“È nostra responsabilità prevedere le conseguenze delle nostre innovazioni”. A pronunciare questo monito non è un tecnodisfattista, ma è un imprenditore e investitore nella frontiera dell’hi-tech: dai sistemi di blockchain ai computer indossabili, o impiantati come quel chip sotto pelle della mano destra che serve per aprire la porta di casa o pagare un acquisto.



David Orban non è solo un guru della tecnologia: era nel gruppo che dieci anni fa, nel centro di ricerca della Nasa in California, ha lanciato la Singularity University (SU), dove manager e leader si formano a usare la forza dirompente delle cosiddette tecnologie esponenziali, dalle biotecnologie all’Intelligenza artificiale (AI), per dar vita ad applicazioni che possono cambiare il mondo. In meglio.



Dalla California, Orban ha esportato l’esperienza di SU in Italia, dove prosegue il proselitismo sull’idea fondante che “in astratto scienza e tecnologia possono essere viste come neutrali, ma necessariamente, una volta che sono implementate nella società attraverso l’innovazione che comportano, smettono di fatto di essere neutrali e riteniamo che abbiano un effetto netto positivo. Così come nel passato le grandi sfide dell’umanità si sono potute affrontare e superare utilizzando la tecnologia, lo stesso avverrà anche in futuro. E’ grazie alla tecnologia che la civiltà progredisce. La sperimentazione deve proseguire alla ricerca di soluzioni sempre migliori”.



Tuttavia per il tecno-ottimista Orban, che da bambino preferiva “Le Avventure di un Atomo di Carbonio a Topolino”, è “da irresponsabili sottostimare i rischi legati a una cattiva applicazione della tecnologia o a un’insufficiente comprensione del suo impatto. Bisogna essere in grado di gestirla”. E cita il caso dei bambini che accendendo un falò estivo o un caminetto intuiscono che il fuoco è utile e al tempo stesso pericoloso.

“In un parallelo con la tecnologia, l’esempio classico è quello dell’automobile, che ha completamente trasformato il mondo, ha distrutto un’economia e un ecosistema basati sul cavallo. La rapidità degli spostamenti ha eliminato alcuni problemi, ma ne ha portato altri. Tuttora il settore del trasporto su gomma è in trasformazione: segna il declino del motore a scoppio con uso di combustibili fossili e l’affermazione delle automobili elettriche. Negli anni Venti, quando milioni di cavalli che prima erano necessari nelle metropoli come Londra o New York venivano gradualmente sostituiti da automobili, abbiamo imparato quali cambiamenti diventavano necessari, come si trasfiguravano le nostre città, quali lavori scomparivano e quali nuove occupazioni nascevano. Lo stesso fenomeno sta per ripetersi con il prossimo avvento delle automobili a guida autonoma. Una rivoluzione, soprattutto nell’ambito dell’autotrasporto: lo spostamento delle merci non sarà più vincolato alla preziosissima presenza di operatori umani”. Una tragedia, vista dalla prospettiva dei camionisti, ma un’esplosione di una varietà incredibile di modi di trasporto che porteranno allo sviluppo di altre occupazioni. Lo stesso avvenne nella telefonia con l’avvento dei commutatori automatici: sono sparite le centraliniste, sono nate le impiegate nei call center.

È vero che la governance delle tecnologie esponenziali oggi è più difficile rispetto alle innovazioni del passato, ma a rassicurarci c’è che il mondo di oggi è un mondo aperto. “Se in passato la polvere da sparo ci ha messo 500 anni per arrivare dalla Cina all’Europa, oggi le invenzioni, i loro rischi e benefici coprono l’intero globo in tempi rapidissimi. Le best practices non sono nascoste, ma orgogliosamente comunicate dalle aziende. Ciò che accade nella galassia aziendale e nel mondo della ricerca è sotto gli occhi di tutti. Se in tempi passati un monarca o un monopolista poteva permettersi degli incidenti di natura tecnologica, lasciando solo alle vittime l’onere di pagarne le conseguenze, e proseguire come se niente fosse (anche questa è una forma crudele di sperimentazione che permetteva di progredire), oggigiorno è umiliante quando la classe dirigente economica o politica di una nazione, dopo aver adattato alla realtà locale un’innovazione, ammette un errore di valutazione. A meno che tu non sia completamente all’avanguardia mondiale – e allora devi essere un po’ cauto, di modo che le cose radicalmente nuove che scopri non producano un impatto irreversibile -, non è ammissibile nascondersi dietro la finzione di un’ignoranza, perché i rischi e i benefici sono assolutamente rivelabili con la partecipazione al confronto aperto tra nazioni, associazioni industriali eccetera”.

Neppure le fumose e poco divulgate manipolazioni climatiche come le operazioni di inseminazione delle nuvole con aerosol di nanoparticelle metalliche condotte da alcuni Paesi preoccupano David Orban, che mette comunque in conto che in futuro ricorreremo alla geoingegneria per intervenire sul clima. “In fondo lo stiamo già facendo con le nostre auto, fabbriche e città che emettono tonnellate di gas inquinanti”, chiosa provocatoriamente.

Piuttosto, quale convinto sostenitore della democratizzazione del processo d’innovazione, Orban confida nella moltiplicazione dei centri di ricerca, dove passione, creatività e intelligenza si mobilitano per trovare soluzioni alle nuove sfide dell’umanità: dalla fusione nucleare alla medicina personalizzata con ricadute positive per tutti. “I metodi scientifici evolvono e oggi l’innovazione deve essere condotta nel rispetto dei princìpi di condivisione, apertura, trasparenza e accountability, che sono la salvaguardia per una tecnologia usata a fin di bene”.

Ma l’Intelligenza artificiale che fa paura ai più? “E’ una paura giustificata. Il fuoco deve far paura, l’AI deve far paura. Così come abbiamo saputo gestire il fuoco, altrettanto dobbiamo preoccuparci di mantenere le promesse dell’AI. Abbiamo impiegato del tempo. Per esempio, la Londra del Settecento era una città incompatibile col fuoco: regolarmente interi quartieri andavano in fiamme. Ancora nel 1906, nel terremoto di San Francisco, la vera ecatombe fu prodotta dall’incendio che divampò in seguito alle scosse. Ci sono voluti 100mila anni per edificare città conciliabili con un qualcosa di elementare come il fuoco. Ora dobbiamo sbrigarci a sviluppare tutto quello che serve per rafforzare le nostre difese nei confronti della potenza dell’AI, perché sia al servizio dell’umanità. E’ quello che si sta facendo un po’ ovunque negli Usa, in Europa e in Asia”.

(Patrizia Feletig)