più di 5 chilometri. Per ora la situazione resta sotto controllo ed è stata evacuata un’area di 6,5 chilometri intorno al vulcano. Ma, essendo l’Indonesia in una zona interessata da attività telluriche e vulcaniche, la situazione potrebbe peggiorare? Lo abbiamo chiesto a Pier Paolo Comida, geologo e vulcanologo, attualmente studente di dottorato in Vulcanologia presso l’INRS di Québec, in Canada.



L’eruzione del vulcano Soputan può essere stata causata dal violento terremoto?

È una domanda che non ha una risposta semplice. I vulcani e terremoti (tettonici) sono, in generale, entrambi connessi alla tettonica delle placche. Terremoti di grossa entità producono certamente un dissesto strutturale del sottosuolo con l’apertura di fratture e la dislocazione di grosse porzioni di crosta terrestre. Se in questo contesto inseriamo un sistema vulcanico attivo, è logico pensare che l’apertura di fratture faciliti la risalita del magma verso la superficie innescando così un eruzione, ma la ricerca da questo punto di vista non ha ancora delle risposte convincenti e unanime. Gli studi in questo senso vengono fatti seguendo un approccio fisico e statistico, combinando intensità, intervallo di tempo tra il verificarsi di un terremoto e l’inizio di un’eruzione vulcanica e posizione relativa tra l’epicentro del terremoto e il vulcano in considerazione. Nel caso dell’Indonesia, l’epicentro del terremoto è stato localizzato a circa 560 chilometri dal Soputan e all’interno della stessa micro placca, con entrambi gli eventi relativamente vicini sia nello spazio che nel tempo. D’altro canto però, dati di monitoraggio del Soputan da parte del Cvghm (Centro di mitigazione del rischio geologico e vulcanologico indonesiano), suggerisce che il vulcano si stava preparando per un’eruzione già prima del terremoto, con uno stile e magnitudo comparabili ad altri recenti eventi vulcanici registrati sul vulcano. In conclusione, è ancora difficile stabilire se vi sia una chiara correlazione tra il terremoto del 28 settembre a Palu e l’eruzione del Soputan del 3 ottobre.



Il Soputan potrebbe diventare più attivo e pericoloso? Quali sono i rischi di un’eruzione in quell’area?

L’Indonesia è il Paese con il più grande numero di vulcani attivi, vulcani che per geodinamica sono caratterizzati da attività esplosiva frequente, caratteristica del vulcanismo d’arco. In tal senso, che il Soputan possa aumentare la propria attività e pericolosità in futuro non dovrebbe affatto sorprendere. Il vulcano ha eruttato circa 40 volte dal 1785 e i rischi legati a una sua attività, non diversi da altri vulcani indonesiani, sono diversi.

Quali?

Innanzitutto, la ricaduta di cenere vulcanica sulle aree circostanti il vulcano, con pesanti ripercussioni sull’agricoltura e problemi respiratori per persone e animali. In secondo luogo, l’eventuale deviazione e/o chiusura del traffico aereo anche a diverse decine di chilometri dal vulcano dovuto alla dispersione atmosferica della nube eruttiva (pensiamo alla famosa, seppur modesta in termini di magnitudo, eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull nel 2010 e la straordinaria chiusura del traffico aereo in larga parte del Nord Europa). terzo possibile rischio, la devastazione del territorio da parte di flussi piroclastici. Questi sono correnti turbolente estremamente calde (anche 800 gradi) e rapide (anche 160 km/h), costituite da gas e piroclasti. Discendono i fianchi del vulcano a grande velocità, incanalandosi nelle valli e distruggendo qualsiasi cosa si trovi sul loro passaggio. Da ultimo, i Lahars. Queste colate di fango sono miscele di materiale piroclastico, detriti di ogni genere e acqua, prodotte dalla rimobilizzazione di materiale piroclastico sciolto e/o appena eruttato. Queste masse di fango (anche caldo se prodotte durante un’eruzione) sono controllate dalla gravità, s’incanalano nel reticolo idrografico e percorrono anche diverse decine di chilometri, prendendo in carico qualsiasi cosa si trovi sul loro percorso (macchine, alberi, frammenti di intere costruzioni, blocchi di roccia di dimensioni metriche eccetera). Tali colate distruggono ogni cosa al loro passaggio, colmando valli e piane con spessori di fango ben oltre i 100 metri (per esempio, i 140 metri di spessore per l’Osceola Lahar, Mount Rainier, negli Stati Uniti, avvenuto circa 5.600 anni fa).



L’Indonesia si trova su quello che i geologi chiamano “l’Anello di fuoco”, un’area di circa 40mila chilometri a ferro di cavallo che circonda  l’Oceano Pacifico, e su cui si trovano i tre quarti di tutti i vulcani del mondo. Qual è la sua pericolosità?

Anche qui bisogna essere un po’ più precisi. L’Anello di fuoco è un’area del pianeta caratterizzata da importante attività tettonica e vulcanica, frutto dell’incontro tra diverse placche tettoniche con al centro quella pacifica. Nell’Anello di fuoco l’incontro tra le placche avviene principalmente per subduzione, in cui una placca “scivola” sotto l’altra a velocità diverse. L’attrito generato da due placche lungo la zona di subduzione provoca il periodico rilascio di energia di cui i terremoti sono una conseguenza, mentre la fusione della placca subdotta genera nuovi magmi che, risalendo verso la superficie, producono il vulcanismo d’arco. Diversi sistemi di faglie sono associate a questi limiti di placca, e nel caso del terremoto e relativo tsunami avvenuto il 28 settembre nello Sulawesi, il movimento tra le placche è di natura trascorrente, come per la Faglia di San Andreas in California, cioè con una placca che scorre orizzontalmente rispetto a un’altra. La pericolosità dell’Anello di fuoco è appunto data da questo scontro e incontro tra la grande placca pacifica e le placche circostanti, responsabile di terremoti, tsunami ed eruzioni vulcaniche tra i più forti mai avvenuti sulla Terra. A questo, poi, si aggiunge la presenza di grosse aree popolate lungo tutte le coste affacciate sull’Anello di fuoco, e quindi direttamente colpite da questi fenomeni naturali.

Si può tenere sotto monitoraggio l’Anello di fuoco?

Il monitoraggio dell’Anello di fuoco, così come di tutte le altre aree del pianeta interessate da terremoti e attività vulcaniche, viene effettuato oggigiorno da diversi osservatori vulcanici, istituti geologici e geofisici, istituti universitari e governativi dei paesi affacciati sull’Anello di fuoco. A questi si aggiungono i VAACs (Volcanic Ash Advisory Centers), centri di monitoraggio sulla dispersione delle ceneri vulcaniche in atmosfera, incaricati di rilasciare bollettini e avvisi ogniqualvolta si verifica un evento vulcanico nella propria area di responsabilità. Questi avvisi sono particolarmente usati dall’aviazione civile e non per evitare che aerei di linea passino attraverso zone con concentrazioni di ceneri vulcaniche tali da provocarne il malfunzionamento.

(Marco Biscella)