Non creare danni, obbedire e aiutare l’umanità. Ecco qual è, secondo Isaac Asimov, scrittore e scienziato che di marchingegni strani e riflessioni futuristiche ne sapeva qualcosa, il compito dei robot. Dalla casa intelligente che si gestisce da sola alle macchine tuttofare, dai robot umanoide R1, progettato e realizzato all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che promette di essere il migliore domestico che si possa desiderare, a quello con funzioni di badante e infermiere progettato dal Sant’Anna di Pisa: la rivoluzione tecnologica bussa alla porta e promette di sollevarci dalle fatiche quotidiane. Svolta epocale o nuovi problemi in arrivo?
“Basta che le macchine contribuiscano al benessere dell’individuo o della società intera — arriva subito al nocciolo della questione Adriano Fabris, professore di filosofia morale all’Università di Pisa —. Bisogna fare in modo che l’introduzione delle tecnologie non provochi il vantaggio solo di alcuni (ad esempio di quegli imprenditori che sostituiscano il lavoro umano con quello della macchina), ma che sia un tema affrontato come un problema politico, cioè della comunità tutta”.
Aggiunge Carla Collicelli, sociologa del welfare della salute, ricercatore senior associato Cnr-Itb Roma: “Le innovazioni più recenti, e in particolare che in questo ultimo periodo si stanno affacciando sulla scena, sono dense di risvolti problematici per la tutela dell’autonomia, della dignità, del libero arbitrio, della partecipazione responsabile degli individui alla ricerca delle soluzioni ai propri problemi e delle strumentazioni più adatte da questo punto di vista”. Infatti, con lo sviluppo della biorobotica e l’integrazione massiccia dell’intelligenza artificiale, la robotica contemporanea permette lo sviluppo di capacità umane, o quasi, come, per esempio, la percezione, l’uso del linguaggio, l’interazione e addirittura la creatività. Rendendo i robot umani troppo umani.
“Oggi i computer programmati mediante deep learning (metodo di apprendimento dell’intelligenza artificiale) sono in grado di individuare strategie per risolvere problemi, giochi e situazioni molto complesse che vanno oltre le possibilità stesse dell’uomo”, precisa Enrico Prati. Fisico, ricercatore presso l’istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr di Milano e autore del libro Mente artificiale (Ed. Egea, 2017). L’etimologia della parola automa non lascia dubbi al riguardo: “che si muove da sé”. Ed ecco profilarsi una rapporto tra robotica ed etica: “Un rapporto molto stretto perché le macchine possono agire, con un maggiore o minore grado di autonomia e noi possiamo solo, in molti casi, solo inter-agire con questi dispositivi”, chiarisce Fabris.
Ma non per questo, come avverte Collicelli, possiamo assumerci la responsabilità di fermare il progresso scientifico e tecnologico: “Si tratta piuttosto di rendere il progresso compatibile con l’umanità e la socialità, nonché di rendere la persona direttamente interessata all’uso di strumenti tecnologici sempre più padrona delle se scelte. In questo senso il ruolo di consumatori e delle loro associazioni diventa fondamentale”. Ma un essere inanimato o meccanico che acquista la vita o svolge attività umane non è una novità, nuovo però è il modo in cui cambierà le nostre vite. “Le ha già cambiate — puntualizza Fabris —. Viviamo integrando la nostra azione, ad esempio, con quella dei dispositivi digitali personali (pensiamo allo smartphone), i quali svolgono alcune loro funzioni in maniera automatizzata. Altri dispositivi sono già diffusi (ad esempio, il robottino tagliaerba) o sono prototipi (che presto verranno prodotti in serie (come l’automobile senza guidatore). Dovremo adattarci, come spesso l’essere umano ha fatto nel passato, e sviluppare altre forme di controllo”.
C’è chi parla di quarta rivoluzione industriale “che rende facilmente possibile l’automazione delle nostre case, perché è sufficiente uno smartphone e dei software dedicati. Per quanto riguarda prodotti robotizzati più complessi, poi, visti gli alti costi fissi per la ricerca e la realizzazione, inevitabilmente l’ampliamento della scala della produzione e delle vendite ne ridurrà i costi unitari”, spiega Pompeo Della Posta, professore associato di economia politica presso il dipartimento di economia e management dell’Università di Pisa. E a questo si collega il tema, tutt’altro che secondario, degli investimenti: “L’Italia e l’Europa investono molto nella robotica, basti pensare al robot umanoide R1 o al robot badante”, fa un paio di esempi Pompeo, anche se per adesso i benefici di questa tecnologia non sono per tutte le tasche. Cospicui investimenti — seppure ancora limitati rispetto alle reali possibilità di sviluppo, un po’ come per tutta la ricerca in Italia, rilevano gli addetti ai lavori — sono destinati alla robotica umanoide per riuscire, già dal prossimo decennio, a costruire robot che si occupino di operazioni di salvataggio, manutenzione e che lavorino in zone ad alto rischio, in caso di disastri industriali, terremoti ecc. E l’introduzione di automi e tecnologie avanzate sta già cambiando, e non poco, il modo di produrre. “Come per la globalizzazione, l’educazione è la migliore assicurazione, tanto che la presenza degli umanoidi al posto degli umani contro le conseguenze dei cambiamenti tecnologici e della robotica: il 70% dei lavori non specializzati è a rischio di automazione, contro il 46% di quelli a specializzazione media e l’8% ad alta specializzazione. E già ora si ha il paradosso del jobless growth, cioè un Pil che cresce ma senza lavoratori”, chiarisce il quadro Della Posta.
Automazione nella produzione industriale, ma anche nel settore dei trasporti, con veicoli autonomi — per esempio la Google car che si guida da sola —, per le operazioni mediche e l’assistenza sanitaria e alle persone anziane, tanto che la presenza degli umanoidi al posto degli umani potrebbe diventare nel giro di poco tempo un po’ ingombrante. Un dato che fa riflettere: 60mila operai saranno prossimamente rimpiazzati dai robot in un’azienda cinese che impiega 1,2 milioni di persone. “Questo processo non si arresterà e prima o poi si tratterà di un fenomeno di massa — dichiara Collicelli —. La speranza è che non si tratti di un’evoluzione che va ad accentuare le disuguaglianze tra categorie diverse di cittadini e territori diversi, ma che sia accompagnata da un percorso di riequilibrio nell’ambito del diritto all’accessi ai servizi ed alle cure”.
Allora forse ciò che dobbiamo chiederci è cosa c’è di buono o di cattivo nelle nostre interazioni con i robot “e cercare di prevederne le conseguenze, progettare i dispositivi in modo da poterne controllare gli effetti. Tutto ciò riguarda la cosiddetta roboetica“, Fabris ci aiuta a capire la portata del problema, invitandoci a ripensare il concetto stesso di responsabilità umana. “Rispetto al funzionamento delle macchine la responsabilità umana diventa qualcosa di molto articolato. C’è la responsabilità del progettista, del costruttore, del programmatore, dell’utilizzatore, del manutentore. Ognuno ha una parte di responsabilità e ognuno se ne deve far carico, sia da un punto di vista etico che in una prospettiva deontologica”. Solo così la diffusione della tecnologia avverrà in un modo affidabile e utile davvero, come potrebbe essere il caso degli elder care robots, se riusciranno davvero a prendersi cura degli anziani, o per gli esoscheletri e i robot che aiutano persone con difficoltà motorie. In tre parole: sicurezza, servizio, prudenza. E si ritorna alle leggi della robotica inventate da Asimov, per restare umani noi.