In ogni azione didattica è implicata la mediazione della lingua nella comunicazione e trasmissione dei contenuti. Per le materie scientifiche, in particolare per la matematica, il ruolo della lingua presenta caratteristiche specifiche.Non si possono, perciò, trascurare alcuni elementi problematici, che spesso ostacolano in modo rilevante la comprensione concettuale. Individuare e contrastare alcune radici linguistiche delle difficoltà in matematica può essere determinante per rendere efficace la didattica e inquadrare più correttamente la situazione cognitiva degli alunni.Il testo dell’articolo è tratto dalla relazione dell’autore al Convegno Ma.P.Es. – FdS
“Aspetti linguistici nell’apprendimento della matematica nella scuola primaria”.
Nell’anno 2018-2019 un gruppo di una quarantina di insegnanti ha dato vita a un interessante lavoro sul tema del problema nella scuola primaria. Si è svolta nelle loro classi la sperimentazione di alcuni problemi, scelti in relazione ai contenuti matematici che si affrontano nei cinque anni della scuola primaria: la struttura additiva in prima, la sottrazione in seconda, la moltiplicazione in terza, area e perimetro in quarta, la divisione e le sue implicazioni in quinta.
Nell’intenzione di chi ha elaborato la proposta di lavoro, i problemi erano usati in funzione di stimolo per introdurre un nuovo concetto, in modo che gli alunni potessero cimentarsi attivamente nella ricerca di una risposta, almeno intuendo la necessità di allargare le proprie conoscenze e il proprio bagaglio strumentale.
Il lavoro in classe è stato poi documentato dalle insegnanti mediante la stesura di relazioni, in cui sinteticamente sono state raccolte le fasi di quanto accaduto in classe e le osservazioni ricavate dall’impegno dei bambini, dalle attese dell’insegnante e da qualche imprevisto…
In tutte le classi una delle maggiori evidenze ha riguardato l’importanza degli aspetti linguistici nella risoluzione dei problemi, e in modo più ampio nell’apprendimento della matematica, suggerendo la prosecuzione di un lavoro di analisi ed esplorazione più in profondità dell’importante, ma spesso problematico, intreccio tra la lingua naturale e la matematica.
Parole, parole, parole…
Occuparsi dell’apprendimento della matematica senza tener conto dei legami con la lingua naturale è impossibile.
Siamo immersi nella lingua naturale, fin da piccolissimi, quando la mamma culla il neonato e lo intrattiene, lo calma con il suono della sua voce. Non esiste forma di comunicazione diretta, immediata, che ne possa prescindere, a eccezione di poche esclamazioni sonore, quali «wow», o qualche forma di gestualità.
Tutta o quasi l’interazione umana diretta avviene attraverso la lingua madre, solo il crescere dell’esperienza e della confidenza con qualcuno permette di comprendersi facendo uso dell’espressione non verbale, sia per quanto riguarda la comunicazione intenzionale, sia quella non volontaria.
A questa legge non sfugge la matematica. Per quanto possa essere limitato l’uso della lingua naturale nei suoi testi più maturi, in cui ha prevalenza la forma simbolica, non si possono non usare espressioni verbali della lingua naturale per definire, indicare, descrivere gli oggetti di cui si intende trattare, fatto ancor più rilevante per gli aspetti elementari della disciplina.
Iniziamo le nostre osservazioni concentrando l’attenzione sugli elementi lessicali. Per denotare un oggetto si usa principalmente un sostantivo, così avviene anche per gli oggetti della matematica; le parole che si usano a tale scopo, specie nella matematica elementare, sono spesso mutuate dal linguaggio comune e possono presentare una pluralità di significati: alcuni vivono nell’ambito della vita quotidiana, altri sono propri della disciplina.
Intreccio di significati
Per chi impara può essere complicato districarsi tra questo intreccio di significati che inevitabilmente si travasano da un ambito all’altro dell’esperienza: il processo è in realtà di un mutuo scambio, perché è anche vero che nel linguaggio quotidiano si usano espressioni che hanno un’origine nella matematica.
Anzitutto l’avverbio matematicamente, utilizzato di solito per indicare certezza assoluta, ma anche altre espressioni vogliono accreditarsi attraverso l’autorevolezza della matematica. Così, per esempio, «al cento per cento» vale per completo, al meglio, insuperabile; «analisi a 360 gradi» intende garantire tutte le possibilità, la massima scrupolosità: «un’offerta 3 x 2» propone un acquisto di sicura convenienza.
Esaminiamo per esempio i significati del termine differenza. Dal dizionario etimologico, www.etimo.it, possiamo leggere: «Ciò per cui o in che una persona o una cosa si distingue o discerne dall’altra, che dicesi anche Divario, Dissimiglianza, Disparità, eccetera». È un significato molto ampio, ben più ampio di quello che si usa nell’aritmetica elementare.
Interessante è anche leggere la voce relativa a differente, cui si rimanda nella voce precedente: «Sinonimo di Diverso, Vario, Disuguale, con i quali però non deve confondersi, perché la Differenza suppone un confronto che lo spirito fa per avere idee precise e non confonder le cose; la Diversità suppone un cambiamento del quale va in cerca il gusto per trovare novità che lo contenti e lo ecciti; la Varietà suppone una pluralità di cose dissimili, atte a dissipare la noia della troppa uniformità e fra le quali spazia volentieri l’immaginazione; la Disuguaglianza, insieme alla Disparità, è specie particolare della differenza, che è il genere, sembrando notare la prima differenza in quantità, la seconda in qualità o in numero».
Queste voci del dizionario permettono alcune osservazioni che ritengo importanti. Nella lingua comune una parola, oltre a veicolare un significato, evoca un insieme di significati, più o meno vicini tra loro, che si distinguono appena o che evidentemente divergono; d’altro canto, a una parola se ne associano altre, i sinonimi, parole che hanno un significato assimilabile a quello che viene indicato da un termine, e che, generalmente e genericamente, si possono usare in modo alternativo.
Nella definizione di differente possiamo inoltre osservare che, anche nel caso dei sinonimi, possono esserci accezioni che colorano il senso di una particolare sfumatura, permettendo così l’opportunità di rendere i significati in modo più preciso.
L’ampliarsi del lessico è segno dell’espandersi della conoscenza, dell’esperienza che si arricchisce e che ha la necessità di dotarsi di uno strumento espressivo e comunicativo in più, di una parola in più. A volte l’esclamazione di un alunno: «Mi manca la parola!» non è il segnale di scarso impegno nello studio, quanto piuttosto di una comprensione finalmente raggiunta che ha necessità di completarsi con l’acquisizione del termine specifico.
Il lavoro di insegnanti
Tornando alla matematica, il lavoro di insegnanti consiste anche nel fare in modo che gli allievi imparino le parole che si usano nella disciplina secondo il significato proprio interno a essa, e per questo non si può non tener conto del fatto che i bambini e i ragazzi già conoscono e usano alcuni di questi termini, secondo i significati che essi veicolano nella lingua comune.
Consideriamo per esempio il termine intero: per la matematica si può usare per indicare una unità, sono quindi espressioni a esso equivalenti due mezzi o otto ottavi, come ogni altra frazione che presenta il numeratore uguale al denominatore.
Per i bambini non è così, o meglio per i contesti di vita che affrontano e in cui utilizzano i numeri non è così: due mezze focacce non sono una focaccia, una focaccia intera è (anche) una focaccia integra, che nessuno ha toccato, una focaccia integra è un dono che si può offrire, è un gesto di attenzione che si accetta volentieri, è un segno riconosciuto di affetto, è un cibo che si può mangiare senza preoccupazioni.
D’altro canto mangiare una intera focaccia, sottolineato con la voce per esprimere una certa enfasi, comunica anche il fatto che si tratta di una focaccia esageratamente grande.
Affinché gli alunni apprendano i significati matematici delle parole è necessario un lavoro dedicato e delicato, in modo che il significato specifico si faccia strada e si distingua tra gli altri, tenendo altresì presente che in matematica il significato di un termine in un determinato contesto è univoco.
Le parole della matematica, per quanto evocative, per quanto mantengano un riferimento al significato o ai significati della lingua naturale cui sono legati, hanno sempre un solo significato specifico dichiarato e circoscritto.
Come osserva Paola Bruno Longo [1], nell’introduzione del termine differenza in una classe seconda il punto di partenza può essere proprio il significato della parola in contesti normali, come per esempio nel gioco enigmistico Trova le differenze in due disegni che si distinguono per alcuni particolari grafici. Ancora, un esempio sulla divisione: nel linguaggio comune dividere significa fare più parti di un tutto, separare, disgiungere, disunire, distribuire, fino a contrapporre; per tutti i significati in cui ha senso considerare gli aspetti numerici delle parti che si generano dall’azione nell’accezione comune non si intende che le parti siano uguali. In aritmetica la divisione produce solo parti uguali, e non c’è bisogno di doverlo ripetere tutte le volte.
Dentro le parole: l’etimologia aiuta
Anche l’etimologia aiuta a fissare il significato corretto di un termine: consideriamo per esempio il termine addizione, relativo alla prima operazione in cui ci si imbatte, nella vita e nell’esperienza scolastica. Leggiamo ancora dal dizionario etimologico: «Addizione, da Additus, part. pass. di Addere, aggiungere, quasi porre a presso […]».
È interessante scoprire che il significato è legato all’azione di «porre a presso», mettere vicino, un’azione che dà origine a un nuovo «oggetto» sorto dal considerare come un’unica «cosa» la molteplicità delle diverse «cose» che vivevano prima separate. Ed è l’azione che anche i bambini fanno per radunare delle cose che hanno davanti a sé sparse o raccolte in due o più gruppi, per metterle insieme a costituire un nuovo «oggetto», l’insieme di tutte le cose.
La descrizione di questa azione negli aspetti numerici avviene attraverso le operazioni del conteggio o dell’addizione.
Analoghe osservazioni si possono fare per altri termini ed espressioni, sia dell’aritmetica sia della geometria: «tirare una retta» mantiene il ricordo vivo di una delle azioni degli agrimensori, azioni da cui si fa risalire l’origine della geometria. È visibile nelle parole quello che sostiene il matematico Enrico Giusti (1940 – …): che le azioni, le procedure sono generativi degli oggetti della matematica, che le azioni e le procedure, quando vengono cristallizzate nei loro elementi essenziali, producono gli oggetti della matematica, secondo un processo di astrazione che egli chiama oggettualizzazione delle procedure. [2]
Tornando all’esempio dell’addizione, troviamo le parole addendo, che conserva l’impronta della forma verbale del gerundio, che nella lingua italiana ha il senso del divenire, qualcosa che si sta aggiungendo, e somma, derivato dal latino «summa», che ha il senso di «più alto», «più elevato», con significato che si può incontrare in espressioni come «la sommità della collina», ma anche «il sommo vate».
È importante sottolineare che in questo caso il significato nel linguaggio naturale e in quello specifico sembrano non essere in conflitto; nei numeri naturali e nei numeri positivi in genere il risultato dell’addizione è il più elevato dei tre numeri che compaiono. Questo può generare negli alunni la convinzione che ciò accada sempre: quando, passando ai numeri relativi, non è più così, è necessario sottolinearlo esplicitamente perché emerga, e non si fissino errate convinzioni.
Le parole si trasformano
Ci sono termini che includono nel significato delle relazioni: un numero pari è un numero divisibile per due, ovvero se abbiamo un numero pari di oggetti uguali, dei tappi di bottiglia per esempio, si possono disporre linearmente in due gruppi che si pareggiano.
Nei numeri naturali un numero è pari o non è pari, ovvero è dispari, termine costruito con il prefisso «dis-» che ha l’effetto di «rovesciare il senso buono o positivo della parola» [3].
Nella lingua italiana esistono prefissi diversi per costruire parole atte a indicare oggetti che non hanno una caratteristica, ciascuno portatore di una sua diversa accezione: «in-» contenuto in inutile modifica utile in non utile; applicato a pari produce impari, che significa diverso in modo sproporzionato e in matematica non trova spazio; «a-» in anormale rovescia il senso di normale in non normale; «anti-» in anticlericale significa addirittura contro ciò che è clericale.
In matematica alcune forme non si utilizzano, il già citato impari, ma accade anche che se ne possa usare più d’uno: per esempio si ha sia asimmetrico sia antisimmetrico, che ovviamente sono utilizzati in contesti diversi e con accezioni diverse.
Anche gli alunni cercano di costruire parole utilizzando i prefissi. Non è infrequente sentire che un dato poligono è irregolare, intendendo che non è regolare: è un termine di cui in matematica non si fa uso perché non significativo; tra i poligoni non regolari si riconoscono figure che non condividono alcuna proprietà come può essere per un triangolo isoscele e un trapezio scaleno.
Oltre il lessico
Le difficoltà e gli ostacoli si incontrano anche nel linguaggio comune: non basta conoscere il significato dei termini usati in un testo per comprenderne il messaggio.
Un bimbo di seconda elementare si trova in difficoltà e viene con il suo libro a chiedere spiegazioni per un esercizio che non è in grado di svolgere. Ecco il testo: Lara confeziona bracciali con perline colorate. Per ogni bracciale usa 7 perline. Oggi ha comprato una scatola con 35 perline. Quanti bracciali riuscirà a confezionare Lara?.
La difficoltà non è però nella individuazione dell’operazione, perché il bambino chiede: «Come si fa a confezionare un braccialetto con le perline? Ci vuole un foglio o un sacchettino».
Per lui confezionare significava fare la confezione, il pacchetto regalo, e non costruire il braccialetto: confusione di significato plausibile perché il verbo confezionare può significare sia realizzare sia incartare.
Alla lettura il bimbo ha tratto dalla memoria il significato che conosceva, probabilmente il solo tra i due di cui era stato qualche volta spettatore. Credo che per i bambini di oggi sia esperienza familiare vedere un commesso che impacchetta un regalo acquistato e lo sia molto meno realizzare o veder realizzare un piccolo manufatto.
Ancora, quello che segue è il testo di un problema che ho proposto in una quarta primaria, tratto dalla decima edizione del Rally Matematico Transalpino. La consegna è la seguente: svolgere il problema individualmente e scrivere la risposta, riportando su un foglio tutto quanto possa servire per spiegare la risposta che viene data senza badare alle questioni di forma (dati, svolgimento, calcoli…).
Pur all’apparenza semplice nella situazione, non si tratta di un problema banale, già dal punto di vista lessicale, perché richiede di considerare cifre all’interno della scrittura di numeri: è noto quanto sia frequente, e non solo nei bambini, la confusione tra numero e cifra.
Mi ha sorpreso che almeno tre bambini sono venuti a chiedere quasi subito il significato di «a quel punto» che chiude la domanda. Mi ha sorpreso meno che alcuni bambini dopo un certo tempo di lavoro hanno risposto 75, segnando da qualche parte sul foglio 25 x 3 = 75, risposta originata da una lettura selettiva del testo alla ricerca dei numeri e delle parole chiave, in questo caso la parola volta, usualmente associata alla moltiplicazione.
Sia con gli uni sia con gli altri ho suggerito di rifare quel che il personaggio del raccontino aveva fatto, ovvero scrivere la successione dei numeri; solo dopo aver ripercorso personalmente la vicenda narrata nel testo si è avuta una effettiva comprensione, e quindi una ricerca della risposta secondo una diversa modalità. I bambini hanno abbandonato la ricerca di una operazione e hanno messo in atto un conteggio: due ambiti di operatività differenti, che mostrano la loro efficacia in contesti differenti.
In entrambi gli esempi mi sembra di poter affermare che l’incomprensione è dovuta alla mancanza di riferimenti esperienziali: leggere non è ripercorre i passi di qualcun altro, rivivere quanto viene narrato, ma è solo ricavare dei dati.
Che cosa significa dunque leggere? È sicuramente diverso leggere un racconto fiabesco o il testo di un problema, ma è del tutto differente? Credo si possa trarre il suggerimento che sia importante far svolgere e far raccontare esperienze significative a cui si possano ancorare le conoscenze, anche matematiche.
Dentro il testo: dalla realtà alla matematica
Alcuni errori nello svolgimento dei problemi sono dovuti a cause diverse dall’incomprensione di un concetto matematico, quanto piuttosto al fraintendimento di alcuni elementi testuali.
Un testo con un contenuto matematico è costruito in modo da far riconoscere una struttura matematica, come fa intendere la sommaria classificazione dei problemi scolastici: problemi con l’addizione, con la moltiplicazione, con due operazioni, con le frazioni….
L’individuazione della struttura che sottende un testo è realizzata attraverso le parole che compongono il testo e che possono essere fraintese, come abbiamo visto, sia per la molteplicità di significati che presentano, sia per un’errata attribuzione di significato specifico.
Un interessante esempio emerso nel lavoro sui problemi riguarda il verbo bastare. Esso ha il significato di essere a sufficienza e serve a descrivere situazioni in cui tutti gli elementi di un primo insieme possono essere abbinati a un elemento di un secondo insieme, senza curarsi di quanto avviene per il secondo insieme. Il verbo avanzare, nel contesto in atto, ha invece il significato di essere in eccesso rispetto alle necessità e nell’abbinamento degli elementi dei due insiemi questa volta l’attenzione è rivolta agli elementi del secondo insieme, in particolare a cogliere la presenza in quest’ultimo di elementi non abbinati.
L’abbinamento di elementi tra insiemi in astratto è nei due sensi: per esempio, si possono abbinare le lettere dell’insieme L= { a, b, c } con i numeri dell’insieme N = { 1, 2, 3, 4 } e affermare che i numeri, ovvero gli elementi dell’insieme N, bastano per completare l’abbinamento delle lettere, ovvero degli elementi dell’insieme L, ma posso anche considerare l’insieme N per primo e affermare che le lettere non bastano. Analoghe osservazioni si possono riferire ad avanzano. Sinteticamente, indicando con l la numerosità di L e con n quella di N la relazione che interessa è l<n.
Nelle situazioni reali, quali una distribuzione di oggetti a un gruppo di persone, i significati in gioco si ampliano; si pensi alle fette di una torta a una festa di compleanno dove non è indifferente che le fette di torta siano in quantità minore o maggiore degli invitati: ciò che conta è quanto eccede l’aspetto matematico, è il senso della situazione che rende significativo usare basta o avanza.
In quest’ottica la riflessione sull’uso di questi termini in situazione e la traduzione in relazioni d’ordine è una questione di pre-matematizzazione. Perché sia gestibile da bambini che iniziano il percorso scolastico occorre evitare situazioni di carattere generale limitandosi a situazioni definite in cui intervengono numerosità contenute ed esplicitare i significati dei numeri e degli elementi in gioco.
Una delle problematiche che nei bambini emerge riferita a domande in cui sia necessario operare un confronto numerico è la convinzione che in un abbinamento tra elementi di insiemi diversi non debba presentarsi in alcun insieme un elemento non abbinato.
Consideriamo il caso: Ci sono 10 bambini e 12 sedie. Bastano le sedie?; chi risponde No, perché avanzano due sedie investe il significato di basta con una limitazione non prevista, ovvero interpreta nel significato ce ne sono a sufficienza, la quantità è esattamente quella necessaria a soddisfare l’abbinamento, ovvero non prevede che ne possano avanzare.
Occorre essere consapevoli di queste incomprensioni che i bambini manifestano, dovute in casi come questo all’ampliamento indebito di significato che essi fanno di un termine o alla ricerca di riutilizzare un concetto, una procedura, una struttura noti per descrivere e padroneggiare una situazione non confacente: la corrispondenza biunivoca è una relazione diversa dal confronto, una non è riconducibile, sostituibile all’altra.
Andrea Gorini(Insegnante di matematica presso la Scuola Secondaria di I° grado “San Gerolamo Emiliani” di Corbetta – Mi. Presidente dell’Associazione Ma.P.Es.)Indicazioni bibliografiche e sitografiche[1]
A. P. Bruno Longo, Educazione linguistica in Matematica (2). Problemi di differenza nella scuola primaria, in Emmeciquadro n. 29, 2007.
[2] E. Giusti, Ipotesi sulla natura degli oggetti matematici, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 26.
[3] Vocabolario Treccani on line, voce «dis-».