Oggi al Meeting nello Spazio Exoplanets interverrà Enrico Flamini, dopo aver partecipato ieri a un seguitissimo incontro sulla ricerca degli esopianeti con Roberto Battiston (in collegamento dalla base spaziale di Kourou in Guyana) e Alessandro Morbidelli, coordinati da Marco Bersanelli. Flamini è un astrofisico, professore di planetologia all’università di Chieti-Pescara ed è responsabile per l’Asi (Agenzia Spaziale Italiana) dell’esperimento Marsis, che ha portato all’ultima sconvolgente scoperta del lago salato sotto la superficie di Marte. L’abbiamo incontrato e abbiamo raccolto il suo racconto di questa entusiasmante impresa.
Flamini inizia con una interessante premessa: che ci fosse l’acqua su Marte si sapeva già da tempo, ma solo allo stato solido, sotto forma di permafrost, ad esempio. L’idea di una riserva di acqua liquida su Marte non era mai stata confermata ed era un po’ il santo Graal, racconta Flamini, di chi lavorava nel settore. “Il mantra qualche anno fa era follow the water“. Alcune missioni, come Mars Express e Mars Rover, avevano individuato qualche rivoletto d’acqua liquida, che, però, resiste pochi istanti sulla superficie del pianeta rosso. Questa presenza, però, non poteva non dipendere dalla presenza di sorgenti, che si ipotizzò fossero sotterranee. Il grande obiettivo, infatti, era capire dove fosse quest’acqua. In Italia, così, Flamini e altri idearono un radar low budget, che lui stessa aveva contribuito a proporre in occasione del lancio del Mars Pathfinder. Ci furono molti scettici, che si appellarono alla densità della ionosfera di Marte e ad altre criticità, conosciute dagli italiani ma che non scalfirono la loro determinazione.
Il fatto che ci sia rimasta acqua allo stato liquido su Marte, spiega lo scienziato, ha varie implicazioni, di cui una a livello cosmologico: ci conferma il fatto che l’acqua sui pianeti rocciosi ci fosse dall’inizio e che, quindi, non sia stata portata tutta dalle comete. L’acqua liquida in una zona così protetta da radiazioni, inoltre, costituisce una nicchia dove la vita potrebbe svilupparsi, come avviene sotto i ghiacciai antartici sulla Terra, dove troviamo forme di vita molto diverse da quelle a cui siamo abituati, ad esempio batteri vecchi 140mila anni. Stiamo, poi, scoprendo che l’acqua liquida in profondità è molto presente nel sistema solare, per esempio su Titano ed Europa. Quindi, la fascia di abitabilità è più estesa di quanto si pensi. Per ora, Flamini e la scienza tutta si ferma all’affermazione: “Sono ragionevolmente certo che vediamo un bel lago d’acqua, ma non ho certezze sulla vita”. Il professore, poi, ricorda un altro fattore da non trascurare, cioè che Marte è molto grande: se qualcuno facesse una missione sulla terra e atterrasse nel deserto del Sahara direbbe che sulla Terra non c’è vita. Quindi, bisogna anche avere la fortuna di ammartare nel luogo giusto. Si prevede che, intorno al 2023, se c’è evidenza di vita lo sapremo e, se non c’è, questo non esclude che possa esserci altrove. Infine, porterebbe a fare grandi passi avanti se riuscissimo a portare sulla Terra campioni da analizzare in un laboratorio terrestre, che fa un lavoro nettamente più efficace rispetto a qualsiasi strumento mandato sul pianeta.
Alla domanda “Esistono dei riflessi sulla nostra vita quotidiana provenienti dai vostri risultati?”, Flamini risponde che, oltre alle ovvie ripercussioni filosofiche, le conseguenze più utili sono quelle derivanti dagli sviluppi tecnologici sperimentati nella ricerca spaziale. Non sempre, però, queste applicazioni tecnologiche sono immediate. Il metodo utilizzato per captare la presenza dell’acqua liquida sotto la superficie di Marte potrebbe essere applicato sulla Terra per cercare fonti di acqua sotterranee in zone desertiche come Flamini stesso ha già proposto. Qualche anno fa, per esempio, era stata sviluppata, nell’ambito della ricerca astrofisica, la spettroscopia ad immagine, che ora è utilizzata in ambito artistico, nello studio dei quadri.
In chiusura, Flamini lancia un messaggio per i giovani. L’esplorazione spaziale ha una storia brevissima, di cinquant’anni. Quindi è un campo ancora tutto da esplorare. Cinquant’anni dopo i voli dei fratelli Wright, la possibilità di un volo intercontinentale era ancora ben lungi dal venire. I giovani magari avranno la possibilità di fare esplorazioni in sito, non solo su Marte. Nota dolente, il precariato giovanile, fisiologico in un campo obbligato a scegliere il meglio. Flamini si augura che questo precariato diventi più dinamico, perché, giustamente, non si può restare precari tutta la vita. Non bisogna, però, lasciarsi scoraggiare: “se c’è una cosa che ti piace, se c’è una passione, se c’è un interesse, se hai una buona capacità di concentrazione lo spazio per ottenere risultati c’è, anche in tempi non lunghissimi”.
Meriem Behiri, Alessandro Menghini