Nello spirito della “Notte europea dei ricercatori”, che si tiene oggi, venerdì 28 settembre, in numerose città europee, abbiamo intervistato Bruno Marano, professore emerito di Astronomia e Astrofisica all’Università di Bologna, che partecipa all’evento come relatore nella conferenza “Misurare il tempo”, dedicata alla meridiana progettata da Domenico Cassini presso la basilica di San Petronio a Bologna.



Perché Domenico Cassini si dedicò con tanto impegno nella costruzione di una meridiana? Che ruolo poteva avere nelle sue ricerche astronomiche un’opera simile?

La motivazione ufficiale per la costruzione della meridiana era legata alla ridefinizione del calendario dopo la riforma di Gregorio XIII. L’obiettivo era determinare con precisione il giorno del solstizio e di valutare se l’inclinazione dell’orbita terrestre variasse. Quando la Basilica di San Petronio fu ristrutturata, per essere ampliata, Cassini propose di costruire una nuova meridiana, in sostituzione di quella già presente costruita da Danti, la quale prendeva luce da un foro presente in un muro che era stato abbattuto. Bisogna tener presente che San Petronio era uno degli edifici più grandi esistenti all’epoca: secondo il progetto iniziale, doveva diventare più grande di San Pietro. Cassini poteva, quindi, costruire una meridiana con un raggio tale da formare un disco solare di dimensioni molto notevoli. L’astronomo aveva, però, anche un altro intento: confrontare il modello di Keplero, con orbite ellittiche e velocità di rivoluzione che aumenta al perielio e diminuisce all’afelio, con il modello degli epicicli. Siamo a pochi anni dal processo di Galileo e Cassini vuole fare un test per verificare se il rapporto tra il diametro apparente del sole e la sua velocità confermasse un modello o l’altro. I dati risultarono a favore di Keplero. È curioso pensare che questo esperimento fosse stato fatto in una chiesa. In realtà, io sono convinto che i gesuiti bolognesi fossero consapevoli delle reali intenzioni dell’astronomo. C’erano, ad esempio, Riccioli e Grimaldi, i quali si guardavano bene dal parlare di sistemi del mondo, ma avevano una cultura talmente vasta da non poter ignorare la questione. Riccioli scrisse un trattato sulle argomentazioni contro e a favore della teoria copernicana e tolemaica. Non si dichiarò mai esplicitamente a favore dell’eliocentrismo, ma è evidente che non potesse non capire il senso delle operazioni di Cassini. Grimaldi, poi, era uno sperimentale a tutti gli effetti, come testimonia la sua dichiarazione “Cosa sono tutte queste discussioni se la luce è sostanza o accidente? L’importante è guardare cosa fa”: un personaggio simile non poteva non essere cosciente degli intenti scientifici di Cassini.

La meridiana è una testimonianza eclatante del valore pratico dell’astronomia, che troppo spesso viene considerata come scienza puramente speculativa.

Per costruire una lavatrice non serve sapere se la Terra gira intorno al Sole o il Sole intorno alla Terra, però soltanto la civiltà che si è posta questi problemi è arrivata a costruire la lavatrice. È lo sviluppo di una civiltà complessiva, il quale non può partire senza che ci siano certe domande: “qual è il significato della natura?”, “qual è il posto dell’uomo?”. Non è un caso che l’eliocentrismo sia considerato un punto di svolta nella storia dell’uomo. L’altro aspetto fondamentale è che l’astronomia è un laboratorio di fisica e chimica di cui non si può disporre sulla Terra: è un’occasione di sperimentazione passiva, che però offre condizioni irrealizzabili in condizioni normali. Una testimonianza lampante di questo aspetto è data dal fatto che la prima misura della velocità della luce è avvenuta nello spazio. Un altro esempio è la relatività generale, che viene usata dai navigatori satellitari. Infine, c’è un risultato recentissimo dell’Eso: l’osservazione delle orbite attorno al centro della Galassia. È un test di gravità attorno a un oggetto di un milione di masse solari. Noi la gravità attorno a oggetti così massivi la teorizziamo per estensione delle nostre conoscenze, ma orbite attorno a oggetti di massa superiore a una ventina di masse solari non le avevamo mai osservate direttamente.

Bologna oggi ha un ruolo fondamentale nell’astrofisica internazionale. Come è diventata un polo così importante?

Come centro di ricerca fisica e astrofisica Bologna nell’Ottocento era rimasta arretrata ed è ripartita con Augusto Righi. Il motivo di questo credo sia legato a vicende di tipo politico: Bologna era nello stato del Papa, quindi astronomi come Manfredi e Zanotti, figure di un certo rilievo, erano dell’establishment cittadino, che venne spazzato via da Napoleone. Dopo anni di stasi, lo stato unitario rimise in piedi l’Università, chiamando figure come Augusto Righi. L’astronomia non trovò molto spazio sino a quando Guido Horn d’Arturo mise in piedi un’attività moderna ed ebbe l’idea del telescopio a tasselli. Horn d’Arturo, però, parlava solo con se stesso, non conosceva altre lingue e, per di più, venne emarginato a causa delle leggi razziali. L’astronomia bolognese è decollata grazie a delle operazioni messe in piedi da Puppi, che ottenne un finanziamento specifico per la costruzione del Radiotelescopio di Medicina. Puppi investì molto anche nell’astrofisica spaziale: il primo strumento italiano che ha volato su un vettore della Nasa è stato costruito a Bologna dalle persone che poi hanno generato lo IAS (Istituto di Astrofisica Spaziale).

Che caratteristica particolare hanno gli astrofisici italiani rispetto agli altri?

In realtà non lo so. Una volta il meccanismo del posto fisso faceva sì che ci fosse molta meno pressione nel pubblicare e si aveva più tempo per studiare, soprattutto in Italia, dove tutto questo meccanismo dei post-doc praticamente non esisteva. Si aveva il tempo di cambiare strada, non ci si doveva indirizzare da subito. Ora questa peculiarità non c’è più, perché ci siamo dovuti adattare ai meccanismi internazionali.

(Meriem Behiri)