Prima dell’incontro “Alla ricerca di civiltà extraterrestri”, in programma al Meeting nello Spazio Exoplanets, con Stelio Montebugnoli, Seti advisor alla direzione scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e Paolo Musso, professore di filosofia della scienza nell’Università dell’Insubria di Varese, abbiamo avuto l’opportunità di rivolgere alcune domande a quest’ultimo sul tema in questione.
Come ha deciso di occuparsi di vita extraterrestre?
Il mio interesse verso la scienza in generale e verso lo spazio in particolare è iniziato seguendo la vicenda dello sbarco sulla Luna, avevo 5 anni e mi fece un’impressione profondissima che mi è rimasta dentro per sempre. Da lì ho iniziato a interessarmi in generale di tutto ciò che riguarda i misteri dell’universo, sono sempre stato molto appassionato di astronomia ed astrofisica, delle domande sull’origine dell’universo e anche di dinosauri in realtà: tutto ciò che ha a che fare con l’infinito nello spazio e nel tempo.
Come è entrato in contatto con il Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence)?
Con il Seti in particolare la collaborazione è nata, come molte cose importanti, per caso, o se volete, per destino. C’era la fidanzata di mio fratello che voleva fare una tesi sulla filosofia del linguaggio, non sapeva su cosa farla, vide insieme a mio fratello il film “Contact”, in cui nella prima parte si parla in modo piuttosto realistico del Seti e un po’ per scherzo le dissi: “Ma perché non fai la tesi sul problema del linguaggio nel Seti?”. Dopodiché la fece davvero e da lì è nato il rapporto: ci mettemmo a cercare su Internet, scoprimmo il Seti Institute, poi ci mettemmo in contatto con Stelio Montebugnoli, responsabile del grande radiotelescopio dell’Inaf di medicina vicino a Bologna, andammo a trovarlo e da lì è nato tutto. Poi lui ci disse: “venite a un incontro alle Hawaii su questi temi!”. Nel tempo quest’aspetto è diventato una parte molto importante del mio lavoro di filosofo della scienza.
In questo campo così particolare della ricerca della vita extraterrestre, com’è il rapporto tra scienziati e filosofi?
Bisogna dire che questo è uno degli aspetti più affascinanti di questa ricerca. Infatti sin dall’inizio – e questo è merito degli scienziati – è stato creato un gruppo di studio, nell’ambito dell’International Academy of Astronautics, massimo organismo mondiale nell’astronautica, oggi Seti Committee, concepito come interdisciplinare, con scienziati, filosofi, teologi, artisti, perché gli scienziati del Seti, in particolare Frank Drake, pioniere del Seti, Jill Tarter, che ha ispirato la figura dell’astronomo di Contact, e altri ebbero sempre ben chiaro che questa non era solo una questione scientifica, ma che certamente era un problema che aveva conseguenze che riguardavano tutta l’umanità. Hanno sempre voluto fortemente questo progetto, che è stato fatto ed ha avuto momenti molto interessanti: per esempio quando agli inizi degli anni 2000 abbiamo fatto una serie di seminari studiando in particolare il problema di come si potrebbe sviluppare un linguaggio per comunicare nel caso dell’incontro di un’altra civiltà. È stata un’esperienza bellissima, poi purtroppo sono finiti i soldi e negli ultimi tempi effettivamente quest’aspetto è un po’ in crisi: Seti Institute è in difficoltà e non vi sono altre realtà con la stessa sensibilità. Però è un esempio che dovrebbe essere seguito, soprattutto in campi scientifici critici, che toccano temi al confine con la religione, la metafisica e la vita comune della gente. Sicuramente per me è stata ed è un’esperienza utilissima, anche per il mio lavoro di filosofo.
Lei insegna in Perù, la geografia influisce sulla ricerca astronomica? Cambia il modo di fare ricerca in Sudamerica rispetto a qui?
La geografia influisce soprattutto nel senso che l’astronomia è sempre alla ricerca di luoghi adatti per fare osservazioni. In Cile e in Perù ci sono luoghi adatti per posizionare i telescopi e poi vi è un’area, nel deserto di Atakama, il luogo più arido del mondo, che viene usato per fare molti esperimenti in funzione delle missioni su Marte, in quanto esso è molto simile a Marte, è un “analogo marziano terrestre”. Vi lavora Rosalba Bonaccorsi, italiana che lavora alla Nasa. Inoltre nella sede di Nopoki, ad Atalaya, in Amazzonia, della mia università, la Cattolica di Lima, vi sono molti studenti indigeni che studiano e il rapporto con la nostra cultura funziona egregiamente, tanto che persino Papa Francesco l’ha indicato come un esempio per tutti, dopo averlo visitato. Finora non abbiamo mai incontrato culture extraterrestri e dunque si fa riferimento agli incontri con civiltà terrestri con un diverso grado di sviluppo tecnologico, come lo sono queste civiltà indigene. Solo che spesso questi incontri hanno esiti catastrofici. Questa è una rara e bella eccezione.
Gli scienziati parlano anche di Superterre, pianeti molto grandi con stelle più piccole e più vecchie del sole, che secondo alcuni potrebbero essere più favorevoli della Terra alla vita. Se quest’idea venisse avvallata da nuove osservazioni, come sarebbe la reazione di un filosofo?
Non mi pongo molto il problema. Personalmente sono convinto che se ne troveranno, se ne troveranno moltissime, è già evidente. Nel 2002 era stata fatta un’analisi statistica da cui emergeva che questi pianeti non erano stati trovati per via dei limiti degli strumenti, ma già allora si ipotizzava che questi pianeti fossero la maggioranza tra gli esopianeti. Non è il punto cruciale, che è invece capire come è nata la vita sulla Terra, vera grande incognita che può fare la differenza sul se la vita possa essere molto comune o molto rara. Sono sicuro che però non vi sia una via di mezzo: o è molto diffusa o è molto rara.
Leopardi nel Dialogo tra la Terra e la Luna mette in bocca alla Luna una critica all’antropocentrismo, all’antropomorfismo, che caratterizza la sua ricerca astronomica. L’uomo è in grado di concepire una vita intelligente diversa da quella umana?
Questa è quella che si dice una domanda da un milione di dollari! Sinceramente ho dei dubbi sulla possibilità di immaginare un’intelligenza radicalmente diversa dalla nostra. Basta leggere la fantascienza: alla fin fine non ci riusciamo. Effettivamente noi abbiamo provato a riflettere, nei seminari sul linguaggio suddetti, a supporre la struttura di linguaggi alieni e ci siamo resi conto che in ogni caso dovrebbe esserci un grosso sostrato comune e in un certo senso, almeno nelle strutture generali, la ragione dovrebbe essere universale. Una civiltà qualunque per sviluppare la scienza e la tecnologia deve innanzitutto scoprire certe leggi naturali che sono uguali in tutto l’Universo. Oggi nella filosofia della scienza tende a dominare il relativismo, però, intanto, questa non mi sembra una buona spiegazione nemmeno della nostra scienza, ma poi i dati che gli scienziati collezionano oggi li portano a postulare una ragione universale.
Dopo la scoperta del lago salato su Marte si è ricominciato a parlare dell’esistenza di forme di vita su Marte, che esisterebbero da tempo. Questo riscriverebbe la storia del nostro sistema solare, come commenterebbe questa scoperta?
Innanzitutto va detto che è una scoperta sensazionale! È vero, potrebbe esserci la vita su Marte, come su Europa, che si crede abbia anch’esso un lago sotterraneo, che però sarebbe difficilissimo da individuare e analizzare. Marte è relativamente più facile da osservare e magari nei prossimi anni si potranno fare addirittura spedizioni umane. Quindi questa potrebbe essere l’unica possibilità di trovare vita nel sistema solare. Se trovassimo la vita su Marte allora potremmo immaginare che la vita sia davvero diffusa pressoché ovunque nell’Universo, perché trovarla così vicino a noi, se la vita non fosse molto comune, sarebbe impossibile. Questo vorrebbe dire che l’Universo è in grado di produrre una grande quantità e varietà di vita, anche su pianeti minimamente adatti. Allora sarà probabile che anche la vita intelligente sia molto comune. Si aprirebbero una serie infinita di interrogativi, di cui parlerò tra poco all’incontro.
Meriem Behiri e Alessandro Menghini